MILANO – L’acrilammide è un tema sempre piuttosto sentito nel settore caffè, perché innanzitutto i consumatori si mostrano particolarmente sensibili a questo elemento e ai suoi possibili effetti: spesso abbiamo cercato di fare chiarezza sull’argomento, sfatando il falso mito per cui il chicco torrefatto sviluppi una quantità nociva di questo elemento chimico per coloro che lo ingeriscono quotidianamente dalle loro tazzine.
Il suo potenziale effetto cancerogeno infatti, deve sempre esser messo in relazione alle quantità consumate al giorno, per stabilire quale possa esser il punto critico in cui anche l’acrilammide contenuto nel caffè diventa effettivamente dannoso per la salute. Oltre al fatto che, ricordiamo, qualsiasi alimento che viene sottoposto a cottura, genera come reazione un minimo dell’ammide dell’acido acrilico.
Già nel 2018, la Fda americana (Food and Drug Administration) aveva messo in discussione la famosa sentenza emessa da un giudice della California, che riguardava l’obbligo di indicare nel packaging l’avvertenza sul rischio di cancro, inserendolo nella legge statale Proposition 65 in quanto elemento cancerogeno – per chi non rispettasse questi standard, la multa ammontava a 2120 euro per unità venduta -.
Adesso, la situazione si sta ancora una volta evolvendo, con l’intervento dell’Unione Europea nel fissare determinati limiti e conseguenti sanzioni per le aziende. Nel 2023 le disposizioni europee che riguardano la presenza dell’acrilammide negli alimenti, subiranno dei cambiamenti. Ciò che fino ad oggi è stato tollerato, potrebbe non esser per cui più valido.
Acrilammide: cosa era stato stabilito fin qui
Le imprese legate al settore food dovevano impegnarsi al massimo delle possibilità nel limitare i livelli di acrilammide, tenendo come riferimento i valori stabiliti nel 2018 seguendo il principio As Low As Reasonably Achievable ALARA: tuttavia non rispettarlo non comportava particolari conseguenze.
Alcune analisi sui prodotti nel mercato di questi anni hanno registrato concentrazioni di acrilammide da 50 a 7mila ppb: una variazione che era soggetta al tipo di cottura degli alimenti e dal tipo di farina scelta per le ricette (alcune contengono molta asparagina, fruttosio e altri zuccheri che facilmente danno origine all’acrilammide).
Ancora sono in corso ipotesi su quali saranno le nuove regole per le imprese da applicare
Ma è certo che la variabilità andrà ridotta, con un massimo consentito abbassato, così come i valori ottimali da raggiungere per le aziende, insieme ad un inasprimento delle sanzioni e provvedimenti per chi non dovesse allinearsi alle norme. Si pensa ad un inserimento nella lista di alimenti a cui prestare attenzione per l’acrilammide anche altre categorie sino a oggi sfuggite, come ad esempio il cacao in polvere.
Nel 2023, le cose cambieranno: ancora il dibattito è in evoluzione e ne seguiremo gli ulteriori sviluppi normativi.