MILANO – Che Bari sia una scena fertile quando si tratta di specialty coffee, è una scoperta relativamente recente che abbiamo scoperto insieme attraverso diversi esempi: un ulteriore tassello come conferma a questo quadro di eccellenza, è il Vecchio Caffè Bari, gestito da Domenico Fiorentino, chiamato Mimmo, titolare nonché instancabile barista e gelatiere.
Con lui abbiamo parlato di come si sviluppi il suo concetto di caffetteria, in un posto dove non sempre è facile spingere questo tipo di prodotto così differente dal classico espresso.
Vecchio Caffè, nasce come gelateria e caffetteria storica
Ci racconta Mimmo: “La prima gestione risale al 1957. Nel 1997 sono arrivato io, che nasco come gelatiere – offerta di cui mi occupo tuttora – e dal 2017 ho iniziato a gestire l’attività in collaborazione con la vecchia proprietà. Col tempo mi sono spostato dal laboratorio al bancone. Ero un classico barista: purtroppo era così, mi chiedevano di preparare un caffè e io mi limitavo a svolgere quella funzione. Solo dopo un po’ mi sono convinto a formarmi con il primo corso di caffetteria che mi ha aperto un mondo, con l’introduction di Sca.
Prima di questo, non conoscevo niente della bevanda: me ne sono innamorato e ho continuato da allora a perfezionarmi. Attualmente possiedo tutte le skills di Sca e sono barista professional. Paradossalmente, il mio percorso è scaturito dall’ignoranza e poi per curiosità.“
Come ha portato lo specialty nel Vecchio Caffè?
“Con la mia passione sono riuscito a introdurre gradualmente una monorigine e poi due, presentando dei classici brasiliani naturali, ottimo compromesso per non stravolgere troppo i palati ma allo stesso tempo potessero darmi l’occasione di spiegare l’universo dietro la tazzina ai consumatori, dalla farm, alla lavorazione. Ormai dopo qualche anno di comunicazione, ciò che viene più apprezzato dai clienti è che ritrovano quello che racconto nel risultato finale.
Ci ho lavorato parecchio nel primo periodo, per far conoscere questo nuovo prodotto e la sua filosofia. Da subito però ho inserito anche i nuovi metodi di preparazione come V60 e Chemex, così come la moka. Volevo far capire alle persone che non esiste solo il caffè di tipo commerciale, ma che ci sono tante altre tipologie del caffè da scoprire. Ora consumo circa 4 chili di specialty a settimana.
Lavoro sia con l’espresso che con il filtro. D’estate non manca neppure il cold drip. La mia nuova clientela, che ormai non è più nuova, mi segue e apprezza la mia offerta. Sono partito rifornendomi da tutta Europa. Cambio spesso. In questo momento acquisto dall’Olanda, dalla Svezia, tempo fa anche dagli Emirati Arabi.
Mi piace mantenermi in contatto con un panorama internazionale, per scoprire diverse sfumature di tostature. Iniziare questo percorso ha fatto sì che i clienti si siano abituati a cambiare ogni settimana, sempre però mantenendosi su un certo livello.”
L’espresso a quanto lo vende?
“Faccio una premessa, ovvero che credo in una certa politica: non legarmi a nessun brand specifico. Uso degli specialty, e un solo blend realizzato dal team de Il Manovale, che è comunque di ottima qualità. Propongo alle persone questa miscela 50% Arabica Brasile e 50% Robusta Indonesiana, a partire da un euro sino a un euro e venti. Poi ho gli specialty in carta, composta da almeno 15 varietà. Mi piace che la gente possa capire cosa beve in tante variabili.
Lo specialty varia dai 2 euro ai 2 euro a 50, mentre quelli da competizione arrivano sino a 15 euro. Ho un range di prezzi molto ampio. I filtri partono dai 4 euro e 50. Nel mio paese sono quello che vende il caffè più caro, ma le persone lo comprendono, e questo grazie al mio lavoro di comunicazione. Ho fatto anche sessioni di cupping che ora tornerò a proporre.”
Macchinari nel bancone del Vecchio Caffè?
“La Marzocco Leva per l’espresso, che cambierò con una EP. Un Malhoenig Ek43, un Queen a due campane, come macinacaffè. Preparo le monodosi di tutti gli specialty che utilizzo. Non lavoro da solo: la mattina c’è una ragazza formata ad un livello barista intermedio, che mi copre intanto che io lavoro in gelateria. La mia presenza resta sempre fondamentale, ma la mia collaboratrice è perfettamente in grado di gestire il bancone.
A questo proposito, il problema della formazione dei ragazzi è grande: posso dire che il mio mestiere non è più attraente per i giovani. Non è il reddito di cittadinanza a tenerli lontani: il punto è che questo lavoro non interessa più per diversi motivi. Non si è disposti a fare troppi sacrifici.
È un mio pensiero personale, che mi sono fatto vedendo il cambio continuo di risorse stagionali che si verifica nonostante la mia passione: non riesco a coinvolgerli. La difficoltà è quella di far innamorare i ragazzi di questo lavoro. A differenza delle città che in estate chiudono, qui a Giovinazzo la stagione è essenziale.
Con lo specialty poi non si improvvisa e quindi io offro sempre formazione al personale che vuole lavorare con me. Ora si sta notando anche l’effetto collaterale dell’inflazione. Si sentirà sempre di più, e tornerà a rallentare la corsa al fuori casa nata dopo il Covid. La differenza è che per noi ancora è più difficile: il fornitore aumenta il prezzo soltanto nei miei confronti, io invece mi devo confrontare con tanti consumatori finali, ogni giorno.
Ovviamente teniamo tutti i costi bene esposti.”
Che cosa si aspetta nel prossimo futuro?
“Ora sono concentrato sul lavoro. Ho realizzato il mio sogno di far parte nel mondo delle gare: sono stato finalista a Sigep nel brewing. Spero di aver la possibilità di riprovarci, anche se è difficile perché è un altro mestiere a tutti gli effetti. Ho preparato la sfida nonostante tutto, confrontandomi con professionisti del calibro di Andrea Cremona, Alessandro Galtieri, Eddy Righi, arrivando da casa senza il supporto di alcuno sponsor. Per me è stata una grande soddisfazione. Magari un giorno potrò ritentare. Poi vorrei tornare a proporre dei corsi sulla caffetteria nei locali per avvicinare più persone possibile alla Third Wave. È quello che mi manca di più e di cui invece c’è grande bisogno.”