BOGOTÀ – La nomina di Max Fabian a Presidente del Consiglio dell’Ico è avvenuta nella capitale della Colombia, nel centro di conferenze Corferias AgroExpo, venerdì 7 ottobre. Una singolare coincidenza: la nomina a una carica così importante per il mondo del caffè è avvenuta lo stesso giorno del suo compleanno. Una nomina che rappresenta per l’Ico una svolta importante, con l’approvazione del nuovo accordo internazionale.
In proposito il predecessore di Fabian, Ivan Romero Martinez, aveva dichiarato alla vigilia: “La nuova nomina segna una nuova era per l’Ico, i suoi membri, il settore mondiale del caffè e i suoi produttori”.
Subito dopo gli applausi per l’importantissima nomina abbiamo raggiunto Fabian che ci ha spiegato la novità rappresentata dalla nomina.
Fabian, quali sono le novità salienti con la sua nomina e come incideranno sulla filiera del caffè?
“La novità principale della mia nomina a Presidente è rappresentata da un netto e maggior coinvolgimento del settore privato nell’Ico. Adesso gli imprenditori, insieme agli altri enti privati, verranno interpellati e considerati in modo diverso rispetto a quanto avveniva sino ad ora. Sia Vanusia Nogueira, nuova direttrice esecutiva Ico sia il sottoscritto, proveniamo proprio da questo ambito. Si tratta di un segnale importante, perché queste posizioni una volta erano detenute da figure burocratiche di alto livello, come gli ambasciatori. Siamo i primi che non arrivano dal settore pubblico, dalle burocrazie.
Ma non è soltanto la mia nomina a esser significativa: la riforma più ampia dell’Ico vuole sviluppare una collaborazione più stretta con il privato. A questo proposito verrà istituito un nuovo “Board of Affiliated Members”, il BAM, per poter includere tutti coloro che vogliono impegnarsi con l’Ico per incidere sul settore.
Una volta entrato in vigore il nuovo accordo, questo avrà voce in capitolo, ufficiale, nelle decisioni che l’Ico prenderà nelle sue opportune sedi. Per un anno, da imprenditore privato, occuperò io questa carica, mettendo la mia esperienza al servizio dell’organizzazione. In più, ci sarà questo nuovo organo che avrà modo di esprimere idee, proposte, esigenze dei privati. L’Ico diventa così il primo tra gli “International commodities bodies” a orientarsi in tal senso. Intelligentemente e verso la novità.
Certo ci sono alcuni importanti Paesi nel settore che non fanno parte attualmente dell’Ico, come gli Stati Uniti, il Guatemala o l’Uganda, e questo è un peccato. Questo nuovo assetto potrebbe auspicabilmente attrarli di nuovo nell’organizzazione. Potrebbero vedere l’Ico come tavolo unico e collegato al settore privato, per argomentare a livello globale le problematiche legate al caffè.
Noi abbiamo già altre entità che s’incontrano per discutere delle problematiche del caffè, ma che non lavorano ancora sempre allo stesso tavolo. Invece, nella nuova Ico questo processo vuole diventare strutturale. Il nuovo accordo ancora non è stato implementato, ma questo è il piano: la nomina di Vanusia Nogueira, così come la mia, segna la volontà dell’Ico di andare in questa direzione.
Tutte le criticità internazionali che il caffè deve affrontare, anche a causa delle diverse regole che normano ciascun Paese nel mondo, sono determinate da una libertà che può creare una certa distorsione a livello globale. Ma adesso l’ICO vuole diventare il luogo principale per discuterne.
Questa è una buona opportunità: molti problemi nella filiera del caffè derivano proprio dalla
disomogeneità. Passiamo dalla globalizzazione a un parziale “reshoring“: non si può solo produrre a un prezzo basso, anche la logisitica ha la sua valenza in costi, ma anche in tempi e affidabilità, e quindi si tende ad andare in senso opposto. Un mercato globale spesso può esser distorto. Sin qui mancava un’agorà dove discutere tutti assieme e in cui i privati non fossero più relegati a un ruolo “secondario”.
E proprio questo potrebbe esser un buon motivo per vedere il ritorno di chi ha deciso di lasciare l’Ico in passato.”
Lo switch verso il privato è una novità o nel passato è già avvenuto?
“Il privato era già stato coinvolto in passato attraverso due organi: la “private public task force” e il “private sector consultative board”. C’era già un percorso avviato verso la direzione odierna, ma mai prima d’ora si era pensato di creare un organismo come il BAM, dedicato alle entità private, portando la voce di questo organo in maniera ufficiale sino ai vertici dell’Ico, conferendogli quindi potere decisionale (condiviso).”
In che modo l’accordo darà impulso all’Ico e al suo ruolo?
“Nel momento in cui il privato può cercare di risolvere i suoi problemi insieme al pubblico nell’Ico, l’operatività dell’organizzazione verrà implementata. Resteranno certamente rilevanti tutte le varie associazioni a livello pubblico e privato e il primo avrà il suo peso decisionale. Ma la discussione sarà strutturale e permanente: non sarà la singola associazione a dover parlare ad esempio all’Unione Europea, nelle varie direzioni generali, per discutere i diversi problemi che possono coinvolgere anche i Paesi produttori. Se questo scambio avviene sul tavolo dell’Ico, dove tutti questi soggetti sono già presenti e si conoscono, imparando a relazionarsi costantemente con un rapporto umano e di fiducia, diventerà tutto più semplice.
Si facilita così la risoluzione dei problemi, nell’interesse di entrambe le parti. Non è molto diverso l’interesse del pubblico da quello del privato entrambi vogliono che il settore si
sviluppi. Il primo vorrebbe imporre qualche regola in più e viceversa il secondo vorrebbe esser più libero, ma ci dev’esser equilibrio per uno sviluppo corretto.”
La nomina di Max Fabian nell’Ico rappresenta a una svolta…
“Sì, la simboleggia perché mai prima di me un privato è stato nominato in questo ruolo. Se sono pronto? Sempre. Sarà un bell’impegno, che porterà via il suo tempo, ma dall’altra parte c’è una struttura competente su cui mi posso appoggiare”.
Torniamo agli Stati Uniti, che sono usciti dall’Ico 4 anni fa seguiti 2 anni fa del Guatemala: quest’anno l’Uganda ne ha denunciato l’inutilità e l’incapacità di incidere sui meccanismi del commercio globale e criticandone il sistema di classificazione del caffè, come ingiusto e sorpassato. Quali risposte saprà ora la nuova Ico per evitare altri abbandoni di eccellenze e favorire il ritorno degli altri?
“Nel metodo: creare il dialogo privato-pubblico in maniera strutturale è già di per sé una dimostrazione del fatto che ci sono le potenzialità per un’azione efficace ed efficiente dell’Ico nell’ottica di uno sviluppo del settore. Non si può costringere nessuno a rientrare nell’organizzazione, ma l’Ico oggi non è autoreferenziale. Dovremo lavorare affinché gli strumenti a disposizione vengano impiegati al meglio. I mezzi ci sono: il Guatemala, se avesse un problema con un risvolto internazionale, potrebbe discuterlo all’Ico. Esattamente come potrebbero fare gli Stati Uniti. Da noi troveranno tutti gli interlocutori. Alcuni movimenti sono auspicabili.”
In che modo rafforzando il coinvolgimento del privato l’Ico sarà in grado di dare risposte sistemiche ai problemi?
“Con l’Ico che si apre ai privati, i quali possono presentare determinate necessità direttamente al pubblico, che a sua volta potrà discutere delle proprie esigenze e regole con l’altra parte, la risposta è già davanti agli occhi.”
Ricadute concrete a livello di governance con l’evoluzione della task force pubblico privata e del comitato consultivo per il settore privato?
“Il BAM, il nuovo organo che include qualsiasi ente privato, ha anche una voce in capitolo nella governance, diretta.”
Che tipo di contributo potrà dare l’Ico nell’indirizzare il settore verso modelli di sviluppo sostenibili?
Come può contribuire al proseguimento degli obiettivi stabiliti dall’Onu?
“Su questo punto, l’Unione Europea è trainante. Ma spesso Bruxelles si confronta con delle realtà nei Paesi produttori, che sono diverse, varie, e si deve tener conto delle esigenze proprie di ciascuna zona. In mezzo c’è il privato, che opera e stimola il trading, il commercio del caffè nei paesi di consumo.
In tutto questo, la sostenibilità non dev’essere utopica: ci piacerebbe rendere ogni passaggio sostenibile, ma bisogna scendere sul piano pratico. E questo vuol dire confrontarsi con chi poi deve metter in atto le diverse operazioni, dai Paesi produttori, attraverso i privati, sino ai consumatori. Con l’Ico si potrà facilitare la transizione verso gli obiettivi di sostenibilità, pratici e sostanziali, nonché realizzabili.”
Un punto sull’Italia: quale ruolo è chiamata a svolgere nel comparto?
“L’Italia è importante: in Europa è il secondo importatore e secondo trasformatore, nonché uno dei protagonisti mondiali insieme al Brasile, agli Stati Uniti e alla Germania. Tra i paesi consumatori, il nostro è assolutamente rilevante. L’Italia parla in maniera coordinata all’Ico, con l’Unione Europea. Il suo ruolo è importante per ciò che rappresenta nell’industria del caffè e nel suo sviluppo, oltre che come importante mercato di sbocco.
La nostra nazione è protagonista di questo mondo da tanti anni e il fatto che io sia italiano e abbia ora questa opportunità da privato, è significativo sono stato chiamato e rispondo con piacere, conscio di onori e oneri.”