MILANO – In principio c’era il caffè in lattina, un prodotto lanciato in Giappone alla fine degli anni sessanta dal mitico Tadao Ueshima, fondatore della omonima industria di torrefazione, che è ancora oggi la più importante del paese del sol levante. Un prodotto al quale, all’inizio, credevano in pochi e che i più consideravano una semplice stravaganza senza futuro.
Il successo fu invece straordinario e il kan kōhī, come lo chiamano i giapponesi, ebbe, a partire dagli anni settanta, un ruolo fondamentale nello sviluppo del mercato nipponico, dove il caffè era conosciuto e diffuso già da tempo, ma non era mai riuscito ad attecchire pienamente.
Con un consumo stimato in oltre 7 milioni di sacchi, il Giappone è oggi uno dei massimi mercati mondiali. La lattina rimane tuttora uno dei modi preferiti dai giapponesi per bere il caffè, ma i gusti del consumatore medio si sono notevolmente affinati.
Starbucks è sbarcata a Tokyo, nella centralissima Ginza, già nel 1996. Nel 2019 ha aperto nel quartiere trendy di Nakameguro, la sua quinta Reserve Roastery in ordine di tempo, dopo quelle di Seattle, Shanghai, Milano e New York.
La scena nipponica è vivacissima e i torrefattori giapponesi fanno spesso la parte del leone nelle principali aste internazionali, che mettono in vendita preziosi lotti delle origini più esclusive e pregiate.
Secondo la Specialty Coffee Association of Japan (Scaj), i caffè speciali costituiscono il 10% del mercato giapponese
E a Tokyo è possibile trovare caffetterie specialty come Glitch, nel distretto di Jimbocho, dove una tazza di El Salvador Ahuachapan El Carmen viene servita al prezzo di 1.200 yen (8,30 euro). O come Koffee Mameya Kakeru, nel distretto di Monzen-nakacho, dove il menu di assaggio parte dai 2500 yen (circa 17 euro e mezzo).
Il grosso dei consumi continua a essere costituito da prodotti mainstream.
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