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domenica 24 Novembre 2024
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STUDIO – Sequenziamento del genoma svela importanti caratteristiche della Coffea Canephora

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MILANO – Il sequenziamento del genoma del caffè ha dischiuso nuove prospettive di ricerca nel campo della botanica e dell’agronomia. Le più recenti scoperte in questo specifico ambito della genomica facilitano, ad esempio, la selezione di nuove varietà, con migliori qualità organolettiche, nonché maggiore produttività e resistenza alle avversità, alle malattie e ai cambiamenti climatici.

Ma stanno anche gettando nuova luce su specifici aspetti della fisiologia e dell’evoluzione della pianta. In particolare, il modo singolare con il quale essa ha sviluppato la capacità di sintetizzare la caffeina (nella foto un cristallo di caffeina).

Nuove importanti rivelazioni giungono da una ricerca, le cui conclusioni sono state da poco pubblicate dalla rivista americana Science (il pdf dell’articolo è disponibile a questo link).

Lo studio è stato condotto dall’Istituto di ricerca per lo sviluppo (Ird) di Marsiglia, dal Centro nazionale di sequenziamento Génoscope di Evry (Parigi) e dall’Università di Buffalo e si è avvalso, inoltre, del supporto e del contributo di un team internazionale di studiosi appartenenti a istituzioni scientifiche e di ricerca di tutto il mondo, tra cui il centro dell’Enea della Casaccia e il dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste, con il prof. Giorgio Graziosi, ben noto ai nostri lettori. Nestlé – attraverso il suo centro di R&S di Tours – è stata l’unica entità privata ad avere contribuito allo studio.

Sotto la lente degli scienziati, le specie di Coffea Canephora, ossia quello che chiamiamo comunemente caffè robusta. La scelta è ricaduta su questa specie meno nobile, poiché tutte le varietà di Canephora hanno la caratteristica di essere diploidi – contengono cioè due coppie per ciascuno cromosoma (2n = 2x = 22 cromosomi) – a differenza della Coffea Arabica, che è tetraploide (2n = 4x = 44 cromosomi) e presenta dunque un corredo cromosonico più complesso.

Quali dunque le conclusioni dello studio?

Innanzitutto, esso ha consentito di scoprire che il caffè – rispetto ad altre piante – ha un numero decisamente maggiore di grandi classi di geni responsabili della produzione di alcaloidi e flavonoidi. Ad esempio, ben sei geni FAD2 (contro un gene soltanto nella maggior parte delle piante) producono l’acido linoleico, il principale acido grasso insaturo dei semi di caffè, che contribuisce in modo decisivo al profilo aromatico e alla ritenzione degli aromi dopo la torrefazione.

L’analisi dei percorsi di biosintesi della caffeina ha dimostrato inoltre che la Canephora produce questa sostanza in modo diverso rispetto ad altre piante che contengono anch’esse questo alcaloide, come il cacao o il tè. Ciò starebbe a dimostrare che la capacità di sintetizzare la caffeina è stata sviluppata dalla Canephora in modo autonomo, anziché essere il retaggio di un antenato comune.

Ma quale utilità ha la caffeina per la pianta? Si ritiene che essa contribuisca a tenere lontani i parassiti, ma anche le altre piante che potrebbero sottrarre risorse nutritive.

A tale proposito va ricordato che uno studio recente dell’Università di Newcastle ha dimostrato come le api siano attratte dalle caffeina contenuta nel nettare di molti fiori (come quelli di agrumi e naturalmente della coffea). Gli insetti amanti di questo alcaloide hanno una memoria potenziata per ricordare il profumo dei fiori e la loro posizione nei campi e sono quindi impollinatori più efficienti.

Sempre sull’ultimo numero di Science, Dani Zamir – ricercatore della Hebrew University of Jerusalem – afferma che sarebbe importate tracciare e condividere una mappa che metta in relazione i dati genetici del caffè e quelli fenotipici (relativi cioè al complesso delle caratteristiche morfologiche e funzionali della pianta, quale prodotto derivante dall’interazione dei geni tra loro e con l’ambiente, ndr.).

Ciò costituirebbe un passo decisivo per tutelare e mettere a frutto la diversità genetica delle varietà di autoctone di Coffea Arabica dell’Africa valorizzandone le peculiarità uniche a livello agricolo e commerciale e contribuendo, nel contempo, alla difesa della biodiversità.

 

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