MILANO – Giuseppe Fiorini ha scelto sin da giovanissimo la carriera del barista, con l’obiettivo di lasciare il segno con qualità di servizio e bevande. Il suo impegno per esser all’altezza degli standard elevati che da solo si è imposto, è dimostrato dalla sua stessa evoluzione professionale, che lo hanno portato in pedana come campione nazionale di latte art nel 2016 e poi dietro al bancone del bar che gestisce a Siracusa, terreno particolarmente difficile in cui coltivare il seme dello specialty. Abbiamo parlato con lui, che è anche trainer e consulente per le aziende.
Fiorini, che cosa l’ha avvicinata al caffè, qual è stato il suo percorso professionale?
“Tutto nasce dal fatto che sin da piccolo la mia ambizione è stata quella di vivere questo mestiere come una scelta e non come ripiego. Ho sempre voluto che il cliente si ricordasse in qualche modo di me e di ciò che servivo. Per gioco ho iniziato a creare come autodidatta delle scritte con il cioccolato sul cappuccino, per lasciare il segno. Successivamente, durante un evento a Siracusa organizzato dal professore Bongiovanni in cui si esibivano i campioni di latte art Andrea Antonelli e Chiara Bergonzi, sono stato folgorato dalle loro
performance ed è stato allora che ho capito le potenzialità di questa tecnica. Ho provato e riprovato dietro al bancone, per riuscire a formare le prime figure più semplici della latte art.
Due anni dopo ho voluto cimentarmi nelle selezioni per le gare nazionali, e dopo una serie di tentativi, al Sigep nel 2016 sono riuscito a vincere. Non ho mai seguito un corso di latte art, allenandomi sempre da solo e sono riuscito a partecipare ai mondiali di Shanghai a marzo 2016, arrivando settimo.
Ho seguito i corsi più legati al caffè appassionandomi alla materia prima, attraverso i vari moduli Sca. E da allora, porto avanti il caffè qualità”.
Quale lattiera comprare per la latte art? La sua soluzione è la Fiorini jug: ci parli di questo strumento
“Ho voluto creare uno strumento che potesse essere utile per ogni tecnica e che permettesse di riprodurre un tulipano, una foglia, una figura più complessa come i disegni fantasy in cui l’incastro di tanti elementi creano un solo disegno. La Fiorini jug si presta molto bene a diversi stili di versata sia per il peso (è molto leggera) sia per le caratteristiche del beccuccio che permette di esser più preciso.
L’ho studiata attraverso la messa a punto attraverso numerose prove: modificavo le lattiere con una pinza, per cambiarne la punta sino a trovare la soluzione migliore. L’aspetto difficile è stato trovare un’azienda che producesse le lattiere perfettamente in asse (tante volte il manico non viene saldato correttamente e l’attrezzatura è storta, creando un problema nella versata). È un difetto che molti baristi adottano, perché ormai hanno acquisito questa gestualità fuori asse e piegano il polso per una scorretta abitudine.
Ho infine trovato un’impresa che la produce e un amico che incide con il laser il mio logo. Al momento sono in attesa di ultimare il sito internet, e acquistarla è possibile farlo attualmente sullo shop di Andrea Panizzardi. – continua a raccontare Fiorini – Io mi alleno sempre non appena ho un attimo per mantenere la memoria muscolare attiva: ho la voglia di tornare a competere, ma tra i tanti impegni di lavoro e di famiglia, ancora non ne ho avuto l’occasione. La gara è legata soprattutto alla dedizione: le persone che un giorno mi troveranno in pedana, hanno delle aspettative alte.
E io non voglio prendere sotto gamba la sfida: non mi basta allenarmi solo un’ora al giorno. La mia ambizione è quella di continuare a stare su un certo livello.”
Nel 2016 campione italiano di latte art: qual è la figura più complessa che ha imparato a fare sulla crema del cappuccino?
“Le figure complicate sono tante: ma la tecnica più difficile è quella per creare immagini fantasy, dove si utilizza la cremina per tracciare delle linee pulite. Per esempio, quando si disegna un cavalluccio marino in free pouring (senza pennini), il problema è il seguente: non basta fare una foglia, ma 4, più un tulipano e poi sfruttare il rimasuglio della crema finale nel disegnare dei tratti netti. Inizialmente la difficoltà maggiore stava in quest’ultima fase della preparazione. Una volta imparato a gestirla, non è più così complicato replicare le figure. L’immagine che mi ha sfidato maggiormente è stata quella dell’aquila in volo.”
“Quando un cliente esce dal tuo bar, si deve ricordare di te”: questa la sua filosofia. Qual è il suo segreto?
“Sicuramente un aspetto che manca nella caffetteria e di cui mi piace discutere durante i corsi di formazione, è la parte dedicata all’accoglienza: molte volte il barista è poco propenso al dialogo costruttivo sulla materia prima con il cliente. Questo invece fa distinguere un barista professionista da uno che lo fa solo per lo stipendio. La passione e la voglia di scoprire trasmesse ai clienti, sono il quid in più che lascia il segno. Non basta premere pulsanti per fare un espresso. Certo, la decorazione è quell’aggancio per attirare
l’occhio del cliente, ma la qualità del prodotto deve restare la prima cosa. Le proporzioni del cappuccino devono esser rispettate, e mai sacrificate in favore del disegno, andando delle volte ad assottigliare la crema.”
Oggi quanto è importante per un operatore e quindi per un’attività, puntare sulla latte art e specializzarsi?
“Per distinguersi e valorizzare il prodotto e poi fidelizzare il cliente, è uno strumento in più che ormai dovrebbe esser un must have per i locali. Faccio un esempio di amici che lavorano in Australia: lì è fondamentale saper fare latte art oltre che all’espresso e alle bevande ad estrazioni alternative.”
Formazione: lei se ne occupa. Che cosa ha notato lavorando a contatto diretto con torrefattori e baristi?
“Sicuramente sta cambiando qualcosa dal punto di vista da parte in primis del cliente, perché oggi è più consapevole. La divulgazione della cultura sulla bevanda sta cominciando a dare i suoi frutti, ancora di più in seguito alla pandemia, un momento che ha sottolineato il valore della pausa caffè fuori casa: adesso deve valere la pena spendere in una caffetteria e per questo il consumatore deve poter ritrovare qualità del servizio e della bevanda. Oggi è semplice poi replicare il caffè come al bar con le cialde o capsule, quindi il
cliente si aspetta un prodotto differente dalla classica miscela tostata scura con tanta robusta dentro.
Anche dalla parte del barista quindi l’approccio si è dovuto evolvere: non si può più intraprendere questa carriera come ripiego. Non è scontato. Anche chi ha già anni di esperienza, si sta rivolgendo ai trainer per aggiornare le proprie competenze legati alla preparazione”.
Fiorini, quali sono gli errori più comuni che compiono i baristi oggi nella montatura?
“Nella lavorazione del latte uno degli errori più frequenti è quello di inglobare troppa aria per più tempo: fanno su e giù con il brick e la crema diventa una schiuma di macro bolle. Dovrebbero inserire l’aria solo nella prima fase e poi, grazie a uno spostamento sul fianco, si genera un vortice che scoppietta le bolle che si creano inizialmente. Il barista solitamente scende con il brick, ingloba aria, e così a ripetizione: non c’è mai stata la lavorazione di mantecatura della crema.
Poi ovviamente la manutenzione: spesso è quasi pari a zero. La lancia vapore viene pulita solo a fine serata, utilizzando un panno per tutte le superfici invece che averne uno appositamente dedicato all’attrezzatura. Per non parlare del latte che poi si riutilizza più volte (invece si dovrebbe lavorare con lattiere di diverse capienze per evitare lo spreco).”
Ora le bevande vegetali sostitutive del latte sono sempre più richieste dai consumatori, che però non vogliono rinunciare alla loro decorazione in tazza: come state imparando a gestire questa soluzione che a volte non ha le caratteristiche fisiche per creare figure?
“Sfatiamo il mito: si può fare latte art con le bevande alternative. Bisogna trovare un marchio che lo permetta in maniera costante. Oggi ci sono poche aziende che lavorano molto bene e permettono di creare una latte art basic, non da competizione. Spesso poi, quando viene richiesto un cappuccino con la bevanda vegetale, per assurdo il barista prende la lattiera nuova e non già usata, e il risultato in tazza è migliore spesso di un cappuccino preparato con il latte classico (frutto sovente di un riutilizzo esasperato della stessa attrezzatura non pulita).”
Come gestore dell’Insolito Cafè a Siracusa, Fiorini ci può raccontare la situazione lì, dopo la crisi del Covid, e ora il rincaro dei prezzi e quindi della tazzina?
“Non si è tornati ancora ai numeri pre pandemia. Ci vorrà del tempo anche perché molte persone si sono abituate a stare a casa, ad avere la propria macchina che tante volte prepara un caffè migliore di quello del bar. I costi poi in questo modo si abbattono notevolmente per i consumatori. Un altro punto di vista è legato proprio al prezzo della tazzina: alcuni gestori sono riusciti ad alzarlo, ma attorno a me la media è ancora quella di un euro.
Da me sono riuscito a portare l’espresso a un euro e 20, ma con estrema fatica. Il prezzo giusto per me di un classico blend dovrebbe esser intorno a un euro e 50. Se si parla degli specialty dovrebbe salire dai 2 euro in su. Io ho provato a proporlo e i clienti quando sono io a servirlo e lo racconto, lo ordinano volentieri. Qua ancora manca l’educazione del palato: a Siracusa si è abituati a bere una tazzina corposa, con tanta Robusta dentro. Il segreto sta nel saperla spiegare, trasmettendo la propria passione per un prodotto differente.
Attualmente propongo una miscela di 70% Arabica e 30% Robusta, e un blend 100% Arabica e poi almeno due monorigini che alterno e acquisto da diversi micro roaster. Come macchina espresso uso la Dc Pro Dalla Corte, acquistata circa 4 anni fa per allenarmi ai campionati nazionali, e poi un macinino Fiorenzato per la miscela, due Silence dell’Eureka per le single origin e un Anfim da drogheria per chi volesse acquistare i caffè per portarli a casa.”
Cosa c’è nel prossimo futuro di Fiorini?
Conclude Fiorini: “Vorrei dedicarmi completamente alla formazione, al controllo qualità per un’azienda soltanto. Mi piacerebbe staccare un po’ dalla vita tradizionale e caotica dell’imprenditore e del barista: desidero crescere nel comparto caffè e concentrarmi facendo ricerca sulla materia prima. Attualmente porto avanti questo discorso di qualità con diverse aziende con cui collaboro, tra queste, nel ragusano, si sta svolgendo un ottimo lavoro con l’azienda Brazilcafè che, negli ultimi anni, si è rivoluzionata moltissimo apportando modifiche ed una ventata di novità, puntando soprattutto su un prodotto di qualità. Mi preme insistere e portare avanti il concetto che il barista oggi debba coinvolgere il cliente, prestargli la giusta cura così come alla tazzina: questo renderà migliore la caffetteria.”