MILANO – Il percorso verso il risultato in tazza è composto di diversi passaggi, tutti determinanti per garantirne la qualità finale: una delle figure che contribuiscono ad ottenere questo obiettivo è senza dubbio quella del Q-grader, una garanzia per quanto riguarda la bevanda in fase di degustazione, ma che sicuramente non è diffusa quanto sembrerebbe necessario nel mondo della torrefazione. Ne abbiamo conosciuta una dei pochi, Fosca Vezzulli, che sin da giovanissima ha dato una precisa impronta alla sua carriera professionale.
Fosca Vezzulli, 26 anni, un genio dell’assaggio: come sei diventata uno dei nasi e dei palati più raffinati in Italia?
“La questione non è tanto quella dell’esser un palato raffinato. È piuttosto l’aver canalizzato le mie energie verso qualcosa che mi appassiona. Attualmente sono studentessa al terzo anno della scuola di dottorato ricerca Agrisystem all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, sotto la supervisione della Professoressa Lambri per quanto riguarda la parte dell’analisi sensoriale e dei processi, e del Professore Beone per quella più chimica. Con questo dottorato ho potuto rinforzare le mie conoscenze della scienza dietro che sta dietro alla produzione e all’assaggio del caffè che nel percorso per diventare Q-Grader sono meno sviluppate.
Ho iniziato a 19 anni a studiare scienze e tecnologia alimentare. All’Università si studia l’aspetto chimico, biochimico ed ingegneristico dei processi, da dove nascono le materie prime, tutti elementi che poi ho applicato al caffè, prodotto che ho conosciuto sia in diversi corsi universitari che con un’attività di stage e lavoro presso Caffè Musetti: lì ho avuto la prima folgorazione, che poi si è rafforzata con il mio viaggio in piantagione, in Brasile. Al ritorno ho deciso di ritornare in università. Certo collaboro anche con altri player del settore come consulente, ma da grande ho sempre voluto lavorare come ricercatrice pura.
Con la mia Professoressa abbiamo scritto un progetto che mi ha permesso di vincere la borsa di studio di dottorato e questo è il terzo anno che vivo di questo. Esser Q-grader fa parte del puzzle che compone la tazzina.”
La qualifica di q-grader è molto difficile da ottenere: ci racconta la sua esperienza che l’ha portata tra i 32 italiani certificati? E poi l’altro traguardo del Q-Processing Professional: come ci è riuscita? Siete solo in 6 ad avere ottenuto questa qualifica
“Avevo già delle solide basi accademiche su cui appoggiarmi: quando ho preso il Q-Processing avevo alle spalle 5 anni di tecnologie alimentari e quindi contavo su solide basi di chimica, biochimica oltre all’esperienza sul campo sviluppata in torrefazione. Infine, ero molto appassionata e ho approfondito da sola la materia. Il Q-Arabica è particolarmente difficile: sono 19 esami da svolgere in brevissimo tempo. È un corso intensivo di 3 giorni, a cui poi seguono altri 3 giorni di test.
Per prepararmi è stato utile anche il lavoro fatto con Caffè Musetti ed il corso introduttivo al Q-grade che mi ha permesso di far pratica sui test che sarei andata ad affrontare durante l’esame: distinguere diverse concentrazioni di dolce, salato ed acido, riconoscere gli aromi peculiari del caffè, distinguere i diversi acidi, discriminare tra caffè simili e fare cupping, compilando le relative schede.
Alla fine, c’è anche la parte scritta da sostenere, composta da una settantina di domande di teoria sulla cultura generale applicata al settore caffè.”
Le piace la definizione sommelier del caffè?
“Non proprio. Il sommelier è colui che deve descrivere e vantare le le peculiarità della bevanda anche per venderla. Preferisco definirmi assicuratrice della qualità. Do una valutazione oggettiva, non una descrizione per stilare una guida sulla materia prima.”
Da dov’è nata questa sua passione e propensione per l’assaggio?
Racconta Fosca Vezzulli: “Ho scoperto l’assaggio in torrefazione e ho studiato l’analisi sensoriale già durante la laurea magistrale. Ho assaggiato i caffè in azienda, ho scoperto di riuscire bene in questa pratica. Poi ha aiutato molto la passione per una bevanda che apprezzo molto di per sé.”
Fosca Vezzulli non ha mai pensato di mettersi in gioco nelle competizioni di cup tasting?
“Assolutamente no. Mi piace troppo fare il giudice, perché si ha l’opportunità di godersi la gara in prima persona. Nella categoria di brewing al Sigep per esempio, un concorrente mi ha fatta commuovere. Vivo delle belle emozioni. E il gruppo di Sca Italy è umanamente affiatato. È importantissimo: soprattutto in questo periodo, in cui siamo stati separati, sentirsi parte di qualcosa che ci fa stare bene, è bellissimo. Compensa quasi il fatto di non poter viaggiare, ricollegandomi al mondo. La caratteristica sociale, il messaggio dietro il campione che rappresenta la cultura dello specialty in Italia, è davvero soddisfacente. È qualcosa di più di una semplice gara.”
È vero oppure è una leggenda che tra uomini e donne c’è una differenza fisiologica che dà vantaggio ai primi quando si parla di capacità nell’assaggio?
“E’ il contrario. Le donne ancestralmente erano coloro che selezionavano il cibo per la progenie e avevano una soglia di percezione più bassa, perché avvertivano prima se ci fosse qualcosa di tossico negli alimenti. Esiste una spiegazione vagamente scientifica quindi dietro. Come l’amaro che è percepito come qualcosa di contaminante.”
Dal punto di vista professionale, quanto è difficile affermarsi nel settore come assaggiatrice? È un lavoro su cui investire? Cosa consiglierebbe ai giovani?
“Affermarsi come ricercatore è difficile. Solo per finire il dottorato bisogna esser costanti e rientrare in un gruppo affiatato. Io sono fortunata ad esser alla Cattolica, che dà spazio anche ai dottorandi per lavorare. Ci si può vivere, lo stesso vale per chi fa il consulente.
Poi però bisogna fare il conto che si tratta sempre del mondo della ricerca e questo significa continuare ad aggiornarsi. In Italia è più difficile perché non siamo un paese produttore di caffè e quindi non si può andare direttamente ad assaggiare i lotti della materia prima. I Q-grader in origine lavorano tutti. Helena Oliviero per esempio lavora e vive lì.
Mi piace viaggiare ma mi piace anche tornare qua. L’Italia secondo me ha tanto da dare. Io rimango, così vado contro corrente. Non penso che assaggiando caffè ribalterò il mondo né lo farò con la mia ricerca, ma voglio giocare la mia partita qua. Qualcosa si muove anche in Italia e non devo scappare via: anche qua ho avuto le mie soddisfazioni.”
Che cos’è la qualità nel caffè?
Ci ha spiegato Fosca Vezzulli: “Nel verde sicuramente esiste un protocollo che valuta la qualità e afferma quanto la presenza di alcuni difetti del seme crudo, impattano sulla tazza. Per esser identificati come specialty, non ci devono essere difetti primari. Mentre quelli secondari hanno un margine di accettabilità: possono esser al massimo 5 in uno specialty secondo il CQI. Questi ultimi possono essere ad esempio semi spezzati (ne servono un certo numero per contare come un difetto) o semi parzialmente neri o, immaturi. Se un caffè supera questo esame può concorrere alle fasi successive per esser definito come specialty.
Quando viene tostato tutti i chicchi devono mostrare lo stesso colore, affinché si passi alla
macinatura e all’assaggio: bisogna riconoscere aromi non difettosi secondo la flavour wheel, acido, dolce (indici di qualità), valutare la sensazione tattile in bocca (non astringente, non polveroso, ma dal corpo vellutato, simile alla seta, sciropposo, rotondo a seconda dell’origine), un buon after taste che rilasci note fruttate senza sentori di gomma, di muffa. Dev’essere nell’insieme, bilanciato senza iper percezioni. I gusti sono come gioielli: vanno abbinati armoniosamente. Ogni caffè poi deve esser ben rappresentativo delle peculiarità della propria origine. All’assaggio non è possibile discriminarle tutte, ma per alcune classi d’origine si riesce a identificarne i processi (se lavato o naturale) la provenienza.”
Qual è il caffè che Fosca Vezzulli vorrebbe assaggiare a questo punto della sua carriera?
“Il caffè che voglio assaggiare è sempre il prossimo. Per me ogni volta è una sorpresa. Acquisto sempre caffè diversi e ciascun lotto è diverso. Sono molto aperta. Ogni raccolto è un’esperienza nuova. Voglio comprendere ciascuno di loro, per riconoscere se quel tipo di qualità è quella che mi piace trovare in tazza e che mi piace, più da consumatrice che da Q-grader. Sono una bevitrice informata. La mattina non mi impongo un Kenya o un caffè super acido perché non sta bene con quello che mangio a colazione, ma magari lo preferisco di pomeriggio. Dipende dal mood, dalla stagione.”
Nella torrefazione non specialty, trova che la qualità sia diffusa? Servono più Q-grader?
Per la mia esperienza e da quel che ho visto nelle aziende che ho conosciuto, ne esistono tante che hanno prodotti veramente buoni.
La torrefazione italiana ha un’offerta che può oscillare dal 100% Arabica iper buono con prezzi al chilo più alti, ad altri di più bassa gamma per chi non ha la possibilità di spendere cifre altissime. Dal mio punto di vista è anche giusto così. Certo, poi il caffè a prezzi troppo bassi, può non esser sostenibile per i farmers ed altri attori della filiera, ma per quanto riguarda solo il profilo in tazza, tanti torrefattori hanno proposte molto buone, con anche le opzioni per stare sul mercato di medio-basso prezzo.”
Prossimo obiettivo per lei quindi?
“Finire il dottorato innanzitutto, consegnando la mia tesi di dottorato. Mi piacerebbe anche ottenere la certificazione Q-Robusta Grader. Per diventarlo ci vuole altrettanta passione, e la voglia di fare nuovamente una ventina di esami. Sono circa 2000 euro per certificazione. Ho investito su di me tempo fa e lo rifarei ora. Volendo fare la ricercatrice poi, non mi pongo mai dei limiti. Guardo sempre verso qualcosa di nuovo. Il caffè è ormai molto più di un lavoro per me. C’è un valore dietro, è la vita di una filiera a partire dalle
origini.”