RIMINI – Roberto Pregel è l’uomo dietro alle competizioni baristi, da cui tutto è partito e si è sviluppato: grazie all’intuizione, alla visione e anche alla dedizione di alcuni coraggiosi che hanno spinto per creare il sistema gare che ancora oggi fa battere il cuore dei baristi che si preparano a lungo con meticolosità per esprimersi in pedana.
Qui Pregel è stato invitato sul palco dei campionati e lunedì 14 marzo ha consegnato lui la coppa al vincitore di questa edizione 2022: Matteo Pavoni di Lissone (Monza e Brianza). È stato un momento strategico per fare una riflessione e un punto del contesto attuale di un mondo che lo specialista di marketing ha contribuito ad avviare.
Roberto Pregel parte dall’espresso
“È stato inventato promosso e sviluppato nel dopoguerra in tempi molto rapidi. Non abbiamo una grande tradizione di caffè, il quale era un prodotto coloniale, molto caro e che non aveva particolare successo. Poi la creatività italiana ha inventato la macchina dell’espresso, legata anche alla nostra capacità di trovare il gusto giusto.
Tutto questo movimento è avvenuto velocemente. Negli anni ‘90, quando ho fatto il mio ingresso nel settore caffeicolo, arrivando da quello del petrolio, dovevo capire come funzionasse: c’erano pochi tenutari del sapere che facevano fatica a parlarne perché non erano molto esperti o non volevano farlo. Quindi tutto restava confuso. “
Il sistema dei campionati l’ha avviato lei
“È frutto di una serie di conseguenze, di un pensare giorno per giorno. Non si inventano i campionati di punto in bianco. Occupandomi di vendita e di marketing, ho capito che c’era un’opportunità enorme da sviluppare nel training per come funzionano le macchine e quindi l’espresso. In questo modo davo valore alla macchina stessa proponendola ai baristi e alle aziende.”
Lei ha avviato un programma all’interno della Brasilia per promuovere i training. Questo che cosa c’entra con il campionato Baristi?
“Se organizzo un campionato, stabilisco delle regole, e quindi attraverso questo, insegno i crismi dell’espresso. Così sono nate le competizioni. Avevo delle conoscenze come responsabile vendite estere: avevo stretto delle relazioni con specialisti norvegesi che avevano abbozzato l’idea. In particolare mi sono confrontato con Alf Kramer che faceva l’assaggiatore di cibo e di bevande e aveva già pensato dei contest per promuoverli. Ho voluto fare lo stesso in Italia.
Ed ecco quale è l’altro segreto: per competere ci si deve allenare. Questo riporta al discorso del training, sul diventare professionista. Poi da lì questa realtà ha assunto dimensioni mondiali: era tutta una conseguenza e per me era già pianificato ogni aspetto. Le gare dunque sono nate per aumentare la conoscenza dell’espresso.
Per fare del training ho anche scritto il manuale Espresso perfetto, che parlava delle già note 5 M: miscela, macinatura, macchina, mano, manutenzione. Facendo tesoro di questi 5 elementi, li ho sviluppati all’interno di un discorso che fosse accessibile a tutti. Chi leggeva comprendeva e accresceva il suo interesse attorno alla tazzina.”
Pregel, c’è stata un’evoluzione dei campionati negli anni?
“Quando sono nati nel 2000, d’accordo con Kramer, era già tutto organizzato. Con la Scaa americana, avremmo combinato i vincitori europei con quelli americani per costruire così il mondiale. Ed ho organizzato il primo campionato italiano pensando già alla prospettiva internazionale.
Ovviamente, ero un visionario senza portafoglio. Senza il titolare della Brasilia Gianpiero Rossi per cui lavoravo, il suo finanziamento e la sua visione per lo sviluppo del professionismo attraverso le competizioni, non avrei potuto realizzare niente.
Nella prima edizione ho coinvolto i quattro baristi che conoscevo, tra i quali spiccavano due nomi che sarebbero diventati ben noti a tutti: Luigi Lupi e Andrea Lattuada che ho convinto a partecipare alla prima sfida.
Le regole e l’organizzazione erano state sviluppate insieme a Alf Kramer, che aveva già precedenti esperienze con le competizioni sul caffè filtro in Norvegia, con la collaborazione anche di un gruppo di imprenditori di là che avevano sposato l’impresa.
Il primo campionato si è svolto nel Castello di San Gaudenzio vicino a Voghera ed ha nominato Luigi Lupi come primo campione italiano. A pieno titolo, perché lui era già barista affermato e maestro di latte art.
Poi siamo andati a Oslo. In quell’occasione Caffè Musetti di Piacenza ha sponsorizzato la gara di Lupi al mondiale. È stata Lucia Musetti a capire, tra i primi, la potenzialità dell’iniziativa. Finalmente l’Italia si poneva a confronto con il resto dell’Europa.
Nella sfida internazionale Luigi Lupi fu penalizzato perché i giudici avevano trovato il suo cappuccino freddo, secondo i controllori nordici e competendo con sfidanti del nord Europa (abituati ai 100 gradi, perché così dura più a lungo come bevanda di conversazione).
I campionati sono stati quindi anche un modo per scoprire come le nostre bevande si trasformano e vengono consumate nel resto del mondo.
E per la stessa logica abbiamo poi esteso le competizioni ad altri metodi di estrazione, sempre sul modello norvegese: la parola d’ordine è “essere open”.
Avevo tentato per l’altro campionato mondiale, che si sarebbe tenuto nel 2000 a Montecarlo, di coinvolgere i colleghi italiani (LaCimbali, Faema, Rancilio, Nuova Simonelli, ecc).
Dissi loro che non aveva senso che il campionato fosse organizzato soltanto con macchine Brasilia, perché avrebbe perso di valore. L’idea era quella di far ruotare il parco macchine, così da poter rappresentare il made in Italy nel mondo.
Tutti mi dissero “bella idea”. Poi però tirarono indietro e siamo andati solo con le macchine Brasilia. L’Italia non è in grado di fare sistema. Si pensa ognuno per sé.”
Ma anche il barista si è trasformato con i campionati.
“Ho avuto la possibilità di chiedere ai precedenti campioni presenti al Sigep 2022 che cosa fosse cambiato con la vittoria. E tutti hanno risposto che era stata la svolta della loro vita. In bene.
Tuttavia, non bisogna trasformare i concorrenti in sacerdoti dell’espresso inarrivabili, con tecniche che nessuno può comprendere.
Siamo arrivati ai livelli di chef da 4 stelle che però sono molto lontani dal consumo quotidiano nei bar italiani. Bisognerebbe esaltare una fase più allargata. E fare sistema, che sia aperto, in cui tutti gli attori della filiera, i torrefattori, i trainer, i docenti e i costruttori insieme.
La gara in sé ha tutto: gli attori dovrebbero partecipare. Tutti dovrebbero preparare i loro campioni e proporli per la fase finale. Allargando così la base. Che questa volta è apparsa un po’ stretta.
Capita che le organizzazioni frenino per qualsiasi motivo la capacità innovativa del mercato. Si può rimediare soltanto con una partecipazione ampia a quello che si deve fare.
All’origine abbiamo invitato tutti a farlo, creando dei veri e propri campionati di società, da cui far emergere ciascuno il proprio campione barista da sponsorizzare che avrebbe poi gareggiato alle sfide nazionali con gli altri, tra cui anche dei privati.
Open.
Quando ancora ero dentro il sistema dei campionati, i concorrenti erano 28. Se un’organizzazione vieta l’allargamento della partecipazione dei baristi, stiamo sbagliando.
Non vedo sviluppi. Il compito di queste sfide è spargere il verbo: i baristi devono essere tantissimi. Formare una base il più allargata possibile. “
Il futuro dei campionati quindi come lo vede?
“Ho visto un grande sforzo, un’organizzazione perfetta. Peccato per il numero esiguo dei concorrenti. Tutti hanno voglia di fare bene, la grande industria e il piccolo bar di paese. Comunichiamo lo specialty attraverso le gare e attiriamo l’attenzione dei più grandi.
Ora ci sono dei mezzi incredibili, dalla presentazione, agli sponsor, ma non ci si deve fermare lì. L’interesse del mercato è di avere una moltitudine di baristi per giustificare l’espresso a 1,50 o più. Un’ulteriore passo è che l’industria si riunisca per stabilire che
sia il vero bravo barista italiano. Stabilire parametri di qualifica: barista junior, senior.“
Conclude Roberto Pregel: “Le macchine sono migliorate di molto. L’elettronica la fa da padrone, l’affidabilità è altissima. Il design è superbo, ai miei tempi erano prototipi. Segno evidente che ricerca e sviluppo pagano.”