RIMINI – Il campionato italiano baristi si è concluso dopo due giorni di gara concitata e in seguito a varie manche a colpi di espresso, cappuccini e bavande a base caffè. La vittoria è andata al giovane Matteo Pavoni, fondatore della torrefazione Peacocks Coffee e ora campione nazionale consacrato sul palco del Sigep. Ancora da dentro la fiera, lo abbiamo raggiunto per parlare di tutta la sua esperienza attorno alla gara, dalla scelta del caffè, all’emozione di aver raggiunto questo traguardo che ha unito la sua esperienza di barista e di torrefattore. E ha dato i risultati sperati.
Pavoni, se lo aspettava?
“Direi di no: certo ho lavorato tanto, ma non è mai scontato il risultato. È un’emozione incredibile. Questo per me è il terzo Sigep in cui competo, la seconda volta nella gara baristi. E sempre qui mi cimenterò anche per la categoria brewers per la seconda volta.”
Come si è preparato?
“Ho una piccola torrefazione che si chiama Peacocks e attraverso questa ho la possibilità di selezionare a Lissone (Monza Brianza) dei caffè straordinari ogni giorno. Il palcoscenico delle gare è stata anche l’occasione per presentarli e mostrare un tema particolare legato alla materia prima. In questo caso ho portato la degasatura del caffè che è un fenomeno molto rilevante per un tostatore, attraverso la quale sono in grado di controllare come si evolvono i gusti in tazza.
Quindi ho presentato un profilo unico e tre degasature diverse. Insieme a questa proposta, ho sviluppato una ricerca scientifica con l’Università di Zurigo. Ho estratto un Geisha della piantagione Finca Don Benji.
Il processo di lavorazione è una macerazione carbonica: il produttore mette delle bacche del caffè intere all’interno di contenitori sigillati, creando così un ambiente anaerobico privo di ossigeno che fa fermentare in maniera controllata il caffè.
In questo i produttori sono particolarmente abili e mantengono la temperatura tra i 18 e i 25 gradi, ottenendo così sapori molto dolci, puliti, di frutti rossi, senza retrogusti che appesantiscono l’assaggio. “
Pavoni, perché ha scelto questo caffè?
“Perché il gusto che ho trovato la prima volta in tazza era molto definito, si riconoscevano nettamente tutti i sentori. Sono pochi quelli in cui si identificano le componenti così nette. Con la degasatura poi, questo caffè è risultato l’esempio migliore. Restituiva nuove caratteristiche con il passare dei giorni.”
Come si è preparato a questi campionati?
“Questa è una domanda un po’ particolare, perché il lavoro che si è fatto in torrefazione è poi difficile da riprodurre esattamente a Sigep, soprattutto per quanto riguarda l’acqua: in fiera c’è un’acqua e un sistema di filtraggio diversissimi da quelli che uso ogni giorno. Bisogna quindi riassaggiare il caffè da zero: si può avere un’idea generale di cosa si otterrà, ma poi in fiera si ricomincia da capo.
Con la DF, torrefazione di Lissone che mi ha supportato, ho provato la presentazione più volte, ho affinato i concetti che volevo trasmettere. Ho regolato bene questi dettagli. In ogni caso non sono una persona che ama fare tante prove. Certi partecipanti si preparano per 3 o 4 mesi. Io invece voglio arrivare in gara più emozionato ed esser un po’ più spontaneo. Questo è un discorso che ovviamente vale per me. Mi è bastato un mese e mezzo. Con Peacocks poi, c’è un lavoro che mi prepara a sviluppare competenze e approccio tutti i giorni.
In torrefazione, grazie al supporto di DF di Lissone, mi sono allenato con una Faema E61, il modello simile più o meno a quello che avrei trovato in gara. In sede sono a disposizione anche La Marzocco Strada e La Sanremo. Per quanto riguarda il grinder, ho utilizzato il Mahlkönig Ek43: da quando ho iniziato a lavorare nel settore in Inghilterra mi sono sempre trovato bene con questo macinino on demand.”
Cosa ha convinto la giuria secondo lei Pavoni?
“Dal feedback che ho ricevuto subito dopo, la giuria è stata colpita dal signature drink (in gara si propongono il milk drink, l’espresso, il signature drink, ovvero il cocktail analcolico base caffè) con cui ho deciso di aprire la gara: volevo che gustassero il caffè che aveva solo 5 giorni di tostatura, molto fresco, e offrire alla giuria questa esperienza come prima cosa.
Con il milk drink invece ho usato un caffè un po’ più degassato (22 giorni) e infine l’espresso con 11 giorni di degasatura. Mi ha fatto vincere sia la qualità del Panama di Finca Don Benji di Boquete, che è stato eccezionale, ma anche per la mia presentazione: il tema della gara era importante, non ci sono stati tempi morti, ho rispettato i momenti di attenzione della giuria. “
Come si vede l’Italia dall’estero?
“C’è l’impressione generale che ci sia una crescita, del fermento, e la nascita di locali che puntano sulla qualità insieme alle microroastery. Ma non è ancora abbastanza quello che stiamo facendo. Io stesso sono responsabile per primo: propongo caffè molto buoni, ma non è facile. Ci dobbiamo impegnare di più. La situazione nel settore si assesta ancora su un livello medio-medio basso. Di professionisti e ragazzi giovani validi ce ne sono tanti ma bisogna esser più coraggiosi. Io ho 28, quasi 29 anni.
Ho iniziato a lavorare nel mondo del caffè a 18, diplomandomi e partendo per Londra senza aspettative. Mi sono appassionato al caffè lavorandoci, perché chi mi ha assunto mi ha coinvolto nel mondo dietro la bevanda. La primissima cosa che mi ha fatto innamorare è stata una gara al quale il mio datore di lavoro mi ha iscritto a mia insaputa. È andata bene, e da allora ho voluto solo fare quello. “
Da barista a torrefattore, la crescita di Pavoni, campione nazionale barista
“Il mio percorso in Inghilterra mi ha portato a lavorare per Maxwell Colonna, autore di un famoso libro sull’acqua per il caffè. Per due anni ho collaborato con lui, proprio quando stava aprendo la torrefazione e così ho avuto modo di confrontarmi sui profili di tostatura. Mi ha aiutato molto a capire i difetti del crudo, di tostatura e di estrazione. Ho una panoramica completa su quello che ho sperimentato.
Alla fine di questa esperienza sono tornato in Italia per provare a portare la mia abilità a casa. Sapevo che sarebbe stato uno stimolo, una sfida imprenditoriale e anche culturale. Ma volevo provarci: ho lasciato Londra, e con l’aiuto di mio fratello Riccardo, ho fondato Peacocks coffee. All’inizio, i primi anni sono stati molto duri. È stata una semina per farsi conoscere e conquistare i primi clienti. Volendo proporre un prodotto specialty senza blend, solo monorigini specialty, con un listino in costante evoluzione che non ha referenze sempre disponibili a seconda del raccolto, non ha aiutato molto il business. Ma devo dire che adesso ha preso piede.”
Barista e torrefattore: aiuta esser entrambi in gara?
Pavoni: “Sì, perché si conoscono le problematiche di una professione e dell’altra e questo permette quindi di trovare soluzioni più efficacemente e rapidamente. Ad esempio, un barista per fare l’espresso può aver bisogno di una tostatura più o meno sviluppata. Se da torrefattore conosco il macinino e il tipo di filtro per l’acqua che utilizza, sono più preparato a rispondere alle sue esigenze. Senza conoscere come funziona il lavoro del barista, sarei in difficoltà a reagire con una comprensione completa ed esser efficace.
In questa competizione, il fatto che io abbia portato un prodotto che ho selezionato, tostato, preparato, è la dimostrazione che come professionista sono completo per quanto riguarda il know-how.”