BERGAMO – “No sugar in my coffee” e “You said Robusta? Drink it Yourself”. No, non avete aperto per sbaglio una pagina di Comunicaffe International . Siete invece alla presentazione dell’intervista a Maurizio Valli, il barista di Bergamo che, con grande energia, sta indicando alla caffetteria italiana una delle strade possibili da percorrere per raggiungere obiettivi che, all’estero, sono la normalità. Quelli di servire sempre un caffè buono.
Quindi, secondo Valli, si deve proporre un espresso, ma anche un cappuccino o una qualunque altra preparazione: lui le propone proprio tutte. Dall’Aeropress al chemex, dal cold brew al dripper, dal V60 al Syphon.
Inoltre si deve poter bere senza aggiunta di zucchero e non deve contenere robusta.
Abbiamo trovato un Maurizio Valli molto convinto, come d’abitudine, e anche estremamente combattivo. Sì, perché, ha ribadito il suo pensiero forte secondo il quale “Il male del caffè in Italia sono i torrefattori”.
Per saperne di più siamo andati a visitare il covo di Valli, quello dove tutto è nato, il Bugan Coffee Lab di Via Quarenghi 32 a Bergamo, senza mai scendere a compromessi con niente e con nessuno.
Maurizio Valli è un nome che racchiude in sé tantissimi aspetti. Lui stesso ha provato a raccontarcelo dentro la sua caffetteria, laboratorio, coffeeteca, scuola e torrefazione artigianale con una macchina di piccola capacità. Anche se Valli ha nei pressi di Bergamo una seconda torrefazione di maggiori dimensioni per accontentare richieste che gli arrivano dall’Italia intera e da molti Paesi del mondo.
Cominciamo dalla carta d’identità: chi è Maurizio Valli?
“Sono un grande amante, appassionato, del mondo del caffè. La mia vita è basata, dal punto di vista lavorativo, soltanto su questo prodotto e soltanto di qualità. Ma, naturalmente, non trascuro la narrazione e la cultura del caffè. Ho deciso per questo di aprire un laboratorio che parla e dovrà sempre parlare di questi due temi. È importantissimo formarsi, continuare a formarsi. Perché è necessario conoscere perfettamente la materia prima, per poi saperla vendere e trattare.”
C’è differenza tra caffè di qualità e specialty?
“Il caffè di qualità tendenzialmente si potrebbe trovare in tutti i locali. Lo specialty ha bisogno di una maggiore attenzione e ricerca. Lo paragono spesso a un bambino che ha bisogno di esser cresciuto e curato. È necessaria la tracciabilità, la conoscenza della terra, del clima. Poi bisogna saperlo poi lavorare, trattare, sino a quando non arriva nella tazza. Nell’assaggio si capisce se è stato fatto un grande lavoro prima, che fa percepire note che definiscono lo specialty oppure no.
Comunque ben venga anche il caffè di qualità in Italia e non solo specialty. Ovviamente, anche solo la parola qualità in Italia si fa fatica a sentirla. Io ho entrambi. Sia specialty sia di qualità.”
Maurizio Valli, quando sente dire caffè cento per cento Arabica, che cosa pensa?
“Penso a quell’affermazione che ripropongo ai corsi: ho mangiato un grande pomodoro. Viene spontanea la domanda: quale tipo di pomodoro? È la stessa cosa dire 100% Arabica. Un’espressione che non dà una garanzia di qualità al consumatore finale. Anzi, bisognerebbe documentarsi su tutti i sacchetti delle torrefazioni, che dovrebbero riportare almeno la tracciabilità, così come già accade per gli altri prodotti alimentari. Spero che diventi obbligatorio, così come la data di tostatura, che è più importante della dicitura “consumarsi preferibilmente entro il…”. Dobbiamo poi fidarci del caffè verde, sperando che sia dell’anno corrente e non di un vecchio raccolto. Tutte queste informazioni dovrebbero esser indicate per tutelare l’utente nell’acquisto del caffè.”
Lei come definisce la caffetteria Bugan?
Maurizio Valli trasmette la sua passione: “Di qualità, di ricerca, di professionalità, di cultura. Chi viene qui, viene a fare un’esperienza sensoriale. Ma, che poi piaccia o meno, non è questo il punto. Mi interessa sapere che i clienti abbiano bevuto qualcosa di diverso da quello che hanno trovato in tutte le altre caffetterie. Vuol dire che sto raccontando e vendendo un prodotto differente. Soltanto così avrò un pubblico che crede nella crescita della mia professionalità. E so anche che non possiamo piacere a tutti.”
Nel suo locale abbiamo sentito un gruppo clienti discutere dei caffè come fossero dei grandi vini
“Questo è molto bello e positivo. Si sta creando un dibattito, ovviamente amichevole e di condivisione che è la parola chiave. Assaggiando i miei caffè conta l’esperienza. Questo mi porta a dire che ce ne sono alcuni che sono adatti per alcune persone che amano acidità, frutta e fiori, e altre origini ideali per chi invece cerca qualcosa di più bilanciato con flavor di cacao, caramello, malto, orzo. Soluzioni più semplici rispetto all’effetto wow acidulo dell’Etiopia. Questo dibattito lo vedo costruttivo, come uno scambio di idee diverse, proprio come accade nel mondo del vino.”
La caffetteria Bugan di Bergamo, oltre a essere scuola è anche il paese dei balocchi per qualunque appassionato. Un luogo posto che vale il viaggio come un ristorante a tre stelle?
“E’ questa proprio la nostra missione: offrire un’esperienza diversa dal solito. Parliamo pure di prezzo. Non si può far vivere un’esperienza sensoriale ad un euro. È controproducente, non porta alla crescita del movimento specialty in Italia. Il consumatore finale è pronto a pagare qualsiasi cifra pur di vivere qualcosa di diverso che gli resta impresso. A prescindere che piaccia o meno. Qua dentro è proprio questo l’obiettivo, legandolo a un prezzo differente: qui si parte da 2, 3, 4, 5, 10, 20, 30, 40, 50 euro per una tazza d’espresso e caffè filtro, cappuccino. Perché è giusto che sia così.
Non si può far pagare un’esperienza vera troppo poco. Lo specialty, se lo è davvero nei suoi parametri, sotto i tre, minimo due euro non si può scendere. Questo per motivare il percorso, la tracciabilità, la maniacale ricerca della qualità di tutta la filiera. Bisogna partire già da un prezzo assolutamente più alto. Qui lo vogliamo far capire e, ad oggi, non sento più lamentale da 5/6 anni. Si è capito che bere un caffè diverso dal solito va ben retribuito.”
Bugan è anche caffeoteca: tanti caffè importanti, di quali ci vuole parlare?
“Parliamo del caffè che ci ha reso un po’ protagonisti nel 2020 prima dello scoppio della pandemia, che ha visto come punto di partenza proprio Bergamo. Con questo caffè e per tre volte abbiamo vinto 3 campionati, uno mondiale. Una cosa mai vista prima in Italia e forse neppure nel mondo. Parliamo di un caffè dell’Ecuador, Finca La Florida con cui abbiamo vinto due campionati italiani su tre: barista, brewers. È un prodotto che ha una storia: mi ero recato in Ecuador, in due università, per fare formazione, grazie anche al supporto di Andrea Matarangolo che mi ha coinvolto e che ringrazio.
Mi hanno invitato a un cupping di caffè una sera e mi sono innamorato de la Finca La Florida, ho acquistato tutto il lotto, l’ho portato in Italia con l’obiettivo di usarlo proprio ai campionati del 2020. Dopo qualche mese mi ha contattato un crudista per comunicarmi che c’erano in Italia dei proprietari di piantagioni dal Nicaragua, El Salvador, Ecuador, e Venezuela, che volevano visitare il mio Lab. Ovviamente ho accettato: sono venuti e in quell’occasione c’era un ragazzo, Fabrizio Coronel, che mi ha raccontato della sua piantagione in Ecuador. Proprio quella da dove ero appena tornato.
Gli ho parlato del caffè che ho acquistato, e ancora prima di dirgli il nome, mi ha confessato di avere il sogno di vendere il suo caffè in Italia. Allora gli ho mostrato i tre che ho portato dall’Ecuador, tra i quali il Finca La Florida: proprio quest’ultimo era della sua Finca. Il ragazzo si è messo a piangere.
È stato così che ho deciso che quello sarebbe stato il caffè tra i tre, che avrei portato in gara e con cui abbiamo vinto i due campionati. Da quel momento la sua Finca è diventata famosa a livello globale, tant’è vero che poi all’ultimo campionato del mondo Matt Winton ha portato proprio un Finca La Florida, vincendo per la categoria brewing.”