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lunedì 25 Novembre 2024
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Smart working: dal 1° aprile finisce lo stato d’emergenza, ecco che cosa potrebbe cambiare per l’horeca

Secondo un recente sondaggio, poi, la maggior parte dei lavoratori (53%) alternerebbe volentieri il cosiddetto lavoro agile da casa al lavoro in ufficio, il 33% degli italiani (uno su tre) rimarrebbe molto volentieri in smart e solo il 14% ha nostalgia a tempo pieno dell'ufficio e della macchinetta del caffè con i colleghi

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MILANO – Il canale del fuori casa ha subito più di altri l’impatto della pandemia, complice il fenomeno dello smart working che ha portato lavoratori lontano dagli uffici e quindi anche dai distributori automatici e dai bar. La pausa caffè si è spostata dentro le mura domestiche, con ripercussioni importanti per vending e horeca che hanno registrato cali di fatturato significativi. Le associazioni di categoria si sono unite più volte a lanciare un allarme, promuovendo un ritorno alla normalità che prevedesse un cambio di rotta. E adesso, a partire dal primo aprile, le cose potrebbero effettivamente evolversi. Leggiamo la notizia di Alessandro Ferro su ilgiornale.it.

Smart working, una svolta da aprile

Il 31 marzo sarà l’ultimo giorno di uno stato d’emergenza che dura ormai dal 31 gennaio 2020, sono trascorsi più di due anni. Dal 1° aprile, infatti, a livello legislativo l’Italia tornerà all’epoca pre-Covid e il governo non avrà più i poteri straordinari di adesso. Si tornerà, quindi, a lavorare in presenza o rimarrà attivo lo smart working?

Cosa cambia: la risposta è duplice. Sicuramente si tornerà negli uffici, soprattutto quelli della pubblica amministrazione, ma tutto si deciderà tra gli accordi del singolo lavoratore con l’azienda. Se fino all’ultimo giorno di marzo è prevista una procedura semplificata per il lavoro da remoto, dal 1° aprile non sarà più così.

Il primo decreto in materia fu preso il 17 marzo 2020 inserendo l’obbligo di smart working “ove fosse possibile”; la misura è stata prorogata più volte fin quando non si è raggiunto un protocollo di massima per il settore privato che prevede “il ricorso al lavoro di remoto su base volontaria e con un accordo individuale tra l’azienda e il lavoratore”. Questo accordo, come ricorda Il Messaggero, può essere a termine o a tempo indeterminato alternando la presenza e il lavoro da casa “senza uno specifico orario di lavoro, ma con delle fasce orarie e il riconoscimento del diritto alla disconnessione”. Secondo questo protocollo, poi, lo stipendio non può essere toccato così come gli eventuali benefit.

Sul settore pubblico, invece, si è tornati in presenza già dal 15 ottobre 2021. Come stabilito dalle linee guida del Ministero della Funzione pubblica, in alcuni casi ci sarà un’adesione su base volontaria e consensuale “ma sarà supportato l’accesso allo smart working a lavoratori in condizioni di difficoltà”.

Quanti lavoratori in smart working

Secondo un’analisi effettuata dal Politecnico di Milano, sono stati più di 5milioni e 370mila i lavoratori da remoto nel primo trimestre del 2021, per poi scendere a 4 milioni 710mila nel secondo trimestre e a poco più di 4 milioni nel terzo trimestre. Secondo un recente sondaggio, poi, la maggior parte dei lavoratori (53%) alternerebbe volentieri il cosiddetto lavoro agile da casa al lavoro in ufficio, il 33% degli italiani (uno su tre) rimarrebbe molto volentieri in smart e solo il 14% ha nostalgia a tempo pieno dell’ufficio e della macchinetta del caffè con i colleghi.

Come sarà il lavoro del futuro

“Il lavoro del futuro dovrà necessariamente tenere conto dell’evoluzione delle modalità di organizzazione del lavoro. È un tema su cui si discute da anni, e che la pandemia ha messo oggi in evidenza, soprattutto con riferimento all’evoluzione digitale del lavoro. Il lavoro agile è una delle più importanti evoluzioni, su cui dovremo riflettere nei prossimi anni”, ha affermato all’AdnKronos Maria Giovannone, avvocato giuslavorista e ricercatore in diritto del lavoro dell’Università Roma Tre. Secondo l’avvocato naturalmente, il lavoro agile non sarà applicabile “in tutti i tipi di lavoro, ma anche su quelli che non saranno coinvolti da questa modalità sarà necessario nei prossimi anni aprire il dibattito sulle evoluzioni normative, organizzative e pensionistiche che li coinvolgeranno”, conclude.

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