MILANO – Siamo andati virtualmente sino al centro di Vienna dove un nuovo coffee shop, di cui abbiamo annunciato l’inaugurazione qui, lavora a pieno regime con l’ausilio di una Black Eagle Victoria Arduino che eroga caffè con torrefatti di diversi microroaster e per la soddisfazione dei palati dei tanti clienti che lasciano recensioni più che positive. A Mariahilf, nel sesto distretto di Vienna, ha aperto i battenti The Good Coffee Society, piccola caffetteria ma buona come si suole dire, progetto di Riccardo Grigoletto e del suo socio Daniel Kornfeld. Con il primo abbiamo parlato per raccontare questa novità portata avanti da un italiano all’estero, in Austria, dove il mercato presenta delle possibilità e delle sfide diverse rispetto allo Stivale.
Grigoletto, una prima domanda a brucia pelo: perché in Austria e perché proprio ora?
“Mi è sempre piaciuto viaggiare. Ho vissuto 10 anni in Australia, a Melbourne, dove ho continuato gli studi di ristorazione, con un contratto che lega con un visto. Ho conosciuto qui il concetto del caffè australiano, che unisce il brunch e le cene nel fine dining. Ho iniziato così con la parte dedicata alla sera, spostandomi poi verso la mattina come general manager: lavoravamo con una Sinesso a tre gruppi e due baristi fissi. Ho scoperto un altro mondo rispetto all’Italia: ogni sobborgo è una microroaster. Ho deciso poi di tornare in
Europa nel 2019.
In Italia sono rimasto soltanto per 4 mesi, ma ho fatto fatica a restare a Treviso. Allora ho colto l’occasione di lavorare per Goppion Caffè ma in Austria, nel loro showroom insieme al mio collega e socio. Dopo un anno, ho deciso di tornare a casa, anche complice il Covid, per stare vicino ai miei genitori. Sono stato assunto in Italia, ma già germogliava sia in me che nel mio socio che è rimasto a Vienna, l’idea di aprire una caffetteria. La passione ci ha guidati nonostante i tanti contro: così abbiamo cercato un posto e pensato il concetto.
A Vienna è stato difficile trovare una location che rappresentasse un giusto compromesso tra posto e prezzo. Abbiamo quindi proceduto con il nostro concept, nonostante avessimo già notato diverse volte che la comunità dello specialty coffee, non è troppo inclusiva.
Ho trovato sempre come delle barriere: una persona che non ha mai bevuto uno specialty in vita sua ed entra in una caffetteria così particolare, spesso non trova la possibilità di instaurare un vero dialogo con un barista che magari si avvicina con un discorso troppo tecnico. Così diventa un mercato quasi elitario.
Proprio per questo noi abbiamo voluto costruire uno spazio di scambio vero e proprio, una società, unendo Good Coffee e Society: un piccolo gruppo di persone che possono parlare, discutere, scambiarsi opinioni e darsi dei feedback diretti. Facendo ruotare prodotti provenienti da diverse microroastery.
Almeno ogni 10 giorni proponiamo una single origin diversa: tempo fa abbiamo servito un Brasile di Fried Hats, poi un Honduras Black Honey washed di the Smoking tiger di Ancona, e il prossimo sarà di The Naughty Dog dalla Repubblica Ceca, un Etiopia sidamo che viene fatto invecchiare in botti di Jack Daniels.
Tentiamo quindi di offrire un motivo al consumatore per spendere e bere caffè di qualità. Non solo serviamo il caffè, ma lo vendiamo anche: abbiamo i formati sia quelli da 250grammi, che da un chilo. Offriamo da His Majesty un kit di degustazione, composto di 5 pacchettini da un etto. Stiamo cercando di collaborare con il piccolo torrefattore, perché crediamo nel loro supporto, senza dover rimanere legati solo ad un grande brand specifico.
Cerchiamo sempre qualcosa di particolare nel caffè, quello con una caratteristica in più che resta nella mente di chi lo assaggia. Lo stesso principio lo applichiamo al filtro: un Uganda washed di His Majesty e un Etiopia e un Panama Geisha, un Honduras di Koun torrefattore di Vienna. Proponiamo anche il moka master: ogni giorno abbiamo un batch brew pronto. E allo stesso tempo diamo la possibilità di due o tre scelte alternative: oltre al V60, la moka al tavolo. “
La moka con gli specialty?
Grigoletto ha subito una risposta: “Nel periodo in cui stavo in Italia e desideravo un caffè buono, ordinavo il kit per l’espresso di Paolo Scimone. In questo modo avevo sempre un risultato buono in moka, senza dover avere una macchina espresso da 2000 euro in casa.
Ovviamente non facciamo “l’impastone”: sono fatte su misura da Top moka con il nostro logo inciso a laser, di titanio e carbonio che funzionano ad infusione in vendita nel nostro coffee shop.
Lavoriamo molto anche con i gadget e attrezzature: teniamo anche due macchine in vendita, Maraix di The Elite e Eagle One di Victoria Arduino per la casa.”
Grigoletto, come sta il settore horeca con il Covid?
“Uno dei motivi per cui sono andato via dall’Italia è che, per quanto ami il mio paese e la mia famiglia, mi sono reso conto che non c’è lo spazio e la voglia di smuovere le cose per andare al passo degli altri Paesi. Sono solo cinque ore da Vienna a Treviso, ma si è indietro anni luce.
Qui l’horeca ha subito sicuramente un calo, nonostante il lockdown sia stato più leggero e se ne siano passate anche le conseguenze in termini di salute. Gli austriaci rispettano le regole, finché non lede la libertà personale.
I consumi fuori casa sono scesi e hanno determinato la chiusura di grandi locali: i piccoli coffee shop invece hanno registrato un botto.
Le grosse catene sono sopravvissute grazie al supporto dello Stato. I piccoli locali sono sopravvissuti perché le persone in città in smart working quando volevano uscire, lo facevano per dedicarsi un caffè con una certa qualità. “
Avete intenzione di espandervi?
“Sì assolutamente vogliamo allargarci, senza però prendere la strada della gelateria e della pasticceria: sono realtà che hanno fatto numeri importanti negli anni scorsi e ora sono un’idea un po’ sorpassata. Abbiamo intenzione di espanderci e cercare di creare un concetto simile in un altro distretto della città.
Un giorno, penseremo a lavorare anche come micro roastery. Vorrebbe esser un progetto inclusivo, dove il cliente può venire e assistere a tutto il processo e abbattere ogni barriera con la Third Wave.”
Grigoletto, cosa ci dice della Black Eagle? E i macinini?
“Per tanto tempo in Australia ho lavorato con Sinesso e in Europa quasi sempre con La Marzocco. A un certo punto, durante il coffee festival di Vienna del 2019, mi sono confrontato con la Eagle one da due gruppi, appena rilasciata all’epoca: è stato praticamente un colpo di fulmine. Mi dava l’idea di una macchina solida, pulita, con la quale avevo un buon feeling. Ho fatto l’applicazione qualche mese dopo per entrare nella Youth Academy e poi sono entrato: qui ho lavorato con tutti i modelli di Nuova Simonelli e
Victoria Arduino. Ho sviluppato una relazione fantastica con tutto il team. Con i ragazzi con cui ci siamo formati (Christian Fernando di Onest Milano e Marco Pezone di Caffè Taccalite ad Ancona) abbiamo creato un gruppo che ancora oggi è rimasto in contatto.
In più, non posso che ringraziare Dario Ciarlantini, Sara Gagliesi, Lauro Fioretti: sono sempre pronti ad aiutarmi al di là del classico rapporto di cliente-venditore.
Per quanto riguarda i macinini, sono due: per uno abbiamo scelto Mythos nella sua prima edizione: vorrei avere quello di ultima generazione ma per ora è fuori budget. Sicuramente in futuro ci penseremo. L’Eureka, invece, è la versione “droghiere” più grande per macinare il caffè per moka o V60 o French Press.”
Come sta andando fin qua?
Grigoletto sorride: “L’inizio è stato fatto di notti insonni e crisi di panico. Ma da subito è partito molto bene. Abbiamo avuto un po’ di fortuna nel trovare il posto giusto in una posizione molto buona, una parallela di una delle vie più centrali di shopping più grosse di Europa. Abbiamo cercato per un anno e mezzo finché non lo abbiamo trovato. Il posto è piccolino, 30 metri quadri, ma ci abbiamo messo il cuore: chiunque abbia contribuito al progetto, dai grafici alla stamperia di Treviso, ha dato forma a questo progetto. Tutti ci fanno i complimenti. Siamo partiti a settembre discretamente, a Natale abbiamo avuto un picco molto alto di lavoro e persino il mese di gennaio in cui pensavamo di lavorare poco, è stato positivo. Stiamo lavorando alla creazione di un giardino esterno.
Quando è arrivato il lockdown improvviso, la gente tornava a prendere il take away: per noi è stata una prova di forza, che abbiamo superato abbastanza bene. Abbiamo anche uno shop online che abbiamo aperto principalmente per farci conoscere sul digitale. L’abbiamo rifornito con due miscele e qualche gadget: preferiamo comunque l’interazione con il cliente. Ha aiutato il fatto che qua in Austria non è stato mai così severo come in Italia.
Un’altra cosa che ci sostiene molto è il costo del caffè: l’espresso da noi 2 euro e 60 e a Vienna questo è un prezzo comune, anche per le tavernette con caffè commerciale. Nessuno si lamenta: hanno anche la cultura della mancia. Quindi 2 euro 60 diventano spesso 3. Questo progetto sarebbe stato molto difficile se non impossibile.”
E gli specialty come sta andando lì?
“In Italia conosco i ragazzi di Taste di Treviso, Fabio e Elisa, che sono molto bravi e coraggiosi. Mi fa credere che ci sia una speranza futura. A Vienna il contesto è variegato: ci sono tante realtà importanti di specialty. Ancora devo dire che solamente in un paio di posti mi sono sentito, da barista, a mio agio per poter discutere di ciò che stavo bevendo. Ho sentito molto la distanza con l’operatore.
Ma gli specialty coffee shop sono molto diffusi: sono almeno una quindicina a Vienna e ora stanno aprendo anche a Salisburgo: sta crescendo molto la scena. Abbiamo scelto però di non guardare su Instagram altri posti, per non lasciarci influenzare e abbiamo ricevuto critiche che non ci aspettavamo, ma abbiamo tenuto ferma la nostra linea.
La cosa bella è che essendo il nostro un posto piccolino, con margini discreti, ci dà la possibilità di concederci del tempo libero e delle vacanze per cercare altri posti. Se metteremo il plateatico, prenderemo anche una risorsa un part time. Vedremo: qui il supporto dello stato c’è.”
Grigoletto, cosa pensa dell’Unesco? Opportunità o un’operazione superflua?
“Credo che possa diventare una scusa. Mi auguro di no. Ma è probabile che possa creare un danno alla scena specialty. Il consumatore italiano medio, fiero della sua terra e del rito della tazzina, continuerà a volersi fissare con l’espresso. Quando sono andato a Melbourne, persino io ho avuto la reazione al mio primo specialty di dire: ma cos’è questo? Io arrivo dall’Italia dell’espresso.
Ma cos’è l’espresso italiano fondamentalmente? Una miscela, la crema in tazzina.”
Pensa di tornare indietro in Italia a portare il suo know how maturato all’estero, oppure è troppo difficile?
Grigoletto è un po’ malinconico: “Ormai sono quasi 10 anni che spero di tornare a casa. Ma ogni volta che rientro, trovo una cultura troppo radicata contro cui scontrarmi.
E così come me, tanti miei colleghi che hanno studiato, si sono formati, devono affrontare questa macchina fatta di promesse che si trasforma presto in una trappola di “non si può fare, non funziona”. Le persone intorno a me che credevano nei loro progetti, ciclicamente venivano disillusi per tanti motivi.
La domanda è: quante volte una persona può sbattere contro un muro prima di odiare il proprio mestiere? Ogni due o tre giorni leggo di locali storici di Treviso che chiudono. Pochissimi tornano in Italia. Se avessi la possibilità di lavorare alle condizioni che esistono qua, tornerei subito. Ma non è possibile. “
Chiudiamo però con qualcosa di positivo: “Credo sempre che si prendono un sacco di porte in faccia in questo mestiere, ma bisogna metabolizzare l’insuccesso e andare oltre. Se si continua a spingere, a muoversi, in qualche modo alla fine tutto si allinea e ci si realizza. Ne sono convinto al 100%”.