MILANO – Alla vigilia del London Coffee Festival, Federica Federico ci ha raccontato la sua esperienza di professionista dello specialty coffee direttamente da Londra, dove ha fatto nascere e crescere la sua attività Faith in Coffee, che già dal nome dà un’indicazione forte di quanto la passione per questa bevanda sia un modo quasi di affrontare la vita all’insegna della qualità. Per comprendere a fondo cosa ci sia dietro questa piccola impresa al femminile, abbiamo parlato con la sua fondatrice, profonda conoscitrice dell’universo attorno al chicco specialty.
Faith in Coffee nasce nel 2021 dalla passione di Federica Federico per il caffè: che cosa offre questo suo progetto, a chi si rivolge?
“Sì, Faith in Coffee nasce dalla mia passione per il caffè, ma in realtà il nome suo stesso nome nasce nel 2018, quando ho ottenuto la certificazione come AST e che mi ha spinto a trovare nuove idee per cambiare il mio profilo su Instagram. Allora ho pensato di tradurre il diminutivo del mio nome, “Fede” in Faith, conferendogli così un doppio significato, anche un po’ simpatico. Poi è nato il progetto, con l’obiettivo finale di divulgare la cultura del caffè di qualità ad un pubblico il più vasto possibile, educando un maggior numero di clienti. Sul come farlo, ho alcuni progetti in campo che però preferisco ancora non smascherare.
Per quanto riguarda i servizi che offriamo partirei innanzitutto dalla selezione di 3 specialty differenti, tra cui la miscela Jungle Whispers (medium-dark natural Brazil, washed El Salvador), Connected souls (medium- light washed Ethiopia) and Moonlight jive (medium-light washed El Salvador). Mentre un quarto uscirà per celebrare la festa degli innamorati (medium-dark). Le stesse etichette di queste tre proposte sono state pensate nel design come un segno di rinascita dopo il Covid: tutte e 3 rappresentano dei desideri espressi durante il lungo periodo passato chiusi in casa. Desiderio di uscire, quanto ci è stato vietato anche di andare al parco, desiderio di contatto con la gente e per ultimo, desiderio di divertirsi.
Nel mondo del caffè per la maggior parte della mia vita, ho notato che un problema molto grande è proprio la mancanza di formazione all’interno delle torrefazioni che riforniscono coffee shops, ristoranti etc…Penso invece che sia nostro interesse servire il nostro prodotto al 100% al consumatore finale, quindi perché non formare il barista che lo andrà a preparare?
Un altro servizio, quindi e una formazione di 12h per gli wholesale customers, fornendo le basi per un’ottima erogazione delle bevande. Sono dell’opinione che tutti dovrebbero avere le competenze di base per preparare un espresso, montare e versare il latte oppure proporre un caffè filtro. E questo discorso vale soprattutto per chi lavora nel mondo nell’hospitality.
Tutti sappiamo che se lasciamo la bustina del tè infondere in acqua calda per troppo tempo avremo un risultato finale amaro, oppure che se non incliniamo il bicchiere per la birra si crea troppa schiuma: eppure ancora vedo che facciamo ancora fatica a preparare una moka, (in Italia più che in Uk). C’è veramente ancora molto da fare e da divulgare.
Infine, come Faith in Coffee collaboro con diverse università ed hotel al momento, per organizzare workshops e lezioni al fine di diffondere il più possibile la cultura del caffè.
Posso dire di essere molto contenta dei risultati ottenuti fin qui. I nostri prodotti insieme al brand sono stati lanciati solo ad ottobre 2021 e siamo molto contenti di quello che abbiamo raccolto in appena 3 mesi di lavoro. La gente apprezza molto quando dietro un’attività c’è passione, una donna in business e con molte idee per i giovani.”
Lei viene da un percorso formativo Sca e da 10 anni di attività nel locale di famiglia: poi Londra. Che cosa l’ha spinta a lasciare tutto per lavorare e vivere all’estero?
“Avevo 10 anni quando i miei genitori hanno aperto il “Mileto Caffè”: un bar in una piccola piazza della periferia di Roma. Non finirò mai di ringraziarli per avermi dato la possibilità di notare e poi di coltivare questa mia passione all’interno del loro locale. Purtroppo però, dopo qualche anno ho cominciato ad avvertire il bisogno di vedere cosa ci fosse oltre a quella realtà di periferia e di imparare l’inglese per mettere in atto tutto ciò che avevo appreso in quegli anni di formazione con la Sca.
Ho provato a mettere in pratica le mie competenze a Roma 6 anni fa, purtroppo ottenendo scarsi risultati. Ora la coffee community in Italia si è allargata notevolmente e le persone più interessate sono sempre di più, per la gioia di tutti gli appassionati.”
Perché non restare in Italia, dove c’è davvero bisogno di comunicare e diffondere la cultura del caffè? È una strada troppo in salita per i giovani?
“In Italia, sappiamo bene, è tutto in salita, purtroppo. È deludente vedere che i giovani debbano cercare il successo all’estero. Non che Londra sia facile da vivere, anzi, non lo è affatto. È molto costosa, c’è molta concorrenza nel settore del caffè e di conseguenza non è semplice farsi notare, ma fortunatamente vige la meritocrazia e sembra fluttuare molta più positività nell’aria. Londra in particolare, trasmette questo senso di libertà dove ognuno fa ciò che gli viene in mente, cose inimmaginabili, senza passare per pazzi. Macchine
espresso in apecar e motorini-caffetterie dentro le chiese e le cabine telefoniche: il caffè si compra e si beve ovunque, in metro, in macchina, in ufficio. Non sembra anche a voi, leggendo questi esempi, che ci sia più qui il culto del caffè che in Italia?”
Cosa pensa che sia necessario fare per far evolvere la caffetteria in Italia, sia dal punto di vista dell’operatore, che da quello del consumatore e magari anche dei torrefattori?
“In Italia abbiamo questa concezione del caffè che è intoccabile. Penso sia abbastanza rischioso per un operatore o un torrefattore metterci la faccia nel voler far evolvere o cambiare il modo di bere, preparare o persino di tostare il caffè in Italia, poiché corrono il rischio di essere giudicati e criticati da una buona parte di consumatori con mentalità ancora, purtroppo per loro, chiuse. Stimo molti quei miei amici che hanno scelto di rimanere in Italia per diffondere appunto il caffè di qualità e comprendo la loro fatica nel farlo. Penso che l’Italia sia comunque sulla giusta via: vedo che la bevanda insieme alla preparazione dello stesso barista e del consumatore stanno crescendo ed evolvendosi molto velocemente.”
Cosa sta succedendo in Uk per quanto riguarda l’horeca? Gli italiani sono tutti andati via e chi invece è rimasto?
“Effettivamente, qualche italiano è tornato in Italia. Ma presumo che lo abbiano fatto indipendentemente dalla Brexit. Molta gente viene e va, molti decidono di fare esperienze all’estero. La Brexit penso che abbia solo anticipato il loro rientro nel proprio paese. Il problema di adesso è che per i nuovi, non è facile entrare.
In questo periodo storico così difficile, stiamo assistendo ad una mancanza di personale nell’ hospitality non indifferente proprio per questi motivi. L’horeca e in grande difficoltà nel trovare lavoratori e per di più che siano qualificati. Quindi prevediamo progetti di formazione per aiutare appunto queste compagnie a riempire questi ruoli. “
Come sta lo specialty in Uk? Gode di buona salute?
“Lo specialty coffee in Uk e molto comune. Si trovano caffè specialty persino al supermercato, al negozio sotto casa, alla bakery e nella caffetteria meno frequentata.
Direi che la maggior parte di volte si parla di caffè tostato più chiaro piuttosto che di vero e proprio specialty. Cosa altrettanto positiva a mio parere, poiché ci piace parlare di specialty ma non ci dimentichiamo che stiamo parlando della materia prima (il caffè verde) innanzitutto. Dal momento in cui lo mettiamo nella tostatrice, dipende solo da noi, (poi dal macinino e dal barista) se evidenziare le caratteristiche del buon prodotto o rovinarlo.”
Tra Brexit e Covid, state assistendo anche lì a dei radicali aumenti dei prezzi e difficoltà nell’approvvigionamento? Le reazioni dei consumatori e dei gestori si fanno sentire come in Italia?
“Sì, ci stiamo imbattendo in parecchie difficoltà nell’import/export e maggiormente da/per l’Europa. Molte delle attrezzature e delle macchine infatti provengono dall’Italia. Per il cibo e per il caffè importato sicuramente si faranno stock importanti per garantire la puntualità degli ordini. Un’operazione che però non so quanto possa esser vantaggiosa per appunto i tempi di “invecchiamento” (shelf life) limitati del caffè e quindi la difficoltà nel servire un prodotto costante nel tempo. Per non parlare dei costi doganali da aggiungere. “
Pensa di tornare indietro per portare il suo know-how maturato a Londra con Faith in Coffee, nella patria dell’espresso?
“Al momento non penso di tornare in Italia: questo paese mi ha dato e sta dando ancora molto. Per prima cosa l’apertura mentale che mi ha permesso di crescere, imparare ed apprezzare senza giudicare, ha un valore immenso. E sono molto soddisfatta dei molti feedbacks positivi dei consumatori. Vedo un grande potenziale in ciò che sto costruendo con passione e dedizione con Faith in Coffee e sto lavorando a quello che è stato il mio sogno sin da quando a 10 anni feci i miei primi espressi nel bar di famiglia.”
E a proposito di espresso, com’è percepito in Uk questa tradizione tutta italiana? Pensa che un riconoscimento da parte dell’Unesco cambierà qualcosa fuori e dentro i confini nazionali?
“In Italia c’è davvero bisogno di comunicare e diffondere la cultura del caffè” e di un “riconoscimento da parte dell’Unesco”? Raramente in Uk (o almeno, a Londra) si parla di espresso italiano quando si discute di caffè. Al contrario, se si affronta lo stesso tema con un italiano, non esiste altro che l’espresso italiano.
Non so bene come vada a finire questa storia, ma per chiunque abbia un po’ di conoscenza ed esperienza in questo campo (come tostatori o baristi che vanno in vacanza in Italia negli ultimi anni) e abbia avuto la possibilità di assaggiare l’espresso italiano nel bar medio comune, non penso possa avere un impatto così positivo.
Un riconoscimento da parte dell’Unesco verrebbe incompreso dalla maggior parte delle persone che si illuderebbe di procedere correttamente nella preparazione e quindi non spingerebbe a migliorare questo prodotto, bensì rafforzerebbe le lodi delle bevande attuali (che siano queste di alta o bassa qualità) e dal mio punto di vista, c’è ancora molto da lavorare.”
Vuole lasciare un messaggio a chi vuole fare del caffè la propria professione e passione come ha fatto lei con Faith in Coffee?
“Ovviamente come in tutti I lavori, suggerisco di entrare in questo settore solo nel caso in cui ci fosse una forte passione alla base, così da poter lavorare con gioia e soddisfazione. Inoltre, suggerisco di tenersi sempre aggiornati, poiché questo è un mondo in continua evoluzione: molti esperimenti vengono portati avanti, dai processi del caffè stesso come le fermentazioni alle evoluzioni delle attrezzature di tutti i tipi che vengono lanciate sul mercato quasi quotidianamente che evidenziano più o meno alcuni tratti e caratteristiche dei nostri chicchi.
Un punto che ci tengo a sottolineare: grazie a questa evoluzione costante del caffè, avremo a disposizione dei prodotti sempre più complicati da comprendere per un consumatore comune, poiché le sue caratteristiche si allontaneranno sempre più dai caffè commerciali a cui sono abituati i loro palati e in questo modo il rischio è quello che si crei un gap troppo vasto tra caffè medio bassi e caffè “stellati”, tra esperti/baristi qualificati e consumatore. E si potrebbe ottenere un effetto opposto a quello che si desidera, un po’ come quando a scuola non si capivano alcune cose e il prof andava lo stesso avanti con il programma. Un disastro no?”.