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venerdì 22 Novembre 2024
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Beraldi: “L’espresso dovrà salire a 2€ ma l’aumento non porterà la qualità”

Per l'esperto di verde, l'espresso dovrebbe esser venduto ""Più alto dell'euro e 50. Si riusciva a rientrare in certi limiti perché i prezzi erano bassi. Il costo finale dovrebbe salire verso i due euro: il problema è che il torrefattore è convinto sempre di offrire il caffè più buono del mondo. La realtà invece è che abbiamo delle zone in cui si beve mediamente del buon caffè e altre in cui è ben difficile trovarne di decenti. A questo si aggiunga il fatto che i consumatori sono abituati a bere caffè di qualità bassa: quando si trova a degustare un Etiopia, reagisce sconcertato: non sa riconoscere subito la differenza.

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MILANO – Terza e ultima parte del lungo confronto con Pietro Beraldi, supervisor vendite e caffè verde per l’azienda di Casale Monferrato (Alessandria): dopo aver discusso di tè, di camomilla e di zafferano, ora si passa a un altro topic che sta particolarmente a cuore dei lettori, ovvero il caffè. Legato a questa bevanda, il tanto discusso tema dei rincari del prezzo, insieme ovviamente a quello della qualità del prodotto servito nei bar italiani. Locali che hanno sofferto molto a causa dello scoppio della pandemia, e con loro inevitabilmente, i torrefattori e quindi anche i commercianti di verde.

Beraldi fa il punto della crisi di due anelli della filiera

“Non ricordo neppure che nella guerra o durante l’epidemia di Spagnola si siano fermati tutti i bar. Stavolta molte torrefazioni hanno dovuto chiudere per qualche mese. Questa è stata una vera rivoluzione: è potuto andare avanti solo chi era presente nella grande distribuzione o nell’online, canale che si è sviluppato parecchio soprattutto grazie al monoporzionato che ha conquistato una grande fetta del mercato, seppur a un costo molto superiore della classica moka.”

Ci sono tanti bar che chiudono e non riaprono

“Vero. Purtroppo non hanno riaperto tutti, alcuni hanno chiuso definitivamente. Non ne stanno nascendo altri per adesso, per la troppa incertezza. Investire, anche se in minima misura chiedendo aiuto dal torrefattore o dal produttore di birre, significa comunque firmare una serie di cambiali che vanno in scadenza. Diventa pericoloso e si rischia di chiudere.”

Torniamo al principio: la confusione che c’è sul mercato dei prezzi, ai massimi

“Sono saliti in maniera incredibile. Credo soprattutto perché c’è stato un fenomeno che non accadeva dagli anni ’90, come la gelata in Brasile, che ha determinato una minor produzione. Questo paese ha raggiunto un’importanza impressionante negli anni. Quando sono entrato in azienda parlavamo di una produzione inferiore ai 20 milioni di sacchi: ora raggiungiamo i 60 milioni. Il Brasile ha fatto dei passi giganteschi e anche il consumo interno è aumentato tantissimo.

Ha un peso sul mercato notevolissimo. Se l’è cavata comunque in due anni di quotazioni molto baseo, non perché i prezzi che strappavano potevano ripagare i costi, ma per il cambio favorevole tra real e dollaro. Questo ha permesso al Brasile di sopravvivere discretamente rispetto ad altre nazioni produttrici di caffè.”

Beraldi, è ipotizzabile fare delle previsioni sull’andamento futuro?

“E’ difficile. Si pensava a una congiuntura passeggera. Ma in questo momento, su una richiesta di offerta per un contenitore dell’India, che pure non è uno dei paesi più cari e ha avuto meno problemi di altri, i prezzi sono cresciuti molto. C’è un problema: il torrefattore italiano vuole ed è abituato a comprare cheap, e ora si trova ad un punto critico. E c’è anche non solo la questione del nolo dei container, che è pazzesco e che incide notevolmente, ma c’è anche quella delle non garanzie dell’imbarco. Anche in Cina, dove si è arrivati per un contenitore a quasi 15mila dollari, non c’è la certezza dell’arrivo: si fissa il booking, ma non è sicuro che il contenitore venga imbarcato in quel momento. Ci sono slittamenti impressionanti.

Quindi questo problema, fino a che non si risolve a livello di logistica internazionale, provoca difficoltà in più per i torrefattori. Faccio un esempio: un contenitore di Santos che doveva partire a novembre, è stato spostato a gennaio e ora se ne riparla forse addirittura per febbraio. E non c’è ancora la certezza che partirà”

Quando finirà secondo lei?

“Ho paura che proseguirà così ancora per parecchi mesi.”

C’è qualche grossa azienda che ci sta giocando, come i bilanci delle imprese di trasporto che schizzano alle stelle?

Piantagioni di caffè Cooxupè, foto di Pietro Beraldi

Beraldi è piuttosto deciso: “Senza dubbio. Se il nolo è quintuplicato se non sestuplicato, comprendo che le compagnie di navigazione che sono poche nel mondo e fanno cartello, stiano recuperando ciò che hanno perso nel momento in cui il traffico si era ridotto per la prima fase della pandemia. Il problema è che questi fenomeni si scaricano sui costi e alla fine, per un effetto a catena, giungono al consumatore finale che però non ha visto un rialzo del suo salario e non può permettersi di affrontare questi rincari. Già in Italia il caffè ha un costo basso e quasi politico, e quindi aumentare il prezzo è difficile. Lasciando perdere i termini qualitativi, io credo che sarà difficile se si continua così, non aumentare almeno a un euro e 50 la tazzina di espresso.”

E’ più complicata la situazione sul versante Borse o della logistica?

“Un po’ su entrambe. Sicuramente le Borse che una volta erano pilotate o gestite principalmente dall’origine e dai grossi gruppi, ora non funzionano più così. Adesso abbiamo la speculazione e i fondi di investimento, che muovono quantità di denaro impressionanti e portano avanti operazioni incredibili. Lo abbiamo visto accadere: quando si vede che raggiunto un certo livello, i fondi decidono di investire o di vendere, mettono dentro gli ordini nei loro computer e la Borsa parte improvvisamente e guadagna 10 o 12 punti – o li perde -. Questo esisteva già prima della pandemia ma l’oscillazione di così tanti punti prima era impossibile, ora invece succede. C’è questo aspetto quindi ed è più difficile da comprendere e prevedere: ormai è come avere la sfera di cristallo. Si sa quando finisce il processo, sempre alla fine. Difficile anticipare.”

Beraldi, una previsione però di come andrà a finire nei prossimi mesi ma anche nei prossimi 2 o 3 anni in Italia riesce a vederla?

“Penso che prima o poi dovremo ridimensionare la situazione: il caffè non poteva stare a cento cent per libbra o a meno di quel valore. Per avere una certa remuneratività, anche in Brasile bisogna stare sui 130, 140 cent per libbra. Arrivare a 160 andrebbe bene in una situazione normale. Ora siamo a livelli più alti e anche perché arriviamo da un periodo prolungato di prezzi bassi e questo ha creato dei problemi.”

Ora come terminale vede un prezzo dell’espresso al bar a un euro e 50?

“io spero si possa arrivare lì e non andare oltre. Il rischio qual è che questa pandemia crei una modifica strutturale del mercato, con una diminuzione dei bar, di importanza dell’horeca e tutto questo poi comporterà altri cambiamenti. In Italia abbiamo una forte presenza dei numerosi torrefattori che acquistano all’origine. Se diminuiranno le origini, lo stesso faranno le persone che offrono caffè. Anche perché, il nostro è un mercato internazionale che riesporta molto del caffè torrefatto in Italia. Non c’è molto spazio di manovra e se il torrefattore non ha più un ricarico, vendendo un servizio e non solo la materia prima al bar (dalla macchina al macinino, all’insegna, agli accessori, lo zucchero e il resto), perde di senso la sua attività in termini di numeri.

Il rischio è la concentrazione, come è successo in altri paesi europei, di grossi torrefattori e dall’altra le micro roastery che si occupano di specialty.”

A proposito di qualità: con la tazzina a un euro e 50, ci sarà un miglioramento anche di questo aspetto?

Bacche caffè, prima raccolta, foto di Pietro Beraldi

“Secondo me avverrà solo l’aumento dei prezzi e non della qualità. Anche perché, pur andando in controtendenza, a mio avviso ci lamentiamo, come per il tè, che in Italia non ci sia una cultura del caffè. Ne abbiamo una scarsissima conoscenza, non sappiamo cosa beviamo. Anche il 100% Arabica mi dice poco: se viene dall’India, la qualità è molto bassa.”

Quindi dal suo punto di vista Beraldi, di esperto di caffè verde, quando dovrebbe costare al bar la tazzina per una buona qualità?

Più alto dell’euro e 50. Si riusciva a rientrare in certi limiti perché i prezzi erano bassi. Il costo finale dovrebbe salire verso i due euro: il problema è che il torrefattore è convinto sempre di offrire il caffè più buono del mondo. La realtà invece è che abbiamo delle zone in cui si beve mediamente del buon caffè e altre in cui è ben difficile trovarne di decenti. A questo si aggiunga il fatto che i consumatori sono abituati a bere caffè di qualità bassa: quando si trova a degustare un Etiopia, reagisce sconcertato: non sa riconoscere subito la differenza.

La preparazione in espresso infine presenta dei problemi: l’acidità, che è un fattore positivo in generale, con questo metodo di estrazione può creare confusione. Il torrefattore allora o non usa quel prodotto, oppure aumenta il grado di tostatura, perdendo le determinate caratteristiche dei quel caffè.

Quando mio padre è ripartito, lo ha fatto vendendo principalmente caffè del Centro America e lavati. Prima di incontrare il discorso della Coopsupe una delle più grande cooperative al mondo in Brasile. Oggi vendere quelle stesse quantità sarebbe impossibile: il torrefattore ha diminuito l’uso di certe proposte di qualità. Prima si usavano i Genuina Antigua del Guatemala, il Tarazù del Costa Rica, il Kenya, oggi non c’è quasi nessuno che li vende. Forse si propongono ai grossisti, da Sandalj a Imperator, e poi questi li distribuiscono poco alla volta alle torrefazioni che vogliono distinguersi. Alcuni li adottano più per una questione di immagine: la vendita è limitata. Sono caffè che vanno verso più gli specialty. Ancora un esempio: un Costa Rica oggi non lo acquista nessuno.”

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