MILANO – Cinque sensi coinvolti nell’esperienza del rito della tazzina, più uno: questo è Senso Espresso Coffee. Style. Emotions. Il nuovo volume – disponibile in italiano o in inglese – creato dal museo della macchina per caffè del Gruppo Cimbali, edito da Antiga Edizioni. Dopo il rosso Tiziano, il rosso valentino, adesso il rosso Mumac accende la vista a partire dalla copertina di un testo che è esso stesso museo, scrigno che conserva le preziose tappe che hanno portato a quello che nelle parole degli autori stessi, si può definire come Espresso 3.0. Trecento pagine che sono un excursus per immagini, documenti e descrizioni, della storia di una tradizione tutta italiana, attraverso la caffetteria, le macchine, la materia prima, la torrefazione. Dove la tecnologia ha fatto la differenza sul risultato finale. Per scoprire che inevitabilmente, l’Italia è cresciuta insieme alla tazzina, nel modo di sentire, di comunicare, di apprezzare la bevanda.
Il vero senso dell’opera, 320 pagine di grande formato, con il titolo scavato nella copertina, è nella prefazione di Fabrizia Cimbali, amministratore delegato Gruppo Cimbali. Il suo è “un invito a sfogliare questo libro multisensoriale come fosse un museo in cui riscoprire tra le righe il gusto dello stile italiano. Tra sfumature, parole, note e suggestioni emergono sensazioni e riflessioni. Proprio come quando si sorseggia un espresso, mentre si assapora la meraviglia di un lusso accessibile a tutti”.
La ricchissima dote di foto che accompagnano l’intera narrazione, sono una macchina del tempo su cui salgono gli occhi: locandine di fiere in bianco e nero, cartoline che portano il nome Cimbali, poster rappresentativi dello stile e dell’estetica di un determinato periodo. Tutto materiale che le macchine espresso hanno assorbito e poi restituito nel loro stesso design. Come succede con i simboli, che fanno la loro apparizione su queste attrezzature: ed eccolo il leone alato che sovrasta i modelli udinesi de La San Marco.
Senso Espresso: da Moriondo a alle superautomatiche
Un balzo sostenuto dalle innovazioni e dalla visione di alcuni pionieri della tecnica e che parte da Torino nel 1884, con l’invenzione di Angelo Moriondo di una macchina mai vista prima, la Brasiliana, alta circa un metro, con la forma di una campana, in rame e in bronzo, che era in grado di preparare 300 tazze a vapore in un’ora: un complesso sistema di condotti, rubinetti e recipienti in pressione, spingeva l’acqua attraverso il macinato, ed eccolo lì, l’antenato dell’espresso.
Servito al Gran Caffè Ligure a Torino di cui Moriondo era titolare, in tutti i suoi aromi e la sua freschezza, il caffè istantaneo. A testimoniare questo momento storico, un’istantanea delle antiche vie del capoluogo piemontese, dove sotto i portici ci si può immaginare gli operatori muoversi su queste strumentazioni mastodontiche. La Mole osserva dall’alto il fiorire di pasticcerie, cioccolaterie e caffè storici. Una città magica per il settore, che compare col suo nome nel logo della macchina di Arduino, omaggio futurista al capoluogo piemontese.
Bisognerà aspettare il 1906 per conoscere una nuova svolta nel mondo delle macchine.
Bezzera e il suo gruppo erogatore
La nostra storia – perché la storia del caffè è quella anche dell’Italia tutta – si sposta quindi da Torino a Milano: anche questa è una città che accoglie numerosi caffè storici, e proprio sotto l’ombra delle guglie del Duomo (che ritroviamo nelle immagini del biscione e della chiesa, nell’omaggio Faema) di cui si possono ammirare le architetture nelle foto, Luigi Bezzera inventa il gruppo erogatore, che non è così diverso da quello che esiste ancora oggi per presenza del portafiltro a uno o più beccucci e con sistema di aggancio al corpo centrale della macchina.
Questo elemento è quello che effettivamente sancisce la nascita del vero espresso, ovvero quello erogato “espressamente” servito al momento per il cliente che lo ha ordinato. Questo ritrovato della tecnica trova il suo corpo vivente nei modelli targati Pavoni e viene esposto per la prima volta alla Fiera di Milano nel 1906, all’interno della quale si muoveva un giovane apprendista attento, Giuseppe Cimbali. L’Ideale, così l’ha battezzata l’azienda produttrice, ha registrato, nel 1911, oltre diecimila vendite. Emerge dalle pagine di
Senso Espresso con la sua estetica caratteristica: smalti e decorazioni in bronzo, sulla cupola fogli e chicchi che riprendono la pianta del caffè.
Si trattava ancora di macchine imponenti, che necessitavano la cura di molti tecnici che si assicurassero che non esplodessero a causa di vapore e pressione – in Senso Espresso, presente anche una cartolina pittoresca che disegna una macchina scoppiata dentro a un bar, a causa di un macchinista distratto -. Lo stile liberty le caratterizzava nel design. Fanno presto a diventare un must have delle caffetterie dell’epoca, fino a far coincidere i loro nomi -Victoria Arduino, La Pavoni, Condor, La San Marco, Bezzera, Eterna- con lo stesso espresso.
Nel 1912, Giuseppe Cimbali ha capito il potenziale del settore
Così apre la sua piccola bottega per rifornire di caldaie gli stessi produttori di macchine. La prima pietra del futuro di un Gruppo che oggi rappresenta l’eccellenza del suo settore. Bisognerà attendere gli anni ’30 per assistere alla produzione della prima macchina per caffè di Giuseppe Cimbali, La Cimbali Rapida a sviluppo verticale.
Solo nei primi anni ’40 le cose cominciamo a cambiare dal punto di vista delle forme: le macchine da verticali diventano orizzontali e così anche le prestazioni migliorano. I gruppi erogatori posizionati sul medesimo lato hanno bisogno di un solo operatore che, stando fermo, può occuparsi della preparazione del caffè in maniera più efficace. Compaiono anche delle griglie laterali, per mantenere le tazzine riscaldate dal vapore e migliorare l’esperienza di degustazione dell’espresso.
Un solo guizzo di invenzione arriva nel 1936, con il brevetto di Rosetta Scorza Cremonese
Con il rubinetto a stantuffo adottato da Achille Gaggia per il suo bar Achille e poi sviluppato in un altro brevetto esposto alla fiera Campionaria di Milano del 1939, nel gruppo erogatore della crema caffè, il sistema Lampo. Un’idea che viene ripresa e perfezionata sino al 1947, nella soluzione definitiva: una leva manuale, che solleva il pistone contrastato da una molla, così che l’acqua sia libera di entrare in una camera
sopra il macinato. Una volta lasciata andare la leva, la molla rilasciava il pistone, spingendo così l’acqua con una pressione di circa 9bar (5-6 volte superiore a quella ottenuta con il vapore) – L’espresso non sa più di bruciato e al suo posto, compare la crema che tutti noi riconosciamo.
L’espresso assume un corpo moderno.
Gaggia trova un alleato in Ernesto Valente, che aveva avviato la Faema e insieme producono la Classica. Brevetti Gaggia – Officine Faema, così recitava il marchio sulle macchine. Ma le strade di questi due pionieri si dividono presto e procedono parallele senza più incrociarsi.
Poi il buio forzato della seconda guerra mondiale.
Ma torniamo nella bottega di Giuseppe Cimbali seguendo il filo tracciato in Senso Espresso
La piccola bottega aperta nel 1912 ha bisogno di espandersi: ecco che si affitta il locale adiacente per adeguarsi e poi, nel 1922, il trasferimento su un terreno di periferia di 500 metri quadri. Nella seconda metà degli anni ’20 – periodo ruggente, raffigurato da rapaci, belve, bacche di caffè che trionfano sulla sommità delle macchine espresso che sbuffano e schizzano – Giuseppe Cimbali costituisce la società Cimbali e Mussi. Dopo qualche anno, assume la denominazione “Officine Cimbali Giuseppe, Ditta in nome proprio”: ora si costruiscono macchine espresso.
Ora è il momento di realizzare La Rapida. Il focus su questo settore viene sancito definitivamente nel 1945, superata la seconda guerra mondiale, si ricostruisce: ecco che nasce la società in nome collettivo Officine Cimbali Giuseppe, nella sua sede milanese immortalata nelle immagini di Senso Espresso, con una fila di furgoncini targati come l’azienda, la cui scritta spicca sullo sfondo in caratteri bianchi sul nero. Anche il
servizio al cliente deve esser rapido ed efficiente: ed ecco nel testo inserirsi nelle sue forme la Micro Cimbali, parte della flotta milanese.
La Cimbali di questi anni fa riferimento alle linee americane degli anni Cinquanta, come si può ammirare nel modello Stereophonic Seeburg all’interno del libro. Nascono Harmony, Ala, Albadoro e nel 1950 Gioiello, con la tecnologia a leva e la sua estetica dirompente, esposta in Senso Espresso con la sua cromatura dorata e al centro una caraffa verde come alata: eccolo, l’espresso con la sua caratteristica crema, o anche detto, Cimbalino.
Protagonista di una ben congeniata operazione di marketing, che trova il suo spazio nelle pagine di Senso Espresso attraverso lo slogan, colori, volti di una donna che consuma sorridente la tazzina firmata Cimbali.
Da qui, la storia parla di crescita, innovazione, cultura della bevanda: tutto si sposta nello stabilimento di Binasco, dove avviene la magia. Questo fruscio della storia, si può cogliere anche in tutta la sua tecnica, riprendendo dagli archivi del Mumac sulle pagine di Senso Espresso, un esempio di un lucido tecnico di un macinadosatore La Cimbali, risalente al 1964 e fatto a mano.
Dallo stesso archivio, in bianco e nero nel volume, un esempio di juke-box a marchio Faema su concessione Harmonie presentato in fiera nel 1956. La musica dell’espresso, in uno scatto. E poi gli anni sessanta, tinti di rosso: le macchine fanno propria l’influenza della pop art americana e nasce la M15 disegnata da Rodolfo Bonetto: per la prima volta, si vede nel libro, compare la forma a C che da lì in avanti distinguerà i modelli La Cimbali.
Alla famiglia Cimbali si unisce Faema nel 1995: ed ecco che vede la luce il Gruppo di oggi
Nel 1961 avviene un’altra piccola rivoluzione, con il lancio della Faema E61, che proprio quest’anno compie 100 anni, un’icona nella storia dell’espresso italiano. Questo modello è stato la svolta rispetto al precedente sistema a leva, funzionale ma difettoso: con la E61 il sistema dotato di molla viene sostituito da una pompa elettrica che esercita la pressione necessaria e viene inserito un riscaldatore a circolazione a Termosifone (addio caldaia e surriscaldamento dell’acqua).
Poi gli anni ’90, dove si cerca una migliore efficienza energetica, un utilizzo più semplice ed ergonomico, nuovi materiali a minor impatto ambientale, sicurezza e salute di operatore e consumatore. Nel 1991 Faema raccoglie la sfida e produce la E91, dal design che ricorda la E61 con una tecnologia innovativa: microprocessore che permette di programmare le funzioni e la resa.
Parallelamente La Cimbali corre nella gara per trovare un modo di ridurre le operazioni di sgancio e aggancio del portafiltro: ecco la superautomatica M50 Dolcevita. L’elettronica irrompe nel settore e consente di monitorare numerosi parametri.
Senso Espresso si butta nel nuovo millennio
Dove la tazzina diventa sempre più il frutto di innovazioni tecnologiche (improvvisamente tra le immagini d’archivio, spuntano degli smartphone con gli schermi aperti sulle applicazioni) che trasformano le macchine in strumenti flessibili, avanzati, con interfacce utenti semplificate, che mettono al centro il risparmio energetico insieme alle prestazioni elevate. Un esempio di sostenibilità è raffigurato nel profilo di una Slayer Steam, inquadrata nella campagna Slayer in the Wild.
La ricerca si concentra nel migliorare le funzioni e aumentare la personalizzazione e questo avviene anche all’applicazione dell’intelligenza artificiale. Le macchine diventano dei veri e propri gioielli tecnologici in cui però non è dimenticata la tradizione, espressa in un gioco di richiami nello stesso design (ne sono un esempio la Cimbali M100, che fa la sua apparizione trionfale tra le pagine scomposta, così da poter scoprire cosa si nasconde dietro questo strumento di ingegneria, e la Faema E71E). Adesso la carrozzeria della macchina espresso ricorda sempre più il design dell’automobile, così come si può osservare nel modello E71 Touch.
Senso Espresso si conclude così, con le immagini rosse delle pareti esterne al Mumac: nell’era dell’Espresso 3.0, con la tecnologia a servizio di un’estrazione sempre più attenta al profilo aromatico, alla miscela e alla tostatura. Dalla leva sino alle automatiche: mezzo secolo di evoluzione. E ancora il sesto senso, intuisce che c’è tanto ad aspettare il futuro di questo rito.
Concludendo, non un altro libro sul caffè. Sì perché come osserva Barbara Foglia, Mumac manager, più che un libro è un progetto che partendo dalle suggestioni delle macchine per il caffè vuole raccontare il bello, lo stile, il gusto e l’espressione di italianità condivisi e condivisibili da oltre un secolo nel mondo intero.
Senso espresso – Coffee. Style. Emotions.
Pagine 320 – Antiga edizioni
38 euro
disponibile nello shop del Mumac, nelle librerie e su tutte le piattaforme