MILANO – Un’impresa concepita e sviluppatasi nella culla del fordismo italiano – Torino (nella FOTO Giuseppe Lavazza) – , da cui ha desunto il rigore nei metodi e nell’organizzazione. Senza però assorbire le eccessive rigidità della fabbrica, ma trovandosi da subito dotata di una propensione al mercato e ai consumi che nasce dalla sua prima origine – nella città dei Savoia, di fine Ottocento – di negozio di generi coloniali.
Mondadori Electa ha appena dato alle stampe il volume “Lavazza. Una storia industriale dal 1895”, curato da Giuseppe Berta e da Elisabetta Merlo (se ne discuterà mercoledì 7 maggio all’università Bocconi a partire dalle 10,30). Una azienda storica, dunque.
Nel cui percorso uno dei crocevia fondamentali è stato quello della trasformazione da impresa commerciale in impresa industriale. Scrive Stefano Musso, docente di Storia contemporanea all’Università di Torino, in uno dei contributi del volume: «Nel 1954 Lavazza, nella sede di corso Giulio Cesare, vendeva ancora olio e parecchio caffè crudo alle piccole torrefazioni. Il progetto industrialista di Beppe e Pericle, destinato a scontrarsi con la prudenza del primogenito maschio Mario, era incentrato su un grande investimento produttivo, che comportava il concentrarsi dell’impresa su un unico prodotto, il caffè. Fu una decisione tutt’altro che indolore, che portò alla fine Mario a cedere la propria quota ai fratelli. Il nuovo stabilimento di corso Novara avrebbe segnato la fine dell’era artigianale e locale. Si trattò di una scommessa imprenditoriale non priva di rischi: l’ingente investimento nella torrefazione industriale comportava un enorme balzo in avanti della capacità».
Una scommessa vinta, perché in maniera abbastanza rapida Lavazza riesce a imporsi sul mercato italiano. E, soprattutto, ce la fa a penetrare e a radicarsi nella società dei consumi di massa (e dello spettacolo), legando le sue fortune imprenditoriali non solo alla cultura (e al culto) del prodotto, ma anche alle campagne pubblicitarie impersonate dall’attore Nino Manfredi e da una governante.
Scrive Elisabetta Merlo, docente di Storia economica alla Bocconi: «Dal 1979 il ruolo della governante, Natalina, fu impersonato da Nerina Montagnani, la quale nella vita aveva lavorato come governante presso la famiglia Casati Stampa prima di venire scoperta, sessantaduenne, da Fellini, che la chiamò a recitare prima in Giulietta degli spiriti e poi in Satyricon. L’anziana caratterista contribuì a conferire allo spot la funzione di enfatizzare i valori dell’intimità domestica e dell’autenticità delle situazioni rappresentate, in aggiunta alla funzione di esaltare le qualità del prodotto sintetizzate negli slogan “È caffè Lavazza… più lo mandi giù, più ti tira su” e “Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è?”».
Dunque, Lavazza fa parte di quel sistema di imprese che sfruttano appieno le potenzialità della televisione, nuovo focolare domestico che dalla seconda metà degli anni Settanta e soprattutto dagli anni Ottanta si sarebbe duplicato, con la costituzione e il consolidamento della Tv (appunto) commerciale a fianco della Rai.
In quel periodo, inizia anche il processo di internazionalizzazione del gruppo italiano: nel 1982 viene costituita Lavazza France; alla fine degli anni Ottanta sono operative in Austria la Lavazza Kaffee, in Germania la Lavazza Deutschland e negli Stati Uniti la Premium Coffees.
Alla fine degli anni Novanta le consociate straniere sono salite a sette. Il caffè Lavazza è esportato in settanta Paesi. Oggi uno degli snodi dell’internazionalizzazione dell’impresa italiana è rappresentato dagli Stati Uniti, dove la politica di espansione ha come perno l’alleanza con la Green Mountain Coffee Roasters, di cui detiene anche l’8 per cento. Nota nel suo saggio Guido Corbetta, docente di Strategia delle aziende familiari alla Bocconi: «Lavazza è una impresa familiare che continua da quasi centoventi anni e che ha raggiunto una posizione di leadership all’internodel suo settore in vari mercati geografici. La continuità non è un risultato scontato».
E, poi, aggiunge: «Una traccia per spiegare la continuità di successo di Lavazza si ritrova nella volontà dei familiari che hanno guidato l’azienda di perseguire un disegno di crescita di lungo periodo fondato sulla focalizzazione, sull’innovazione e sull’internazionalizzazione».
Un disegno che ha portato i Lavazza a chiamare nel 2011 come amministratore delegato Antonio Baravalle, già stretto collaboratore di Sergio Marchionne come amministratore delegato di Alfa Romeo ed ex direttore generale della Einaudi. In qualche maniera, dunque, la Lavazza rappresenta un canone industriale in cui il capitalismo familiare non rinuncia a una modernizzazione manageriale, che non ne stravolge il codice ma che contribuisce a plasmarne una nuova identità.