MILANO – Sino a qualche anno fa tutti i libri sul caffè, anche quelli di tecnica, cominciavano con la storia del pastore etiope del IX secolo Kalki e delle sue pecore danzanti. Ora non più, l’avevamo imparata alla noia quella storia. Però è restata la curiosità: ma chi è stato il primo a scrivere quella novella? Per lo meno in lingua italiana?
Ebbene il primo autore a raccontare la storia di Kaldi è stato il frate maronita Antonio Fausto Naironi, professore di lingue orientali e autore di uno dei primi trattati a stampa dedicati al caffè, chiamato De Saluberrima potione Cahue seu Cafe nuncupata Discurscus del 1671.
E proprio in quel testo Kaldi osservò le sue capre comportarsi in modo strano dopo aver mangiato le bacche rosse di una pianta di Coffea arabica. Dopo aver assaggiato le bacche il pastore iniziò ad essere iperattivo, merito della caffeina racchiusa nei semi. Così l’uomo decise di portarle i frutti della sua scoperta in un monastero. I monaci, non convinti dagli effetti della sostanza, decisero di buttare le bacche nel fuoco. Ma dovettero rapidamente ricredersi subito dopo aver annusato il piacevole aroma sprigionato dalle fiamme. La sostanza iniziò ad essere utilizzata come il tè e veniva diluita in acqua bollente.
Questa raccontata da Naironi e che abbiamo riassunto brevemente, è sicuramente una storia apocrifa, quasi una leggenda, e si pensa che la pratica di masticare i chicchi di caffè come stimolante fosse in circolazione da secoli prima della presunta scoperta di Kaldi.
I chicchi di caffè molto probabilmente venivano mescolati insieme a del burro, così da conservare e mangiare la sostanza durante i lunghi viaggi.
Quello che sappiamo per certo è che la coltivazione della pianta iniziò nei paesi arabi nel XIV secolo e si diffuse in Egitto, Siria e Turchia.