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Trieste, l’allarme Fipe Vesnaver: in tre anni, chiusi 110 locali

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TRIESTE – Tracciando un bilancio del numero dei bar e dei ristoranti aperti e chiusi in città negli ultimi anni si nota un trend negativo che, partita nel 1997, a oggi non si arresta. Nel solo periodo tra dicembre 2008 e gennaio 2012 Trieste ha perduto 110 locali. Le licenze dei pubblici esercizi oggi sono 1.039, cinque anni fa erano 1.149. Una piccola strage. Eppure nel centro cittadino nuovi bar, pizzerie, ristoranti e gelaterie spuntano come funghi. «È appena fuori dal cuore della città, in periferia – precisa Bruno Vesnaver, ristoratore e presidente della Fipe, il sindacato dei pubblici esercizi aderente alla Confcommercio – che registriamo un numero preoccupante di chiusure. Siamo troppi e dal punto turistico restiamo solo una città di passaggio. Serve un intervento urgente da parte del Comune».

Ci sono vie, a Trieste, dove ogni venti metri è stato aperto un locale. Basta fare due passi in via Torino, in via San Lazzaro o in Cittavecchia per accorgersi della concentrazione

Nei rioni più periferici invece le nuove iniziative latitano. E le vecchie trattorie, le latterie e i caffè continuano a tirare giù le serrande. «Il Comune deve studiare un piano per regolamentare in qualche modo le licenze, anche se c’è la liberalizzazione – spiega Vesnaver – in modo tale da spalmare l’apertura di nuovi esercizi pubblici su tutto il nostro territorio. Da parte nostra siamo disponibili a collaborare, a trovare insieme una soluzione».

La liberalizzazione delle licenze dei pubblici esercizi contenuta nel Decreto Bersani del 2006 e la soppressione del Rec, il registro dei pubblici esercizi, ha permesso in qualche modo a chiunque di aprire un locale ovunque. Una boccata d’ossigeno allora per chi voleva investire in questo campo che ora si sta rivelando un vero boomerang. «Non ci sono congressi, le esposizioni fieristiche sono ridotte al minimo, le mostre non sono di richiamo nazionale – commenta il presidente della Fipe – la città non riporta risultati turistici da capogiro».

Così chi ha meno professionalità o le spalle economicamente meno coperte è costretto a chiudere.

La concentrazione di locali pubblici in certe vie della città crea non pochi problemi anche di ordine pubblico

I residenti protestano, gli avventori rivendicano il loro diritto di divertirsi o di fumare all’aperto, i gestori quello a poter lavorare. «L’aumento dei turisti per ora non ci sarà, si vive di turismo per pochi mesi all’anno – sottolinea Vesnaver – per rilanciare l’economia del comparto del commercio è obbligatorio fare pressioni su chi ha la responsabilità del rilancio del fronte mare e soprattutto della Stazione Marittima che deve assolutamente ritornare a essere una struttura appetibile per chi organizza congressi».

In caso contrario, senza un’inversione di tendenza, secondo Vesnaver quella tra i gestori dei locali pubblici si ridurrà ad una guerra tra poveri. Le strutture alberghiere sono le uniche a non aver registrato delle chiusure. Ma anche chi ha investito nella ricezione necessità di nuova linfa. «I bar di Trieste che riescono a vivere bene, che hanno bilanci in attivo, che non hanno problemi – specifica il presidente Fipe – non sono più di cinque, sei. Gli tirano avanti ma non sono in salute».

Va ricordato che a livello nazionale, da anni, Trieste vanta una delle percentuali più elevate nel rapporto tra numero di esercizi pubblici e residenti

L’appello di Vesnaver all’amministrazione comunale è chiaro ed esplicito: «O il Comune interviene mettendo delle regole o qui siamo alla disperazione. Non se ne può più, ogni foro commerciale libero ormai diventa un bar». Gli esercenti non ne possono più degli improvvisatori. Lo stesso presidente propone anche che a chi apre un esercizio pubblico venga imposto di frequentare dei corsi formativi o che, quantomeno, chi vuole intraprendere questo tipo di attività debba dimostrare almeno alcuni anni di esperienza. «Altrimenti – sostiene – in questa giungla rischia di venir meno anche l’ospitalità». Fonte: il Piccolo

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