MILANO – La notizia dell’apertura del flagship Lavazza a Shanghai, a fine aprile dello scorso anno, ha fatto sensazione. Innanzitutto perché l’inaugurazione avveniva nel pieno della crisi sanitaria, con ristoranti, caffetterie e bar chiusi al pubblico in buona parte del resto del mondo.
Ma anche perché il lancio veniva accompagnato dalla dichiarazione di un intento molto ambizioso: quello aprire un migliaio di insegne Lavazza in terra cinese entro il 2025.
A distanza di quasi un anno e mezzo dal taglio del nastro, Bloomberg Businessweek fa il punto sull’operazione, con un approfondimento a firma di Flavia Rotondi e Daniela Wei.
Lavazza fa leva sulla sua tradizione ultracentenaria per conquistare il mercato cinese
Con gli elementi decorativi, le macchine da caffè tradizionali e le finiture in marmo, il locale pilota sorto nella capitale economica della Cina evoca “un’atmosfera da Dolce Vita”, che punta ad attrarre i consumatori sensibili al fascino del lusso e dello stile italiano.
Ritagliarsi una fetta del ricco mercato cinese non sarà però impresa facile per Lavazza, osserva Bloomberg.
A Starbucks è servita oltre una dozzina di anni per raggiungere il traguardo dei 1.000 coffee shop aperti. E oggi, la compagnia di Seattle è il competitor dominante con oltre 5 mila locali.
Oltretutto, Starbucks ha decenni di esperienza specifica. A differenza di Lavazza, che è soprattutto un torrefattore. E che ha aperto sin qui, oltre a Shanghai, due soli flagship, a Londra e Milano.
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