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venerdì 22 Novembre 2024
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Palermo, l’espresso della mafia imposto ai bar. La finanza ha sequestrato la Caffè Florio e la Cieffe Group società del boss Maniscalco, vicino a Totò Riina

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PALERMO – Adesso Cosa nostra ha anche il suo caffè espresso, che cerca di imporre ai bar del centro. Il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza ha scoperto che dietro la società Caffè Florio, che rifornisce decine di locali a Palermo e in tutta la Sicilia, ci sarebbe un boss ritenuto da sempre vicino a Totò Riina: Francesco Paolo Maniscalco, 49 anni, già condannato in via definitiva per associazione mafiosa. Per questa ragione, la “Caffè Florio sas di Zaccheroni Maria e c.”, con sede legale in via Paolo Emiliani Giudici 4/b, è stata sequestrata dal gip Riccardo Ricciardi su richiesta del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e del sostituto Dario Scaletta.

Il sequestro è scattato anche per altri beni che Maniscalco avrebbe gestito tramite prestanome: il bar Trilly di via Giacomo Cusmano 36, il bar Intralot di via Carlo Pisacane 10, la palestra Body Club di via Dante 58. Tutti restano aperti, affidati alla gestione di un amministratore giudiziario. Sequestrata pure la società Cieffe Group, che avrebbe dovuto sostituire la Caffè Florio, e ha la sua stessa sede sociale. Nel registro degli indagati sono finite dodici persone, che a vario titolo sono soci o amministratori dei beni sequestrati. Si tratta di Daniela Bronzetti (la moglie di Maniscalco), Maria Donis Zaccheroni, Antonino Prester, Francesco Paolo Davì, Giovanna Citarella, Paola Carbone, Antonella Cirino, Giuseppe La Mattina, Teresa Maria Di Noto, Salvatore Dolcemascolo, Laura Seminara e Giuseppe Calvaruso.

Intercettazioni e accertamenti patrimoniali hanno svelato che Maniscalco si occupava quotidianamente delle sue società, soprattutto la Caffè Florio che era il fiore all’occhiello del patrimonio del boss. Secondo la ricostruzione della procura, i titolari di molti bar sarebbero stati avvicinati con modi alquanto sbrigativi perché acquistassero il Caffè Florio e troncassero i rapporti commerciali con tutti gli altri fornitori, anche molto noti. Per una di queste imposizioni, ricostruita attraverso le dichiarazioni del pentito Marco Coga (ex titolare di un bar pasticceria), la procura chiedeva di arrestare Maniscalco e Calvaruso per estorsione.

Ma il gip non ha concesso il provvedimento, ritenendo che non ci fossero esigenze cautelari: secondo l’ordinanza di Ricciardi, i fatti sono troppo lontani nel tempo, quasi dieci anni fa, e oggi Coga non vive più a Palermo, perché inserito nel programma di protezione per i collaboratori di giustizia. Il racconto di Coga non lascia comunque dubbi: “Venne Giuseppe Calvaruso – ha raccontato – mi disse: “Pigliati il caffè di Maniscalco, te lo devi prendere, perché se lo stanno prendendo tutti al Villaggio (Santa Rosalia, ndr)”.

La Guardia di finanza ha appurato che nonostante gli esigui redditi dichiarati al fisco, Maniscalco e la sua famiglia conducevano un elevato tenore di vita. Dopo la sua scarcerazione (dicembre 2006), l’uomo ha visto aumentare notevolmente il numero dei propri clienti, addirittura +300% in un solo anno. Il valore delle aziende in sequestro si aggira sui 4 milioni di euro. A scorrere le intercettazioni della Guardia di finanza, emerge che sono tanti i bar del centro che si rifornivano da Maniscalco. Mai nessuno, però, ha denunciato ricatti e imposizioni sulle forniture.

Fonte: palermo.repubblica.it

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