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Lavoro etico e caffè: i ragazzi del collettivo Malatesta ce l’hanno fatta

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LECCO – A Lecco un gruppo di ventenni, cinque ragazzi e una ragazza, studenti universitari e neolaureati hanno deciso di provare a crearsi un posto di lavoro etico, tostando il caffè equo e solidale. .«Se vuoi cambiare il mondo, comincia dalla tazzina di caffè». Sono passati più di 30 anni, ma quello slogan dell’allora nascente movimento del fair trade in Italia è ancora attuale. Un po’ perché degli 80 milioni di fatturato annuo delle organizzazioni di commercio equo e solidale in Italia aderenti ad Agices (Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale), il caffè rappresenta sicuramente uno dei prodotti più venduti insieme a tè, zucchero di canna e cioccolato. Un po’ perché anche chi nel 1980, quando aprì la prima bottega del mondo in Italia, non era ancora nato, continua a crederci e s’inventa un lavoro equo pure lontano dal Sud del mondo.

Lavoro etico: come costruirselo

A Lecco, infatti, un gruppo di ventenni, cinque ragazzi e una ragazza, studenti universitari e neolaureati hanno deciso di provare a crearsi un posto di lavoro etico, tostando il caffè equo e solidale. Cosa c’è di nuovo? I ragazzi del Collettivo Malatesta, da cui prende il nome anche il loro caffè, applicano su se stessi le stesse regole del fair trade per i produttori del Sud del mondo.

Dal precariato alla torrefazione

Solitamente, il caffè equo, una volta giunto in Italia, viene tostato da torrefazioni artigianali o industriali che lavorano anche il prodotto delle più o meno note marche commerciali. «Vogliamo che il lavoro sia riconosciuto nel modo giusto sia nel Sud che nel Nord del mondo», spiegano i ragazzi, tutti con esperienze occupazionali precarie alle spalle, «con una retribuzione equa anche qui da noi. Per questo motivo, nella nostra torrefazione artigianale, ci sforziamo anche di prendere decisioni in maniera anti-autoritaria e condivisa».

Lavoro etico: un mercato che resiste alla crisi

Ma in tempi di crisi, può sembrare controproducente produrre caffè fair trade che come è noto, proprio per riconoscere il «prezzo equo» e il prefinanziamento ai produttori del Sud del mondo, è più caro del prodotto commerciale. Tuttavia basta dare uno sguardo al rapporto 2011 di Agices (l’associazione di categoria che raggruppa produttori, importatori e botteghe del mondo in Italia) basato su dati del 2009 per capire che, nonostante le ristrettezze economiche, il commercio equo resiste alla crisi.

Nel 2009, infatti, il fatturato complessivo delle 92 organizzazioni di commercio aderenti ad Agices ha subìto un calo dello 0,64% rispetto all’anno prima. Nello specifico il fatturato del fair trade italiano è passato da 80.072.568 euro a 79.557.153 euro. Il 91% del ricavi proviene rigorosamente da prodotti del commercio equo, il 35% (24 milioni e 600 mila euro) viene venduto al pubblico tramite le 270 botteghe del mondo sparse sul territorio italiano, il 46% (34 milioni) ad altri soggetti dell’economia solidale italiana e un buon 14% (9 milioni) a soggetti commerciali, come la grande distribuzione organizzata.

In media 3 quintali di caffè al mese

Ornando ai sei ragazzi lecchesi, dunque, non è certo facile proporre il loro prodotto. Con la loro torrefazione lavorano mediamente 3 quintali al mese di caffè che trasformano in due varietà, miscela e arabica. «Il commercio equo fa già tanto per i produttori del Sud del mondo», hanno spiegato i giovani torrefattori, «ma noi ci proponiamo esplicitamente di fare un passo in più, ovvero di fare attenzione alle regole del fair trade anche nella trasformazione del prodotto qui da noi».

In cerca di lavoro etico e di motivazione

Tutto nasce dall’esigenza di trovare un lavoro retribuito in modo giusto, ma soprattutto da una vecchia, ma ancora funzionante, macchina per la torrefazione che giaceva inutilizzata nel magazzino del gruppo d’acquisto solidale (Gas) «Quelli della sporta» di Lecco, di cui i ragazzi fanno parte.

«La macchina cominciava ad essere un problema perché toglieva spazio al nostro Gas», dicono Cristiano, Nicolò, Jacopo, Matteo, Elisa e Edoardo, «così l’abbiamo trasformata in una risorsa. Con la collaborazione del proprietario abbiamo imparato il mestiere da zero, cominciando ad usare la macchina».

Senza intermediari e vendita diretta

I ragazzi del collettivo Malatesta spiegano anche che all’inizio acquistavano il caffè certificato biologico ed equo da un importatore tradizionale. «Ora, invece, abbiamo eliminato quasi del tutto l’intermediario, appoggiandoci sulla centrale d’acquisto marchigiana Mondo solidale per il caffè del Guatemala, la cooperativa tedesca Cafè Libertad e la rete Cordinadora per il caffè zapatista del Chiapas. Vendiamo il nostro caffè principalmente ai Gas della zona e ai mercatini, ma abbiamo avuto contatti anche con locali e gelaterie di Seregno e Padova. L’obiettivo è di costituire una cooperativa che dia lavoro ad almeno due di noi, ma per farlo dobbiamo riuscire a lavorare almeno una tonnellata al mese di caffè». Fonte: lettera43.it

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