MILANO – L’intervento di Enrico Meschini: “Sono il presidente e socio fondatore dell’Associazione Caffè Speciali Certificati, rappresento la quarta generazione della mia famiglia che si occupa di caffè. Al momento sono amministratore unico dell’Arcaffè Estero srl e presidente de Le Piantagioni del Caffè. Da 20 anni viaggio attorno al mondo alla ricerca di caffè realmente speciali e mi dedico con passione all’assaggio. Ho partecipato a 3 Cup of Excellence e ad altrettanti Late Harvest competition come giurato internazionale, oltre ad aver organizzato una competizione internazionale di assaggio in espresso. Ho ideato e registrato un sistema per l’assaggio in espresso.”
Enrico Meschini, come vede l’attuale situazione del caffè espresso in Italia e all’estero?
“A mio modo di vedere la qualità dell’espresso in Italia è andata decrescendo coll’incremento del costo del caffè Arabica sui mercati internazionali. Lo stessa tendenza si è verificata all’estero, ma con una maggiore attenzione alla qualità. In particolare, in Italia il livello di conoscenza è sempre estremamente basso e basso e negli ultimi 10 anni l’incremento del livello di conoscenza rispetto a quanto è avvenuto in molti paesi è stato estremamente debole.
Che, poi, all’estero non si abbia ben chiaro in cosa consista un espresso, conta abbastanza poco, visto che, anche in Italia più che altro se ne chiacchiera”.
Quali sono gli elementi chiave per una crescita della qualità del caffè espresso?
Enrico Meschini: “Pochi elementi: la volontà di farlo, la conoscenza del prodotto. Il fatto che continui a parlare di “monorigini” ci dice che non si vuole fare qualità, ma solo operazioni di maquillage: sarebbe come voler valorizzare il vino italiano raccontando solo che proviene dall’Italia”!
Quali strumenti attuare per una maggiore diffusione del concetto “dell’espresso italiano” all’estero?
“Punto assolutamente critico. Il concetto di espresso è ormai universale ed il fatto che si produca in Italia rischia di diventare marginale, visto che il nostro livello qualitativo medio di caffè esportato resta basso. Come si può parlare di valorizzazione di un prodotto che, nella maggior parte dei casi non svela nessuna particolare caratteristica se non la sua eccessiva tostatura, l’amarezza ed una spiccata difettosità? In Italia non credo che ci possano essere problemi di sopravvivenza, ma di inquinamento da additivi, che, in ultima analisi, non porta ad una diminuzione del consumo.
Per quanto riguarda l’estero, invece, la sistematica assenza di italiani nelle manifestazioni innovative degli ultimi 20 anni, hanno minato la credibilità italiana, sempre che ne avessimo una e gli organi competenti, come tutti sappiamo, si sono sempre disinteressati del problema “espresso italiano”. A tutt’oggi non si incontrano, se non molto raramente, italiani a giro per il mondo, senza considerare le gite organizzate.
Come spesso ci accade, non abbiamo voci autorevoli che ci rappresentino e quelle poche che ci sono state non hanno affrontato mai il problema perché, ormai, l’espresso era entrato a far parte del patrimonio universale. A noi non rimane che augurarci che molte più di oggi siano le torrefazioni italiane che nel curare la qualità, escano dagli stereotipi e dai luoghi comuni, cercando di aumentare la loro conoscenza del prodotto all’origine e comincino a certificare la loro qualità e/o la provenienza dei loro prodotti..”