NEW YORK – Dalla Grande mela, il nuovo trucco dei bar che tengono la musica altissima per far bere di più. Una pratica che poi anche nei negozi e nei ristoranti ha preso piede: più è alto il volume più si consuma. A dirlo non è il solo luogo comune, ma anche diverse ricerche scientifiche. Un modo per aumentare le entrate e per lasciare anche contenti gli avventori. Leggiamo come funziona questo meccanismo dall’articolo di Eva Perasso su corriere.it.
New York trova il modo: basta alzare il volume
«Pump up the volume», su il volume, cantava e suonava uno dei più grandi successi house britannico della fine degli anni Ottanta. E a New York, di questi tempi, è diventato uno scaltro imperativo categorico per bar, ristoranti, locali notturni, ma anche per palestre e negozi di abbigliamento. Perché il volume, più sale e più invoglia a consumare, lo hanno dimostrato negli anni anche diverse ricerche scientifiche: un altro aperitivo, un cocktail, un piatto in più, uno snack tra una chiacchiera urlata e due salti in pista. Addirittura, notizia preziosa per i ristoratori, sarebbe il ritmo della musica a decretare quello della masticata: più è alto, più si ingurgita il cibo velocemente.
La tendenza
I volumi dei locali di Manhattan negli ultimi tempi hanno messo in atto questa tecnica per alzare il numero di consumazioni ordinate: anche il New York Times ha provato a misurare le intensità dei rumori in 37 esercizi commerciali famosi e molto frequentati tra bar, night, palestre e negozi del centro di New York, in un reportage che ha raccolto i decibel e le esperienze dei clienti.
Il minimo di decibel registrato? Sempre sopra ai 90, ben oltre i livelli registrati nella stessa città per esempio su un treno per pendolari (84 decibel in media). Una tecnica che, come confermano ingegneri del suono e addetti del settore, paga senz’altro in termini di fatturato, ma che nuoce prima di tutto ai dipendenti di questi bar e negozi, esposti anche per 8-10 ore di seguito ai bassi e alle melodie ad altissimo volume. Senza alcuna protezione alle proprie orecchie.
Tra gli esempi citati dal NEw York Times: la discoteca Beaumarchais
Con una media di 99 decibel, a cui nessuno dovrebbe rimanere esposto per oltre 1,5 ore, oppure i 96 decibel del ristorante Lavo di Manhattan, ma anche gli oltre 100 di una palestra della Upper West Side, o gli altrettanti del negozio di abbigliamento Abercrombie.
D’altronde, che si mangi di più a ritmo non è una novità: uno studio scientifico francese, dell’università della Bretagna del Sud, nel 2008 aveva analizzato il numero di consumazioni a seconda del volume nel locale. Risultato: a 72 decibel gli avventori ordinavano in media 2,6 drink e impiegavano 14,5 minuti per finirne uno; alzando gli altoparlanti a 88 decibel percepiti dall’orecchio, i drink diventavano 3,4 e i minuti per finirne uno scendevano a 11,5.
Per poi passare al ritmo del boccone masticato: una ricerca del 1985 citata dal Times della Fairfeld University del Connecticut aveva dimostrato come aumentando i bpm (beats per minute) delle canzoni ascoltate anche solo di mezzo punto, i clienti finivano i loro piatti più velocemente. Presumibilmente, ordinandone poi ancora, per poter prolungare la propria permanenza nel locale.
Caccia ai clienti giovani
In molti casi, la mossa di alzare il volume e aumentare il ritmo è una tecnica per assicurarsi una clientela giovane messa in atto soprattutto dai nightclub e dai negozi per giovani. Lo fa senza negarne l’evidenza Abercrombie, che sulle casse ad alto volume e sull’intrattenimento nei suoi negozi ha costruito un impero (partendo dal presupposto che più si resta dentro all’esercizio commerciale e più si finirà per acquistare, e che le mamme sarebbero scappate dal negozio lasciando ai figli la carta di credito in mano).
Lo fanno anche i bar, i club, i ritrovi da happy hour con dj set di Manhattan a New York: per scongiurare orde di ultra trentenni con voglia di chiacchierare e riempire invece il locale di ventenni più vogliosi di consumare un drink dietro l’altro, alzano il volume. Per fortuna però, non funziona così ovunque e restano, nella Grande Mela, ristoranti e bar dove la musica continua a essere un sottofondo lontano, e l’aperitivo scorre lento tra una chiacchiera, un sorso e una battuta.