MILANO – Da Nord a Sud tutta l’Italia è unita dal rito del caffè (con buona pace dei napoletani e della diatriba attorno alla candidatura Unesco) e lo dimostra la storia custodita dai numerosi locali storici sparsi per lo Stivale. E’ qui che spesso si è scritta la storia, sono avvenuti incontri tra i protagonisti della società e della cultura tricolore e hanno resistito alla prova del tempo. Leggiamo un articolo di Antonia Batarrese da harpersbazaar.com.
Locali storici: molto più di semplici bar
“Leggendo le memorie di Simone de Beauvoir, gli incontri al caffè de Flore nella Parigi anni Trenta, tutto quel fermento, beh, si parva licet, il caffè Rosati allora era il nostro Flore, ma noi come spesso accade, non ce ne rendevamo conto”. L’attrice Paola Pitagora ricorda così, fra le pagine del suo libro Fiato d’artista edito da Sellerio (il titolo è preso in prestito da un’opera di Piero Manzoni, un palloncino gonfiato) il celebre bar di Piazza del Popolo a Roma. Teatro di incontri e scontri, amori e gossip, successi e insuccessi, gente in piedi o seduta, il Caffè Rosati era luogo privilegiato del dibattito culturale fra gli anni Sessanta e Settanta. Arrivavano a bordo di rombanti MG bianche, rosse o verdi i giovani artisti belli e dannati, sempre vestiti di nero: Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa in compagnia di amiche e fidanzate strepitose come Marina Lante, Anna Carini, Anita Pallenberg.
Da Rosati, di ora in ora, si avvicendavano le varie categorie di intellettuali: iniziavano i poeti e gli scrittori nel primo pomeriggio
Da Sandro Penna a Giuseppe Ungaretti, da Alberto Moravia a Elsa Morante. Seguivano gli artisti della Scuola Romana di Piazza del Popolo, che gravitavano attorno alla vicina Galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis e si incrociavano con critici e direttori di musei. Al tramonto, arrivavano gli stilisti: Valentino, Pino Lancetti, Roberto Capucci, Irene Galitzine.
Dopocena, i tavoli di Rosati erano tutti per i cinematografari: Fellini, Antonioni con la Vitti, Pasolini, Ennio Flaiano. Proprio quest’ultimo, con lo humor che lo contraddistingueva, raccontava così la vita in eterna fibrillazione della zona: “Piazza del Popolo sta diventando infrequentabile. È ormai provato che gli intellettuali sono la rovina dei quartieri perbene. Si insediano in un posto e questo dopo pochi anni diventa alla moda. Tutto cambia e quando la vita diventa impossibile ecco gli intellettuali che trasmigrano verso un altro punto della città per rovinarlo”.
E a Roma quel punto si identificò con l’Antico Caffè della Pace (inaugurato nel 1891 ha chiuso i battenti nel 2016), non lontano da Piazza Navona: strade anguste, brulicanti di turisti e vista sul Chiostro del Bramante. Fu qui che nacque la cosiddetta Transavanguardia, situazione artistica che metteva insieme Sandro Chia e Francesco Clemente, Enzo Cucchi e Mimmo Paladino. “Era bello trovare il tavolo riservato a qualsiasi ora del giorno e della notte, guardarsi intorno e riconoscere personaggi internazionali. Ti faceva sentire importante in un luogo mitico del centro di Roma, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Una sorta di teatro dell’intelligenza e dell’umorismo. C’erano tanti locali ma il Bar della Pace aveva qualcosa di speciale e indimenticabile”, ricorda Sandro Chia dal suo studio oltreoceano.
Dalla Capitale a Brera, quartiere un tempo bohémien di Milano
Dove da oltre cento anni il Bar Jamaica fa da sentinella alle avanguardie artistiche: proprio qui, nel 1987 Aldo Mondino, che dipingeva dervisci danzanti, si presentò a cavallo di un cammello chiamato Badoglio per un party arabo. Prima di lui, nelle sale impregnate di fumo del Jamaica (che deve il nome a un film di Alfred Hitchcock, Jamaica Inn) discutevano, bevevano e giocavano a carte Lucio Fontana e Piero Manzoni a cui la città di Milano ha intitolato una piccola via proprio lì accanto: Vicolo Piero Manzoni.