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venerdì 22 Novembre 2024
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Israele riprende a vivere: dopo i vaccini fatti a tutti, i locali sono aperti e pieni

Ci sono appuntamenti ogni 4 minuti e quando il vaccinatore si trova di fronte al paziente o alla paziente ha già letto tutti i suoi dati (compresi eventuali rischi di controindicazioni) sul suo computer.

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TEL AVIV – Mentre tutta Italia deve fare i conti con le nuove zone rosse e e chiusure sino a maggio, aumentando il disagio di molti gestori di locali, c’è un luogo lontano dove si ricomincia a vivere all’insegna della normalità: siamo in Israele, a Tel Aviv, dove i ristoranti sono aperti e ben frequentati. Leggiamo i dettagli dall’articolo di Elena Tebano su corriere.it.

Tel Aviv rinasce dopo i vaccini

«I ristoranti: pieni. I caffè: anche. I negozi: affollati. Sulla passeggiata: persone che si abbracciano, si baciano e ridono». La scena descritta sul settimanale tedesco Zeit sembra un sogno, o il ricordo, ormai sfocato, della vita «prima». Invece è Tel Aviv, in Israele, adesso, grazie alla campagna di vaccinazione.

«Solo le mascherine, che gli israeliani devono ancora indossare per strada, sono un promemoria che non tutto è come prima, anche se molti la tengono sotto il mento. Ma questo non disturba nessuno qui, nessuno ha più paura. Perché poco più del 60 per cento dei nove milioni di israeliani hanno ricevuto la loro prima dose, e il 50 per cento ha già fatto entrambe.

Il tasso di infezione, il cosiddetto valore Rt, all’inizio di questa settimana era solo dello 0,62, rispetto all’1,12 della Germania. Nelle 24 ore tra domenica a lunedì ci sono state in Israele solo 354 nuove infezioni e nel Paese ci sono solo 548 persone ancora gravemente malate.

Una settimana fa l’ospedale Ichilov di Tel Aviv ha celebrato la chiusura della sua ultima unità di terapia intensiva per il Covid. La vita di prima è tornata. Finalmente» prosegue la Zeit.

In molti lo hanno definito «un miracolo», la Zeit spiega che invece è stato il risultato di «flessibilità, pragmatismo e digitalizzazione»

Uno dei fattori che hanno permesso una vaccinazione così veloce è l’esistenza di un’organizzazione centralizzata capace di mobilitare capillarmente la popolazione (a differenza di quanto succede in Germania, ma anche in Italia) sviluppata dal Paese in anni di conflitto con i Paesi vicini. Gli appuntamenti possono essere prenotati comodamente via app o online: «ci vogliono meno di due minuti».

Ci sono appuntamenti ogni 4 minuti e quando il vaccinatore si trova di fronte al paziente o alla paziente ha già letto tutti i suoi dati (compresi eventuali rischi di controindicazioni) sul suo computer.

«I molto anziani che arrivano alla stazione di vaccinazione accompagnati vengono vaccinati insieme alle loro giovani badanti filippine, anche se non è ancora il loro turno». Si vaccina «sette giorni su sette, 24 ore su 24. Il più velocemente possibile, il maggior numero di persone possibile» prosegue il settimanale. È un esempio che l’Unione europea potrebbe e dovrebbe imitare. Sono stati allestiti anche centri di vaccinazione per richiedenti asilo e migranti, nei quartieri più poveri: vengono pragmaticamente vaccinati anche coloro che sono senza permesso di soggiorno. La parte più difficile della campagna di vaccinazione è stata superare l’opposizione degli ebrei ultraortodossi che vedevano nell’epidemia un «dono» di Dio, che in quanto tale non poteva essere rifiutato.

Bnei Berak, città ultraortodossa di circa 200 mila abitanti che confina con Tel Aviv, è stata per mesi uno dei focolai dell’epidemia

Le cose sono cambiate quanto alcuni rabbini della comunità hanno accettato di farsi vaccinare in tv, convincendo anche i loro fedeli. Chi ha ricevuto entrambe le dosi ottiene un passaporto verde che si carica sullo smartphone e permette di andare al ristorante in caffè e palestre, hotel. L’Orchestra Filarmonica di Israele è tornata a suonare di fronte a un pubblico. Lentamente stanno ripartendo gli eventi culturali.

Rimane però un enorme buco nella campagna di vaccinazione israeliana, come racconta la Bbc: i territori palestinesi. All’inizio Israele ha offerto le vaccinazioni solo ai palestinesi di Gerusalemme Est, che hanno lo status di residenti israeliani. Non agli altri, almeno fino all’inizio di questo mese, «quando — scrive ancora la Bbc — ha deciso di iniziare a vaccinare tutti i palestinesi che vengono a lavorare in Israele o negli insediamenti israeliani in Cisgiordania». Fino ad ora i circa cinque milioni di palestinesi di Gaza e della Cisgiordania erano rimasti esclusi dal piano di vaccinazione.

Le Nazioni Unite hanno dichiarato che tocca a Israele garantire loro un equo accesso ai vaccini anti Covid, e che il diritto internazionale prevale sugli Accordi di Oslo a cui si appella il ministro della Sanità israeliano Yuli Edelstein per attribuire ai palestinesi la responsabilità esclusiva dell’assistenza sanitaria. I palestinesi sostengono che proprio gli Accordi di Oslo indicano che in caso di epidemia ci debba essere una collaborazione da parte di Israele.

Di fatto sulla questione si è aperto l’ennesimo conflitto, che vede i palestinesi esclusi dai diritti riservati agli israeliani. Eppure l’epidemia dovrebbe aver insegnato che la salute di alcuni non si protegge se non si protegge la salute di tutti, anche perché il diffondersi incontrollato del virus nei territori vicini potrebbe favorire l’evoluzione di varianti e mutazioni resistenti ai vaccini oggi disponibili.

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