MILANO – La torrefazione marchigiana e romagnola Pascucci ha origini lontane e di avversità ne ha dovute affrontare e soprattutto superare, tante. Non ultimo l’arrivo del Covid, che ha messo a dura prova tutto l’horeca e i fornitori e che però non ha fermato le strategie di un’azienda che procede decisa nei suoi progetti con i coltivatori. Leggiamo i dettagli dal sito ilgiorno.it.
Pascucci porta avanti le sue 4 rivoluzioni
Un balcone che dà sulla riviera marchigiana e romagnola, quello della torrefazione Pascucci. Una storia nata nel secolo scorso attraverso il commercio del caffè, ma che prende vita nel primo dopoguerra con l’apertura del primo caffè a Monte Cerignone e installa anche la prima macchina per l’espresso. Ma non solo caffè, ma anche sorbetti e quindi oggi anche cioccolatini.
Una gamma di prodotti che la torrefazione Pascucci vende in tutto il mondo attraverso caffetterie con filiali in 25 paesi. Un processo di espansione commerciale che si sta allargando anche attraverso la vendita online.
Un’azienda di famiglia quella dei Pascucci. E di successo, perché oggi questo gruppo che ha fortissime radici, ha abbracciato la linea del bio attraverso accordi con i produttori delle regioni più povere del mondo dando al business del caffè una fortissima connotazione sociale e di aiuto all’emancipazione di popolazioni poverissime.
Oggi la torrefazione Pascucci, che mantiene le sue radici a Monte Cerignone, è una realtà da 22 milioni di fatturato con 110 dipendenti
A corollario di questi numeri ci sono anche 650 caffee shop (nella foto in alto) sparsi in Italia e in tutto il mondo. A guidare questa impresa è Mario Pascucci, amministratore delegato. La svolta di questo brand del caffè è arrivata all’ultima fiera del settore il Sigep di Rimini dove la Pascucci ha presentato il suo progetto rivoluzionario: una miscela di caffè arabica proveniente da Burundi ed Etiopia e che va a di là della produzione del blend Mama Africa.
“Lo stimolo – racconta Mario Pascucci – nasce in Burundi, un piccolo produttore di caffè che però rappresenta l’80 per cento del Pil del paese. È una delle aree più povere del mondo e il caffè rappresenta una delle poche fonti di sostentamento. In Burundi, che oggi produce solo caffè lavati, nell’area di Kayanza abbiamo creato assieme a Shamba un centro sperimentale denominato Kawasili. È un centro di analisi e controllo, di raccolta, ma soprattutto di relazione quotidiana con gli agricoltori, si apporta conoscenza e formazione agricola con lo scopo di ottenere quattro rivoluzioni”.
Quali sono? Eccole:
La prima è quella di lavorare un caffè del Burundi con metodi naturali, un progetto che oggi sul mercato non esiste. La seconda rivoluzione è quella di sensibilizzare ed aiutare direttamente gli agricoltori ad unirsi in cooperative organizzate.
“Questo sistema di condivisione – continua Pascucci – tipico delle comunità dell’America Latina non è diffuso o per nulla conosciuto in Africa dove il piccolo agricoltore svende ancora il proprio raccolto, spesso ottenuto in modo primitivo, al primo commerciante che passa. Poi c’è un terzo aspetto che è quello di aiutarli nelle certificazione biologica perché quasi tutti i piccoli produttori in Burundi non fertilizzano e non utilizzano antiparassitari. Sono quasi tutti produttori di biologico, senza saperlo e non sanno neanche che il loro prodotto può avere più valore”. Ultimo ma non meno importante, anche l’intervento sociale all’interno delle stesse famiglie.