MILANO – La notizia è di quelle che fanno discutere. Sì perché il caffè brasiliano ha conquistato la Borsa di New York. Ma che cosa è successo? Accade che le scorte certificate dell’Ice Arabica sono in nettissima ripresa in questo inizio anno. Venerdì 28 gennaio sono risalite a oltre 1,6 milioni di sacchi, da poco meno di 1,1 milioni a metà dell’anno scorso. La grande novità è che a ricostituire gli stock della borsa di oltre Atlantico ci ha pensato soprattutto il Brasile: ormai il caffè del primo produttore mondiale costituisce il 37,4% degli stock certificati, mentre la quota dell’Honduras, origine che forniva oltre i due terzi delle scorte certificate sino all’anno scorso, è scesa al 50%.
Nulla di strano, potrebbero pensare i non addetti ai lavori, dal momento che stiamo parlando del più grande produttore mondiale di caffè. Se non fosse che, appena un anno fa, il Brasile forniva una quota insignificante (lo 0,05%) di queste scorte. Cosa è successo?
Per quanto possa sembrare strano, perlomeno ai non esperti, il caffè brasiliano è stato ammesso all’Ice Arabica appena nel 2010 (prima scadenza: marzo 2013). E limitatamente ai caffè lavati e semi lavati.
La maggior parte della produzione brasiliana è costituita tradizionalmente da arabica naturali, anche se lavati e semi lavati hanno un ruolo sempre più importante e i loro raccolti sono notevolmente cresciuti in tempi recenti.
Per molti anni tuttavia, le consegne di caffè brasiliano sono state rarissime.
Tutto è cambiato a partire dalla prima settimana di settembre dell’anno scorso, quando nei magazzini di Anversa venivano certificati 855 sacchi di caffè, raddoppiando in un solo giorno il modestissimo volume totale dei caffè brasiliani detenuti dalla borsa.
Da quel momento in poi, le consegne si sono intensificate a ritmo esponenziale. Come peraltro previsto già durante l’estate dagli analisti.
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