VENEZIA – Abbiamo detto più volte che neppure i locali storici sono immuni agli effetti del virus: a rischio anche queste attività che hanno segnato il passaggio del tempo nelle città di tutta Italia. Tra questi persino il Caffè Florian, il più antico d’Italia, che dopo 300 anni rischia di non riaprire più dopo l’ennesimo colpo inflitto dalle chiusure e restrizioni. Leggiamo i dettagli dall’articolo di Vera Mantengoli su repubblica.it.
Caffè Florian in seria difficoltà
Doveva essere una grande festa, una di quelle feste che rimangono negli annali. Eppure oggi il Caffè Florian di piazza San Marco, il più antico d’Italia, soffia sulle trecento candeline sperando che non sia l’ultimo compleanno. «Noi abbiamo fatto il possibile per mantenere in vita l’attività, ma lo Stato dov’è?» si chiede Marco Paolini, amministratore delegato della società Sacra che gestisce il celebre locale di Venezia e gli altri due in Taiwan.
In una Venezia vuota, in perenne attesa del momento in cui i turisti potranno tornare, i ricordi dei tempi che furono mettono malinconia. Qui erano di casa poeti, intellettuali, politici e le stelle del cinema. Tuttavia il celebre locale, omaggiato lo scorso 3 dicembre dalle Poste Italiane in un francobollo della serie Eccellenze del sistema produttivo ed economico, a fine anno fa i conti con il più desolante bilancio di tre secoli di storia e con un futuro sempre più incerto.
«In genere il nostro fatturato è di circa otto milioni e mezzo, ma quest’anno non abbiamo incassato sei milioni e mezzo» spiega Paolini, socio di maggioranza della società con Massimo Cremona e Andrea Formilli Fendi «Lo Stato ci ha dato come sostegno 160 mila euro, mi domando se ci stanno prendendo in giro. Essendo un’azienda con un fatturato nel 2019 superiore a cinque milioni non abbiamo potuto beneficiare di diverse agevolazioni, come se essere dei bravi amministratori, avere a cuore il futuro dei dipendenti e riuscire a crescere sempre di più fosse una colpa. La pandemia ha colpito tutti, non capisco queste differenze».
Correva l’anno 1720 quando l’imprenditore Floriano Francesconi contava i giorni per aprire la sua bottega di caffè in Piazza che avrebbe chiamato Alla Venezia Trionfante
L’inaugurazione doveva essere il 26 dicembre, per l’inizio del Carnevale che allora cadeva in quei giorni, ma per intoppi burocratici fu spostata al 29 dicembre. «‘Ndemo da Florian!» (andiamo da Floriano!) dicevano i veneziani in dialetto e così nel tempo la bottega prese il nome conosciuto oggi in tutto il mondo.
Eppure la fama non è servita a sopravvivere alla pandemia. «Nella Piazza ci sono molte attività che pagano l’affitto sia ai privati che al demanio perché alcune parti del locale sono dello Stato, altre di singoli proprietari, come nel nostro caso» prosegue Paolini «I privati però, compresa la situazione, ci hanno dimezzato l’affitto e grazie ai crediti d’imposta ottenuti siamo arrivati a pagare il 25% della somma che dovevamo versare, mentre lo Stato non ha cambiato nulla e ci ha chiesto di pagare il 100% che ammonta a 210 mila euro all’anno. Mi domando che cosa stia succedendo se non si riesce a capire che siamo in un momento difficile. Perché non ci sono venuti incontro nemmeno su questo?».
Il prossimo anno scade inoltre la concessione demaniale, motivo per cui Sacra si ritrova a non poter aprire nessun contenzioso altrimenti si vedrebbe tolta il rinnovo. Paolini ha chiesto però al demanio che l’affitto venga rivisto, ma la questione è complessa. Il deputato veneziano del Pd Nicola Pellicani, che si era già interessato e occupato delle concessioni demaniali delle botteghe della Piazza, ha fatto sapere che presenterà nel prossimo Milleproroghe la proposta di dare la possibilità di contrattare il canone.
Paolini si toglie ancora qualche sassolino dalla scarpa
«Non ci siamo mai lamentati negli anni, ma non è la prima volta che ci siamo sentiti da soli senza uno Stato che davvero ci dia una mano» racconta «Nel 2017, anno in cui sono state restaurate le Procuratie Nuove dove siamo noi, abbiamo fatturato due milioni di euro in meno e nessuno ci ha risarciti. Poi lo scorso storico 12 novembre, quando l’acqua alta ha raggiunto i 187 centimetri, abbiamo avuto 200 mila euro di danni concreti e altrettanti di mancato fatturato e lo Stato ci ha rimborsato 20 mila euro. Infine, una ventina di giorni fa, quando a causa di calcoli di marea sbagliati non hanno sollevato il Mose e l’acqua alta è salita inondando il locale, abbiamo perso altri 15 mila euro. La colpa era di chi ha sbagliato i calcoli, ma i danni li abbiamo pagati noi».
Davanti a questo bagno di cruda realtà Paolini ricorda i nomi dei grandi che qui hanno avuto intuizioni che avrebbero cambiato la storia: il sindaco poeta Riccardo Selvatico che nel 1893 ebbe l’idea di una grande esposizione di arte che sarebbe diventata la Biennale, i patrioti Daniele Manin e Niccolò Tommaseo e lo scrittore Camillo Boito, solo per citarne qualcuno.
«Il Florian è ancora vivo, seppure agonizzante, e sopravvive grazie al gravoso impegno dei soci e alle banche, con cui si è al limite degli affidamenti» conclude oggi, giorno del compleanno triste «Non ci sono per ora prospettive di conoscere una data seppure presunta di riapertura, ma il pensiero dei nostri 70 dipendenti a rischio, 100 con gli stagionali. Siamo estremamente in apprensione per poter garantire loro un futuro. Se il Florian chiudesse non si perderebbe solo un Caffè, ma una pagina fondamentale di storia della civiltà europea, in cui si sono vissute idee, personaggi e aneliti imprescindibili di libertà»