MILANO – Coppola marrone eternamente sul capo, un viso che ispira simpatia, occhi vivaci pronti a cogliere ogni particolare: a due giorni dalla finale WBC di Vienna, Fabrizio Cención Ramirez fa visita allo stabilimento Dalla Corte. Sotto il braccio il trofeo di secondo classificato: “in un primo tempo ci sono rimasto male…ma ora sono felice di questo traguardo, felice per me e per il mio paese, il Messico”.
Ramirez ha 29 anni e, come molti colleghi, ha cominciato per caso
Conclusi gli studi (relazioni internazionali) va in Canada per migliorare la conoscenza dell’inglese e come tutti gli studenti deve fare un “lavoretto”. Lo trova in un ristorante, dove comincia a preparare espressi: nessuno gli fa scuola, ma si appassiona al mondo del caffè. Al suo ritorno in patria avvia con due amici un locale: 5pm, che apre alle cinque del pomeriggio e chiude alle undici di sera. Frattanto approfondisce la conoscenza del caffè, partecipa a concorsi, segue corsi tenuti da campioni e grandi nomi della caffetteria e visita altri Paesi. È campione nazionale nel 2009 e nel 2011; il cammino che l’ha portato al secondo gradino del podio mondiale dei baristi è durato circa sei anni. Da poco è torrefattore; il suo marchio è Sublime.
Un espresso, quattro esperienze
Quanti aromi, gusti, personalità può avere un espresso?
Tanti, e numerose sono le variabili in grado di influire sulle caratteristiche del prodotto in tazza. Da questa considerazione ha preso il via la prova di Fabrizio al World Barista Championship di Vienna. Il modo in cui ha presentato il caffè Maragogype della regione del Chiapas (Messico) è stato interessante e didattico. Ai quattro giudici ha proposto un espresso servito con modalità differenti: “normale” per il primo, in cui osservare la crema tendente al marrone e cogliere aromi di frutta secca, prugne e uva passa;
al secondo è arrivato in una tazza da cappuccino, con cui “giocare” e cogliere gli aromi – di nuovo fruttato, con sentori di albicocca -, che si sprigionano al meglio grazie al maggiore diametro in superficie; il terzo è stato invitato a cercare la parte “dark” della bevanda, servita in tazza fredda per esaltare la componente acida; il quarto ha ricevuto due tazzine ed è stato invitato a versare il contenuto della prima nella seconda: così espresso e crema in superficie si sono mischiati, dando un prodotto dalle caratteristiche più dolci e “rotonde”. Ha poi realizzato due infusi: uno con le foglie della pianta del caffè trattate come un te oolong e uno con i frammenti di pellicola argentea che si liberano dal chicco durante la tostatura; il primo dall’aroma piacevole, con sentori erbacei e di melone, seguiti da vaniglia; il secondo dal gusto più intenso, erbaceo e fruttato, con retrogusto di legno e tabacco. I giudici li hanno assaggiati separatamente, quindi uniti all’espresso, realizzando un prodotto finale molto aromatico, dall’acidità piacevole e con un gusto fresco.
La ricerca della semplicità con Ramirez
Sei il secondo barista al mondo; cosa rappresenta questo per te?
“È un grande risultato personale, ma lo è anche per il caffè messicano: fino a 4-5 anni fa non era molto considerato. Spero di poter far comprendere al mondo la sua qualità”.
Lavora in un bar e in torrefazione; quale preferisci?
“Mi piace molto il contatto con le persone, parlare loro di caffè e far comprendere le caratteristiche di ciò che stanno bevendo, da dove viene, com’è stato lavorato… Ma amo anche la torrefazione, l’aroma del caffè fresco…per questo lavoro qui la mattina e nel mio locale il pomeriggio. Abbiamo cominciato con un’offerta limitata e 7-8 tavoli; ora, a distanza di pochi anni, abbiamo 22 tavoli e vendiamo circa 2 kg di caffè al giorno”.
Quale importanza attribuisci alla macchina per espresso?
“Penso che, dopo il caffè, sia l’elemento più importante al bar. In essa cerco stabilità termica (indispensabile quando il locale è affollato e la qualità dell’espresso deve rimanere costante) e la capacità e ottenere il meglio a ogni estrazione. Nelle macchine Evolution e dc pro di Dalla Corte ho trovato queste caratteristiche alle quali se ne unisce un’ulteriore altrettanto importante: la semplicità d’uso, che risalta ancor più quando ad esse vengono collegati i macinacaffè on demand dc one e DC II, che creano un insieme molto efficace, perché grinder e macchina dialogano e si regolano automaticamente. È una caratteristica molto importante per locali come il mio in cui il turnover di personale è elevato: non devo organizzare lunghi periodi di formazione e, qualunque sia la mano che lo realizza, il cliente riceve sempre un buon espresso”.
L’Italia non riesce ad avere dei piazzamenti che la soddisfino al WBC; quali sono i motivi secondo te?
“Personalmente rispetto la scuola italiana e la sua lunga tradizione. Avete il caffè nel sangue: si vede e si sente. Ma per essere competitivi dovete andare oltre la vostra tradizione per calarvi in un altro modo di intendere il caffè. È importante aprire la mente, capire che il caffè si può fare in modi differenti, non dico migliori, ma diversi; andare all’estero, sperimentare modi diversi di lavorare. Ho visto tanti baristi italiani: hanno la tecnica, la passione, hanno stile; a mio avviso meritano di essere nella top ten. Ma devono capire dove vogliono andare e dare qualcosa di nuovo al mondo del bar”.
Dopo tanta teoria un po’ di pratica
Fabrizio va al banco del bar pasticceria Cimino con Daniele Cimino. Le richieste dei clienti lo stupiscono per la grande varietà: lungo, corto, macchiato caldo, freddo, cappuccino tiepido, con poca schiuma, bollente… E trova curioso il fatto che ben pochi si fermino, mentre la maggior parte delle consumazioni avviene in piedi e in modo frettoloso. “In Messico il rito del caffè è molto slow – osserva -. Alla gente piace sedersi e parlare, parlare…tanto che succede che mi “richiamino” perché l’espresso è freddo. Certo, ma quanto tempo è passato da quando l’ho servito?”.
Di Enza Dalla Corte