MILANO – Ancora una volta, bar e ristoranti sono tra i più colpiti dalle misure restrittive introdotte dai Dpcm. Se dal 13 ottobre, a partire dalle 18 la consumazione era permessa solo al tavolo, limitando fortemente il numero di clienti, dal 26 ottobre è stata imposta la chiusura, sempre a partire dalle 18, eliminando completamente le cene, gli aperitivi e i dopo cena, che per queste categorie rappresentano quasi la totalità delle entrate.
“Moltissimi gestori nei mesi scorsi hanno speso dei soldi per mettersi in regola con le disposizioni anticovid, distanziando i tavoli, acquistando macchine per la sanificazione, dispositivi per la protezione individuale, parafiato in plexiglass e altro. Hanno detto di no alle tavolate numerose, discusso con i clienti che non rispettavano le regole, visto ridurre i loro incassi e crescere le spese. E ora chiediamo loro di chiudere tutto” commenta amareggiato Gianmario Bertollo, fondatore di Legge3.it, che da anni aiuta cittadini e imprese a uscire da situazioni di sovraindebitamento.
Bar e ristoranti: quali sono i timori fondati
La paura è che, per tentare di restare a galla e non dover licenziare il personale, gli imprenditori del settore inizino a contrarre debiti sempre maggiori, senza riuscire mai a rientrare del denaro, per via di queste stringenti limitazioni, rischiando di finire nelle mani di usurai senza scrupoli.
“La percentuale di proprietari di bar e ristoranti dei nostri clienti è passata dal 10% del 2018 al 16% finora del 2020. È troppo presto per poter dire che effetto avrà questa crisi ma entro la fine dell’anno ci aspettiamo un ulteriore incremento, fino ad arrivare al 38%, oltre 1 su 3. – Prosegue Bertollo – Se pensiamo con l’ultima grande crisi economica, che portò il Pil ad un calo del 5% nel 2009 e l’anno dopo fallirono almeno 15.000 aziende, cosa dobbiamo aspettarci per il 2021, dato che gli esperti stimano una chiusura dell’anno con una perdita del 10%, dato che potrebbe crescere ulteriormente con questa nuova effettiva chiusura?
L’effetto del lockdown di marzo e aprile è stato in parte mitigato dall’apertura estiva, con la possibilità di usufruire di spazi esterni per i tavoli, ma saranno i prossimi mesi quelli terribili per il settore. Inoltre, quando chiude un’attività, la perdita si ripercuote a cascata sui fornitori e sui dipendenti con conseguente riduzione dei consumi in generale. Questo incide anche a livello di finanza pubblica, poiché un minor fatturato significa anche meno soldi in tasse. La situazione è drammatica, serve un intervento immediato”.
C’è una stima di una perdita di oltre 34 miliardi di euro nel 2020 per il settore della ristorazione
E l’impossibilità di sapere come andranno le cose nei mesi futuri rende lo scenario ancora più tetro.
“Se un imprenditore è pieno di debiti, la sua attività produce costi alti e pochissimi ricavi, le banche continuano a fare pressione per la restituzione dei prestiti e le scadenze fiscali appaiono sempre più vicine, non possiamo poi dirci sorpresi se, per tenere l’attività aperta e un tetto sopra la testa, questo vada a cercare altri modi, certo non legali né raccomandabili, per reperire il denaro. – Prosegue Bertollo – Dati alla mano, considerando il costo medio che comporta un ristorante, gli ulteriori costi sostenuti per mettersi in regola, la perdita dei clienti nei mesi scorsi e l’enorme danno che provoca la chiusura alle 18, possiamo stimare che quasi 1 imprenditore su 4 potrebbe finire nella morsa degli usurai.
La cosa che più mi rammarica è non aver mai sentito da nessun rappresentante delle istituzioni comunicare che esiste una legge in grado di proteggere i piccoli imprenditori dal sovraindebitamento. La Legge 3 del 2012”.