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venerdì 22 Novembre 2024
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Luigi Odello sul revival della Robusta: «Ma non si raggiunge mai l’eccellenza»

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MILANO – Riprendiamo, dall’ultimo numero di Sensory news, una riflessione di Luigi Odello sul revival della Robusta.

di Luigi Odello

Il revival della Robusta Molti anni fa ero un giovane enologo in un’Italia divisa in due: il Nord che produceva vini troppo leggeri (purtroppo, ma l’esigenza di tenere alte le rese per ettaro non consentiva altrimenti) e il Sud che forniva vini ad alta gradazione alcolica, vini da taglio, ben diversi da quelli attuali.

I proprietari delle cantine dicevano che riducevano un po’ la tipicità, ma che erano indispensabili, e i mediatori avevano con loro buon gioco perché costavano mediamente meno.

Secondo voi sarebbe ancora sostenibile una situazione del genere?

Perché allora, sempre con maggiore insistenza, circolano voci e scritti tendenti alla nobilitazione della Robusta?

Avere un prodotto senza geosmina e tricloroanisolo (due molecole che apportano  due tra i maggiori difetti che si possono rilevare nel caffè) dovrebbe essere un dogma, non una virtù da conclamare.

Ma quel sentore di cenere, di fumo e di camino spento che nella Robusta è pressoché genetico, c’è qualcuno che è riuscito a levarlo?

Se sì, potrebbe essere così gentile da farmi provare un campione per aiutarmi a colmare una lacuna?

Altrimenti ammettiamolo, la Robusta a qualcosa serve, ma tendenzialmente riduce il piacere.

Quindi a cosa serve?

Può aiutare a ridurre il costo della miscela, migliora le prestazioni del barista distratto, colpisce il consumatore incompetente migliorando la quantità di crema.

Si torna a quando ero un giovane enologo, tanti anni fa, quando il taglio tra regioni diverse migliorava il prodotto finale.

Ma non raggiungeva mai l’eccellenza.

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