NEW YORK – Aveva fatto della vita unboxed, non inscatolata, il proprio slogan: non scegliete noi solo per la pizza italiana, diceva il claim, ma per il nostro modo di essere, perché “noi rendiamo felici le persone”. Adesso, dopo più di sessant’anni e 18 mila ristoranti aperti in cento Paesi che davano lavoro a 40.000 addetti, il gigante Pizza Hut chiude la saracinesca: la catena americana ha dichiarato bancarotta, messa in ginocchio dai debiti e stesa in modo definitivo dalla crisi legata alla pandemia da coronavirus.
Con Pizza Hut chiuderà anche l’altra catena di ristoranti del gruppo, Wendy’s, diventata tristemente famosa, fuori dai confini americani, per la morte dell’afroamericano Rayshard Brooks, ucciso dalla polizia nel parcheggio di uno dei ristoranti della catena, ad Atlanta, Georgia. Ma la notizia che ha fatto rapidamente il giro del mondo e’ stata la bancarotta di Pizza Hut, il “tempio della pizza italiana” anche se declinato al gusto yankee.
Un sogno americano, nato con 600 dollari
E’ la fine di un’altra storia da sogno americano, cominciata nel ’58 quando i due fratelli Carney, Dan e Frank, si fecero prestare dalla madre 600 dollari per aprire un piccola rivendita a Wichita, Kansas, dove far gustare agli studenti il prodotto italiano più famoso al mondo: la pizza. Dan e Frank impararono in fretta: un anno dopo avevano aperto già il secondo ristorante, a Topeka, sempre nel Kansas, e poi un altro ancora, e avviato, per primi, le consegne a domicilio.
Neanche vent’anni dopo, nel ’77, Pizza Hut contava 4 mila ristoranti. I fratelli, a neanche cinquant’anni, vendettero tutto alla PepsiCo per più di 300 milioni di dollari. Frank rimase presidente per poi lanciare una nuova catena, Papa John’s, in modo un po’ istrionico: si presento’ all’assemblea degli azionisti di Pizza Hut con una vivace maglietta con scritto “Scusate, ragazzi, ho trovato una pizza migliore”.
In realtà il vecchio brand resse la concorrenza, conquistando con una nuova proprietà, la Yum, legata al gruppo Npc International, una serie di primati: prima catena con testimonial Ringo Starr e la ex moglie di Donald Trump, Ivana, prima a offrire un paio di occhiali da sole ispirati al film “Ritorno al futuro”, prima ad andare su Facebook, a lanciare una app su iPhone e a entrare nella console dei giocatori di videogames che così potevano ordinare senza smettere di giocare.
L’ultimo colpo, poi il declino
Due anni fa l’ultimo colpo: sponsor ufficiale della Nfl, il campionato di football più seguito d’America. Ma, alla luce dei fatti, era stato un disperato rilancio per salvare i conti già in crisi da anni: il deficit del gruppo è salito a quasi un miliardo di dollari.
Il lockdown legato alla pandemia ha assestato il colpo finale. Negli ultimi due mesi hanno presentato istanza di fallimento altre catene, che vanno dalla ristorazione al fitness.
Pizza Hut è, però, il marchio a cui erano legati milioni di americani. Da ora in poi chi cercherà una vita “non inscatolata”, ordinando un trancio di pizza, dovrà cercare sul cellulare un altro nome.
Massimo Basile