TORINO – Di fronte a un contesto straordinario, anche le soluzioni devono uscire dagli schemi. Per questo motivo, 90 torrefattori del Piemonte hanno seguito la propria creatività per uscire al meglio dallo stato di emergenza. I modi di raggiungere i consumatori sono tanti e ingegnosi: leggiamoli dal Corriere di Torino, un’inchiesta di Christian Benna e Andrea Rinaldi.
Torrefattori piemontesi si reinventano
Nel fondo di una tazzina di caffè si può leggere, con buona probabilità di azzeccarci, il futuro dei torrefattori piemontesi. Consorzi tra piccoli produttori; reti d’impresa per vendere macinato e grani in Italia e all’estero con l’e-commerce; apecar per la rivendita di quartiere, rafforzamento dei marchi attraverso il franchising e la distribuzione diretta; la trasformazione, ove possibile, da impresa a «semi-banca» per sostenere nella Fase 3 la liquidità di bar e ristoranti.
L’alternativa a questo scenario è una pausa caffè senza ritorno che si abbatterà sulle 90 imprese del territorio, quei piccoli torrefattori (quasi 2 mila dipendenti) a km zero che dominano da anni il piccolo mondo antico dei bar delle province di riferimento. Per i decreti anti-virus del governo, Catto, Excelsior, Sara Caffè, Rossini, Alberto, Antico Piemonte, Fantino, Ghigo rappresentano codici Ateco della filiera alimentare.
Coloro che non hanno bisogno di sostegno perché hanno sempre lavorato. «Ci hanno lasciati aperti durante la quarantena, senza considerare che il nostro canale di vendita è quello dei bar, desolatamente chiusi. E noi con loro», spiega Annamaria Verzella di Sara Caffè che a Vercelli resiste con le consegne porta a porta di vicinato.
La carica dei piccoli torrefattori
Nell’industria più tradizionalista e conservatrice della filiera alimentare, ci sono voluti Nespresso per rivoluzionare il settore con le capsule (in Italia valgono più di 800 milioni) e lo sbarco di Starbucks per introdurre nuovi formati distributivi e pagamenti digitali.
Nonostante gli affondi dei grandi signori della tazzina globale, i piccoli produttori piemontesi sono comunque cresciuti nel canale fuori casa, l’horeca, rosicchiando persino quote di mercato big.
E hanno prosperato fino a occupare il 55% delle vendite fuori casa, tra bar e vending machine, che valgono il 30% di un mercato da quasi 5 miliardi l’anno. Solo in pochi però hanno innovato e diversificato.
C’è chi è andato controcorrente, come Catto a Biella, che sui banconi dell’horeca non ci ha mai servito una tazzina
«Vendo solo a negozi e piccoli supermercati. È dura la concorrenza dei big sullo scaffale, ma così mi sono salvato», dice Paolo Catto. E c’è chi come Corrado Alberto, presidente di Api Torino e titolare di Caffè Alberto ha scommesso anche sulle produzioni per l’industria dolciaria.
«Ma adesso — afferma — dobbiamo puntare sulle reti d’impresa, creare supermercati online dei nostri marchi di caffè per vendere tutti assieme le nostre eccellenze».
Nicoletta Trucco di Excelsior Caffè di Cuneo si è rimboccata le maniche. Il suo fatturato deriva al 90% dell’horeca, oltre mille caffetterie servite nel territorio. «Nelle settimane di quarantena abbiamo lavorato al nuovo sito di e-commerce, oggi il cliente può comprare il nostro caffè in soli tre click. Il futuro sarà anche nel segmento professionale».
Un consumo da re
Il caffè è un mercato ricco. L’aveva intuito Moriondo, l’inventore della macchina per l’espresso, salvo poi non capitalizzare l’idea. E infatti, la filiera industriale delle macchine per il caffè oggi si distribuisce lungo l’asse lombardo-veneto.
In Piemonte restano i grandi produttori, da Lavazza e Vergnano, e i piccoli custodi della tradizione del caffè. Secondo il Monitor dei distretti di Intesa Sanpaolo quello del caffè è in costante crescita. La regione subalpina esporta più di 530 milioni tra caffè e cioccolato, quasi il doppio rispetto ai frigoriferi di Casale e 5 volte tanto le macchine tessili biellesi. Un settore quindi da preservare.
L’affondo dei big
«Continueremo a focalizzarci sulla fascia premium del mercato e a lavorare sulle miscele sostenibili, di alta qualità e su nuove proposte di caffè specialties, con l’obiettivo di rafforzare il nostro posizionamento di principale player nel mercato del caffè italiano», dice Michele Cannone, Lavazza Brand Away from Home director.
Lavazza, 2 miliardi di ricavi, ancora non sa quantificare le perdite dovute alla quarantena
«In questa fase di emergenza le modalità di acquisto e consumo sono decisamente cambiate. Mi riferisco, ad esempio, all’utilizzo massivo dell’e-commerce (+178% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, dati Nielsen) o ancora, come imposto dal decreto per la Fase 2, al take away, o per meglio dire nel nostro caso specifico al “coffee to go”.
La domanda da porsi è quanto queste modalità di consumo sedimenteranno». La strategia del big torinese nel breve termine sarà volta in primis a delle azioni concrete di vicinanza e sostegno verso i clienti maggiormente colpiti: «Da supporti per favorire la ripartenza all’invio di speciali kit con le informazioni e i materiali da utilizzare per la fase di riapertura, per continuare ad assicurare la qualità del prodotto e del servizio in condizioni di totale sicurezza».
Parola d’ordine per i torrefattori: diversificare
A chi si appoggiava solo sul canale horeca, come un altro caffè sabaudo, Costadoro (20 milioni di ricavi, 100 addetti), il lockdown ha dato una bella mazzata: -99% di ricavi tra marzo e aprile. «Il segreto per ripartire sarà cercare di distinguersi dagli altri», considera l’amministratore delegato Giulio Trombetta. Di qui l’idea di puntare sì sui bar, ma in proprio.
«Diversificheremo con altri prodotti, non escludiamo la gdo, anche se non possiamo improvvisarci. Però riprenderemo in mano un canale che avevamo sottovalutato: l’apertura dei locali in franchising. Dopo la Romania e l’Arabia Saudita apriremo a Monaco e Genova e un altro a Torino, un format in house che andremo poi a proporre in franchising. Se vuoi che funzioni devi dimostrare prima che i tuoi flagship funzionino, no?».
Idee di torrefattori: le colazioni in apecar
Anche Caffè Vergnano (90 milioni di ricavi) si attiverà per sostenere i suoi bar clienti, dalla consulenza al supporto per la richiesta di credito in banca. Sul periodo gennaio-aprile il fatturato è sceso del 45% e i piani ora sono tutti da rivedere. «Il settore horeca secondo noi tornerà ai regimi precedenti — valuta Carolina Vergnano, quarta generazione al timone dell’azienda di famiglia —. L’online è un canale che già presidiavamo e possiamo fare di meglio».
La novità sarà un’altra: cavalcare il test dei food truck lanciato con le colazioni in apecar a Torino
«È il coffee shop del futuro, chi investe in un coffee shop Vergnano lo farà ancora in un locale stabile o preferirà quello itinerante? Dobbiamo avere un’offerta all’altezza e se si presenta un nuovo lockdown dobbiamo dare una risposta agile, ecco perché stiamo lavorando a una gamma completa con fasce di prezzo diversificate a seconda del mezzo e dei marchi».