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venerdì 22 Novembre 2024
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Ima, Vacchi: «Le macchine del Gruppo per le dosi iniettabili del futuro vaccino»

Alberto Vacchi: «Tutti ci auguriamo di avere in tempi record un vaccino. Supponiamo che la fase di messa a punto finisca presto con tutti i test clinici in ordine. A questo punto si tratta di produrre centinaia di milioni di dosi, direi miliardi, che dovranno arrivare a tutti in tempo reale. Come fare senza impianti moderni, veloci, automatizzati e sicuri? Noi serviamo i grandi gruppi di tutto il mondo».

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MILANO – Il presidente e amministratore delegato Ima Alberto Vacchi riprende la parola durante l’emergenza sanitaria non solo per fare il punto della situazione del Gruppo e delle imprese legate al territorio emiliano. Ma anche per sottolineare la posizione attiva di Ima di fronte al futuro in cui un vaccino sarà disponibile: nel dna dell’azienda c’è il settore farmaceutico e, pertanto, può esser pronta a raccogliere la sfida a proporre macchinari che producano le dosi da iniettare della cura. Leggiamo l’intervista di Daniela Polizzi dal corriere.it.

Alberto Vacchi: «Siamo sempre rimasti aperti.»

«Abbiamo fatto grandi sacrifici ma l’impegno di tutti è stato fortissimo per servire il mercato mondiale della farmaceutica e dell’alimentare nell’emergenza. Abbiamo stretto un buon accordo con i sindacati — in larga parte rappresentati dalla Fiom — per lavorare in sicurezza. Bisognava rifornire clienti come Pfizer, Abbott, Bayer, Sanofi, solo per citarne alcuni nel mondo del pharma. Ma anche Nestlé, Unilever e J&J nell’alimentare. Ora il fattore tempo è fondamentale, bisogna che l’Italia riparta in fretta».

Alberto Vacchi, 56 anni, terza generazione della famiglia di imprenditori bolognesi è alla guida come presidente e ceo del gruppo Ima

Radici a Ozzano in provincia di Bologna. Con i suoi 1,6 miliardi, è diventato tra i player mondiali dell’industria del packaging e si è guadagnato la posizione di numero uno globale nella farmaceutica.

Ora ha tutti i numeri anche per candidarsi a fornire le macchine che produrranno le dosi iniettabili del futuro vaccino anti Covid-19. Visto che Ima ha già consegnato molte linee ad alta velocità per la produzione di vaccini antinfluenzali e per le malattie infettive a tutti i big del settore.

Sta già discutendo con chi studia il vaccino?

Alberto Vacchi: «Tutti ci auguriamo di avere in tempi record un vaccino. Supponiamo che la fase di messa a punto finisca presto con tutti i test clinici in ordine. A questo punto si tratta di produrre centinaia di milioni di dosi, direi miliardi, che dovranno arrivare a tutti in tempo reale. Come fare senza impianti moderni, veloci, automatizzati e sicuri? Noi serviamo i grandi gruppi di tutto il mondo».

Quasi 60 anni di storia, Ima si trova nel cuore della «packaging valley», il cluster della meccanica avanzata e dell’automazione industriale dell’Emilia-Romagna. Vacchi ha preso le redini operative nel 1996 quando l’impresa bolognese aveva mille dipendenti e ricavi pari a 140 milioni. Oggi ha oltre 6 mila dipendenti, 45 stabilimenti tra Germania, Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti, India, Malesia, Cina e Argentina, 26 sono in Italia. Ha sempre avuto una «passione» per le acquisizioni Alberto Vacchi, convinto che o si cresce a livello globale o si diventa marginali e si muore. E così oggi la farmaceutica pesa per il 43,9% dei ricavi, l’alimentare per il 50,4% e il 5,7% viene dal packaging del tabacco. Il 90% del fatturato viene dall’estero e solo nel tè ha il 70% del mercato mondiale.

Come vi siete organizzati per mantenere le produzioni?

«Abbiamo firmato un accordo quadro con i sindacati, mettendo a frutto anni di buona collaborazione industriale. Il grande tema è stato il compromesso tra sicurezza, salute e lavoro. Abbiamo trovato una sintesi tra distanza, strumenti di protezione e controllo, lavoro a ranghi ridotti: circa il 50% degli addetti tra produzione e smart working. Adesso progettiamo il rientro a ranghi completi a giugno. Siamo in contatto con il mondo della sanità per capire i test da svolgere sui dipendenti, valutiamo quelli di immunità. Ma tutti i nostri impianti nel mondo hanno continuato a produrre per fornire le aziende che lavorano con supermercati, farmacie e ospedali».

Il flusso degli ordini ha subìto contraccolpi?

«Le commesse arrivano, segno che il mercato c’è. Non ci saranno grandi impatti per noi. Uno dei cardini della nostra attività è il controllo delle macchine che installiamo. La crisi attuale è stata un’occasione per accelerare sui sistemi di sorveglianza e manutenzione da remoto. Quelle che escono dai nostri impianti sono ormai macchine smart, equipaggiate con sensori che consentono di misurare le funzioni e segnalare i malfunzionamenti da remoto.

Certo, le nostre missioni sono bloccate, nessuno viaggia ma abbiamo aumentato la capacità di operare a distanza. Assistendo i nostri clienti per le manutenzioni, e inviamo i pezzi di ricambio necessari. È in queste situazioni di emergenza che vengono a frutto gli investimenti in ricerca e sviluppo. Qui nel 2019 abbiamo puntato 53,9 milioni, pari al 3,4% dei ricavi, un ritmo che manteniamo ogni anno attraverso la nostra Ima Digital. Le crisi devono spingere a innovare, altrimenti ne subiremo solo gli effetti negativi».

Vede aziende in difficoltà sul territorio?

«Se non si agisce in fretta l’Italia uscirà dal lockdown con le spalle rotte. Vedo aziende che non fatturano».

Alberto Vacchi ha favorito la nascita di Confindustria Emilia che ha guidato fino all’inizio del 2019 e supportato la sua filiera sui mercati globali

Ci saranno altre aziende da supportare per uscire dalla crisi?

«Ima ha perfezionato nel tempo un modello non convenzionale che si è evoluto con la partecipazioni attorno al 30% del capitale dei fornitori più strategici. Ormai sono una ventina e sviluppano un giro d’affari di circa 250 milioni. Sono tutte collegate, una alimenta l’altra, permettendo a noi di affrontare al meglio le recenti sfide legate alla crescita.

Non ci hanno mai deluso, anche nella ripartenza ci hanno affiancato con lo stesso modello di sicurezza. Nessuno è rimasto indietro. Anche questo fa parte del processo di innovazione che promuoviamo. Certo, potremo intervenire ancora per supportare il territorio, perché salvare la filiera vuol dire non perdere competenze e il rischio ora c’è. Ma, ripeto, bisogna fare più in fretta».

Cosa bisognerebbe fare?

«Semplificare, rendere più veloce la trasmissione alle aziende della liquidità. Poi, l’emergenza è europea e qui all’inizio ho visto scarsa lungimiranza nella condivisione degli strumenti di supporto alla ripartenza. Ho un approccio laico alle cose. Se uno strumento di finanziamento come il Mes c’è ed è anche senza condizioni, bisogna usarlo».

Le acquisizioni sono il mantra di Alberto Vacchi. Quante ne ha fatte?

«Una trentina. Dalla quotazione abbiamo investito circa 600 milioni per acquisire realtà che hanno messo il turbo alla crescita, in Italia, Germania, Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti, India, Malesia, Cina e Argentina. Grandi, più piccole, a volte solo parti di aziende o tecnologie. La rotta è stata sempre la diversificazione per presidiare mercati e settori nuovi.

È una sorta di viaggio parallelo alla nostra crescita interna per rafforzare i segmenti in cui lavoriamo. La più grande acquisizione della nostra storia è stata pochi mesi fa quella dell’italiana Atop per circa 300 milioni che produce macchine e linee automatiche per la produzione di componenti per motori elettrici. Accelera la nostra spinta verso la sostenibilità. Ma solo l’anno scorso abbiamo comprato nel packaging del caffè la Spreafico in Italia e la Tecmar in Argentina. Poi a Rimini la Perfect Pack che lavora nella farmaceutica e nella cosmetica».

Da metà marzo il titolo Ima è salito di circa il 40% in un mercato davvero difficile. Cosa leggono gli investitori?

Alberto Vacchi: «Non abbiamo mai smesso di lavorare, siamo in tutto il mondo. Ci riconoscono gli investimenti e la crescita in settori strategici per la popolazione».

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