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venerdì 22 Novembre 2024
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Starbucks Usa: la petizione dei partner fa chiudere gli stores al pubblico

La paura del contagio tocca chi ogni giorno viene a contatto con un numero impressionante di persone: in prima linea i partner Starbucks che, negli Usa, ancora oggi lavorano nonostante la paura per il Coronavirus. Ora i dipendenti della catena agiscono insieme per chiedere la sospensione del servizio retribuito

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MILANO – Tutto il mondo è ormai sotto scacco per il contagio del Coronavirus: persino gli Stati Uniti d’America hanno dovuto fare i conti con questa emergenza, prendendo diverse misure di contenimento. Le chiusure sembrano esser una mossa obbligata, ma a quanto pare i servizi considerabli come essenziali, non trovano tutti d’accordo. Ad esempio, cosa succede nel mondo delle catene di fast food e di caffetterie? Quanto è indispensabile il frappuccino? Starbucks per tutta la scorsa settimana ha tenuto le sue porte ai coffeelover negli Usa, nonostante i suoi stessi dipendenti (o meglio, partner), abbiano espresso paura per la loro salute.

E’ da questo quadro che è partita l’iniziativa di una partner di Philadelphia, Aniya Johnson che, dopo appena dieci giorni, ha attirato un numero impressionante di partecipanti. Al punto che, toccate le 36,000 firme in tutto il Paese, ha portato la catena a prendere una decisione finale.

L’ultimo annuncio di Starbucks risale a venerdì 20 marzo e decreta non solo la chiusura degli stores a discrezione degli stessi partner, ma la continua erogazione degli stipendi ai propri dipendenti in maniera regolare. per i prossimi 30 giorni.

Partner Starbucks spaventati dal rischio di contagio

Un po’ di cronologia dietro la decisione della catena. Per lanciare un messaggio forte e chiaro al colosso, la barista di Philadelphia Aniya Johnson ha avviato la petizione per raccogliere le firme di tutti i partner che abbiano intenzione anche di rinunciare allo stipendio pur di chiudere temporaneamente. Una decisione non facile e che in molti avrebbero preferito non adottare. L’obiettivo: ridurre la possibilità di contagio, tutelando sia i lavoratori che la clientela senza perdere la retribuzione. La paura è concreta, soprattutto perché tra i dipendenti si sono già riscontrati dei sintomi allarmanti del virus.

Le parole di Aniya Johnson sono chiare:

“I vertici— il Ceo, i manager, il consiglio d’amministrazione— non capiscono realmente cosa accade nei livelli più bassi. Non lavorano dentro i negozi con noi e non hanno un contatto diretto con i clienti.”

Tutto quello che si è chiesto è stato quello di agire seguendo la strategia già applicata ad esempio in Cina: dove prima è avvenuta la chiusura e poi il cambio di modalità del servizio verso quello a domicilio e contactless. In modo da limitare l’interazione tra partner e clientela.

Una richiesta che è stata finalmente accolta dal colosso.

 

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