MILANO – Abbiamo da poco dato la notizia che ha visto illycaffè inserirsi all’interno del sistema composto dalle società Benefit. Ovvoro tutte quelle che nell’esercizio di una attività economica, hanno tra i loro obiettivi primari non solo la divisione degli utili, ma anche operazioni all’insegna del beneficio comune.
Per far questo, molte sono le aziende che hanno deciso di agire in modo sostenibile, responsabile e trasparente rispetto ai consumatori, alle comunità e all’ambiente. Mantenendo sempre l’attenzione anche su beni ed attività ad impatto culturale e sociale, e supportando enti e associazioni.
Ma illycaffè non è stata l’unica a sposare questo modus operandi: gli esempi virtuosi sono tanti. Leggiamo quali altre realtà si sono messe in linea con l’azienda triestina dal corriere.it.
Società Benefit: la soluzione futura per molte aziende
Andare oltre l’obiettivo del profitto, per massimizzare l’impatto positivo verso la società e l’ambiente. E’ l’imperativo delle B Corp, le Benefit Corporation. Ovvero marchi del calibro di Aboca, Alessi, Fratelli Carli, D-Orbit, Slow Food Promozione, Nwg Energia. Aziende che hanno modificato il proprio statuto trasformandosi in società benefit. Complessivamente in Italia sono quasi un centinaio, con un fatturato di circa 5 miliardi e nove mila dipendenti. Un numero destinato a crescere.
Nei giorni scorsi anche un marchio come Illycaffè — che da anni già si batte per la sostenibilità del ciclo di produzione dei suoi chicchi e la dignità dei coltivatori (a ottobre ha premiato i piccoli produttori colombiani) — ha richiesto un cambiamento di statuto societario. Da società d’azione a società di benefit a sostegno di un’agricoltura integrata per preservare e migliorare la qualità sostenibile del caffè.
Sono già un centinaio in Italia le aziende che hanno ottenuto la certificazione «B Corp» (società Benefit)
Per la verifica che si operi secondo i più alti standard di performance sociale e ambientale. E l’Italia è la prima in Europa ad averne sancito la forma giuridica. L’Italia è stato il primo Paese al mondo dopo gli Stati Uniti a introdurre la forma giuridica di società benefit, con una legge introdotta nel gennaio del 2016. Questa nuova forma giuridica prevede di rendere espliciti negli statuti societari le finalità specifiche di beneficio comune insieme agli obiettivi di profitto e l’impegno a comunicare annualmente i risultati raggiunti e quelli non raggiunti. Non solo, l’Italia è il primo paese in Europa a essersi dotato di uno strumento normativo: essere società benefit consente all’impresa, oltre a massimizzare il profitto, anche di raggiungere uno scopo di beneficio comune.
Anche l’Onu adotta la metodologia Bia
La certificazione B Corp verifica e assicura che un’azienda operi secondo i più alti standard di performance sociale e ambientale. Per l’ottenimento della certificazione l’azienda deve superare 80 punti su una scala da 0 a 200 del Benefit Impact Assessment o Bia. Un benchmark sviluppato dall’ente non profit B Lab, promotore del movimento benefit, che permette di valutare l’impatto aziendale in modo quantitativo e rigoroso.
Questa soglia rappresenta il punto di pareggio tra quanto l’azienda prende dalla società e dall’ambiente rispetto a quanto restituisce, passando «da un modello puramente estrattivo a uno rigenerativo». Anche le Nazioni Unite hanno adottato la metodologia Bia per integrarla al progetto Global Compact. Con il fine di misurare l’impatto e guidare il miglioramento delle aziende rispetto agli obiettivi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
L’esempio sardo: il primo borgo «social eating»
Tra le varie regioni italiane, anche la Sardegna vanta una società benefit: si chiama Nabui, ha sede ad Oristano e da qualche anno si impegna in progetti di innovazione sociale che puntano ad arginare il fenomeno dello spopolamento motivando al contempo le comunità. Ne è un esempio «Nughedu Welcome». Il progetto che ha trasformato il paese del centro dell’Isola, Nughedu Santa Vittoria, nel primo borgo social eating d’Italia.
«Le societa non sono state create per essere organizzazioni politiche e occuparsi di problemi generali», spiega Tomaso Ledda, co-fondatore di Nabui, «ma devono avere il coraggio di farsi sentire quando le fondamenta su cui si regge il sistema sono a rischio. I cambiamenti climatici, le disuguaglianze, l’incapacita di perseguire adeguate politiche di welfare, per esempio, devono spingere le imprese a interrogarsi sul proprio ruolo sociale, proponendosi come soggetto piu inclusivo».
Un fattore di successo: Aboca e la lotta alla CO2
Un percorso che richiede un cambiamento culturale interno all’azienda, dove le singole persone giocano un ruolo essenziale al raggiungimento di un bene comune. E il caso di Aboca. Azienda leader nell’innovazione terapeutica a base di complessi molecolari naturali, che da due anni aderisce al progetto ‘Adotta una pianta’ programma di rimboschimento sviluppato a livello territoriale per neutralizzare le emissioni di CO2 della flotta auto.
«I valori che perseguiamo sono nel nostro Dna da sempre e oggi possiamo dimostrare che questo approccio è a sua volta un fattore di successo. Creare valore per la società è la prima condizione che consente a imprese come la nostra di affermarsi sul mercato» sottolinea Massimo Mercati, amministratore delegato di Aboca. Che peraltro ha creato anche Edizioni Aboca, la collana editoriale diretta da Antonio Riccardi. Lanciata nel 2012, ha «l’intento di condividere con i lettori i valori che contraddistinguono l’azienda: natura, salute, scienza, storia, ecologia, cultura, arte».
Il futuro riparte dalle piante medicinali
Un impegno da 5o titoli l’anno che, partendo dal campo di interesse di Aboca (le piante medicinali per la salvaguardia della salute) esplorano e definiscono una possibile «evoluzione dell’uomo in armonia con l’ambiente». L’azienda promuove anche cicli di incontri nelle scuole, spettacoli ed eventi dedicati alla divulgazione scientifica «per condividere un futuro più sostenibile, dove le sostanze naturali sono una risorsa necessaria per la nostra salute e, in generale, per la nostra vita».
Capitalismo a un bivio
Il capitalismo, insomma, non regge più. Lo ha detto forte e chiaro Klaus Schwab, il guru del World Economic Forum di Davos, e lo ha ribadito anche il Financial Times, che a settembre scorso titolava a caratteri cubitali: «Capitalism Time for a reset». Un autentico cambio di paradigma di cui è convinto anche Paolo Di Cesare, co-fondatore di Nativa, country partner per il movimento delle B Corp:
«Le società benefit si stanno affermando nel mondo come l’espressione più alta del modello di impresa del XXI secolo. In futuro non sarà più possibile concepire un’azienda senza che questa persegua la duplice finalità di profitto e impatto positivo».