di Maurizio Di Lucchio*
«Lo sciopero dei baristi? Io non ho aderito perché ho un contratto a chiamata: già chiamano a fatica, se poi mi metto anche a scioperare, c’è il rischio che il lavoro non arrivi più». L’ammissione è di una dipendente di Autogrill che lavora in un’area di servizio lungo la tangenziale ovest di Milano, direzione Torino.
Parla a bassa voce Carla (nome di fantasia), con gli occhi bassi e una punta di rammarico: avrebbe voluto partecipare a “Caffè sospeso”, la mobilitazione dei lavoratori dei pubblici esercizi indetta a difesa del contratto nazionale del Turismo, ma stamattina ha scelto di andare a lavorare dietro il bancone del bar come ogni giorno.
Solo alcuni suoi colleghi hanno aderito allo sciopero: su dodici dipendenti, sei o sette non erano al loro posto oggi. Ma come ci fa capire tra mille reticenze Luca (altro nome inventato), che nello stessa stazione Autogrill gode di un contratto a tempo indeterminato e ricopre una posizione di responsabilità, l’adesione di alcuni era solo “morale”.
«Si sono fatti mettere di turno oggi per partecipare con il cuore allo sciopero ma senza perdere la giornata di lavoro», racconta servendo il caffè, quando davanti al banco l’unico cliente è il cronista di questo breve reportage. «Anche io avrei aderito, ma mi capisca, sono un under 30 da poco assunto e già con un ruolo importante: i sindacati hanno spinto per farci partecipare in massa ma chi me la fa fare di rovinarmi la vita con uno sciopero?».
Nel punto Autogrill che abbiamo visitato, comunque, l’agitazione proclamata da Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs Uil era nota a tutti. Ben diversa invece era la situazione nel McDonald’s in cui siamo andati una volta lasciata la tangenziale. La catena di fast food è un’altra delle grandi imprese in cui l’adesione è stata elevata, stando a quanto riferiscono i sindacati.
Ma nel ristorante nuovo di zecca in via Lorenteggio, a Milano, solo in pochi erano a conoscenza della protesta. «Uno sciopero di chi lavora al bar? Io non ne sapevo assolutamente niente, ma forse è perché io qui lavoro con il voucher: chieda a quelli a tempo indeterminato», dice una giovane addetta. Un suo collega ascolta la conversazione con faccia stupita. Sembra che pensi: «Ma come? Esiste anche per noi la possibilità di scioperare?».
È quasi mezzogiorno, nel locale si vedono almeno sei persone in servizio dietro ai banconi. Pare che non ci siano defezioni. E la conferma ci arriva da un responsabile in camicia e cravatta:
«Io dello sciopero sapevo – afferma -, ma le posso dire che qui nessuno ha aderito: non c’è proprio lo spirito, anche perché abbiamo aperto appena due giorni fa». Insomma, è probabile che in altri punti McDonald’s qualcuno abbia dato il suo sostegno alla mobilitazione. Ma qui, di braccia conserte neanche l’ombra.
Dopo aver ascoltato l’esperienza di alcuni dipendenti di due aziende grandi, e pertanto più sindacalizzate, cerchiamo di capire se negli esercizi più piccoli ci sia qualcuno che abbia sposato la protesta o almeno dimostri di conoscerne l’esistenza.
Così proviamo a entrare, caffè dopo caffè (dal terzo in poi solo decaffeinati per evitare ripercussioni sul sistema nervoso), in ognuno dei bar dell’isolato dove è situato il McDonald’s. Siamo a due passi da sedi di multinazionali come Vodafone, Veolia, Wind, Huawei: i lavoratori che circolano da queste parti sono migliaia e ci sono decine di bar e tavole calde.
«Adesso i baristi scioperano? Mai sentito, e sono dodici anni che faccio questo mestiere», esclama il lavoratore che prepara i panini nel bar William, sempre su via Lorenteggio. «Ma se anche l’avessi saputo non avrei partecipato: c’è crisi, rinunciare allo stipendio è da pazzi».
«In trent’anni che faccio questo lavoro mi è capitato varie volte: ora dovremmo metterci a scioperare anche noi baristi e camerieri», confida l’addetto di un bar gestito da una famiglia cinese che preferisce dribblare le nostre domande riguardo alla manifestazione sindacale. «Io però lo dicevo per scherzo. Stento a credere che davvero ci siano dei colleghi scesi in piazza al Duomo per un aumento di stipendio».
«Guardi che lei fa confusione, forse non ha capito: oggi scioperano i bancari non i baristi», ammonisce il titolare del bar pochi metri più avanti, all’angolo con via Inganni, che evidentemente trova improbabile la coincidenza di due mobilitazioni di lavoratori.
Proseguiamo la nostra indagine ma l’esito non cambia. «Io lavoro qui e non mi sogno neanche di scioperare perché, a dirla tutta, sciopera solo chi non ha voglia di lavorare», sostiene la dipendente dell’ultimo bar che incontriamo per strada. Nel suo caso, c’è anche un’avversione verso l’atto stesso del manifestare, a ulteriore riprova del fatto che tra gli addetti dei piccoli esercizi la sindacalizzazione e la cultura della protesta organizzata è poco diffusa.
Nella nostra piccola inchiesta, limitata a una tangenziale e a un quartiere di Milano, solo in due bar su sei c’erano lavoratori a conoscenza dello sciopero e soltanto sei o sette persone vi hanno aderito, anche se non tutte in maniera convenzionale.
Altrove i cortei saranno stati anche affollati, ma qui, dell’agitazione non è arrivata neanche l’eco. In uno dei bar abbiamo chiesto: «Scusi, c’è un caffè sospeso?». La risposta è stata: «Caffè sospeso? E cos’è?». Sarebbe stato fuori luogo spiegare che si tratta del gesto, un tempo molto in voga a Napoli e dintorni, di pagare un caffè a uno sconosciuto così povero da non poterselo permettere. Gli atti di solidarietà, a quanto pare, sono stati rimandati. Scioperi compresi.
* twitter@maudilucchio
Fonte: http://nuvola.corriere.it/2013/10/31/il-racconto-io-barista-a-chiamata-se-sciopero-perdo-il-lavoro/