MILANO – Giornali, siti informativi e social tornano a fornire indicazioni e istruzioni in cui si invita a non conferire la bioplastica nell’organico in quanto non compostabile. A fronte del moltiplicarsi degli episodi, in vari parti d’Italia, è opportuno ribadire – rispetto al conferimento di sacchetti, piatti, bicchieri e, naturalmente, capsule di caffè – quanto già dettagliatamente esposto, nel settembre scorso, in una nota del Consorzio Italiano Compostatori (Cic), che riportiamo di seguito.
Bioplastica: facciao una premessa
La recente Direttiva europea Sup (Single use plastics), che impone il divieto di commercializzazione dei manufatti monouso in plastica per la somministrazione di cibi e bevande (piatti, bicchieri, posate, capsule caffè, ecc.). E che dovrà essere recepita dai Paesi membri entro il 2021, provocherà a breve significativi cambiamenti nelle abitudini e nei consumi dei cittadini europei. In particolare degli italiani, che ne fanno largo uso.
Tra le possibili ipotesi di sostituzione dei manufatti monouso in plastica tradizionale vietati dalla direttiva, è stata avanzata quella dell’impiego di materiali compostabili quali carta, legno e plastiche pure compostabili. Che dovrebbero trovare il loro fine-vita nella filiera del recupero dei rifiuti organici. Previa raccolta differenziata insieme agli scarti di cucina.
Alcuni punti fermi
Facciamo innanzitutto chiarezza sui termini – chiarisce il Cic -: parliamo di plastiche compostabili. Termine che preferiamo in quanto aderente alla norma tecnica di riferimento (la Uni En 13432), più adatto a caratterizzare destinazione, ruolo e comportamento di questi materiali. Rispetto ad altri termini a volte utilizzati quali “plastica biodegradabile” o “bioplastica”, troppo generici e fonte di confusione.
Ricordiamo che la produzione e l’utilizzo di manufatti compostabili in Italia ha inizio più di 25 anni fa. Con l’impiego dei sacchetti compostabili quale strumento di facilitazione della raccolta differenziata dell’umido.
Tale impiego ha sicuramente contribuito in maniera positiva alla crescita e all’ottimizzazione del sistema della raccolta differenziata della frazione umida. Fino a farlo diventare uno dei più avanzati al mondo per diffusione territoriale, e per quantitativi e qualità dei rifiuti raccolti.
A riprova dell’efficacia dell’utilizzo dei sacchetti compostabili nella filiera di recupero dell’umido il nostro Paese ha imposto l’obbligo già dal 2010 – primo caso in Europa – di utilizzare per la raccolta dei rifiuti organici esclusivamente sacchetti compostabili, arrivando poi nel 2011 a vietare l’immissione in consumo di shopper monouso (quelli con spessore < 100μm) in plastica tradizionale.
Nello specifico le plastiche compostabili, purché certificate secondo il citato standard europeo Uni En 13432, hanno caratteristiche tali da poter essere incorporate. In senso generale, nei processi di compostaggio industriale.
Infatti, durante il processo di compostaggio, questi materiali si comportano in maniera analoga allo scarto organico. Ossia vengono in parte convertiti in acqua ed anidride carbonica, ed in parte trasformati in compost, prodotto finale dei nostri impianti in grado di contribuire alla fertilizzazione dei suoli.
Bioplastica: altre direttive
Sottolineiamo che lo standard europeo di compostabilità En 13432 prevede sia il test di biodegradabilità (prova in laboratorio di degradazione del manufatto in acqua ed anidride carbonica) che di disintegrabilità (prova di effettiva disintegrazione nel corso di un processo di compostaggio). Il che costituisce una sicura garanzia perché tali materiali siano considerati adatti ad essere recuperati attraverso i sistemi industriali di compostaggio.
Il Cic, da parte sua, nel 2006 ha creato un marchio (Compostabile Cic) il cui ottenimento prevede che la prova di disintegrabilità sia effettuata in scala reale. Ossia in un impianto di compostaggio; questa prova garantisce dunque, una volta di più, la compatibilità dei manufatti compostabili con i sistemi industriali di compostaggio.
Su questi temi il Cic si era già espresso nel 2018 con la nota che può essere scaricata dal sito.
Situazione attuale
A seguito della pubblicazione della Direttiva europea Sup si sta assistendo in Italia ad una rapida ed impetuosa comparsa sul mercato di numerose altre tipologie di manufatti realizzati in materiali compostabili (carta, legno e plastiche compostabili, sia in matrice singola che accoppiata). Che si propongono quali alternative agli omologhi manufatti in plastica tradizionale quali piatti, bicchieri, posate, capsule caffè, ecc. ecc.., e non è insensato prevedere una loro imminente rapida diffusione. Attualmente questi manufatti rappresentano meno del 10% del mercato delle plastiche compostabili, ma potrebbero assumere dimensioni ben più rilevanti proprio a seguito dell’imminente recepimento della Direttiva Europea SUP.
La rapida diffusione di manufatti monouso compostabili porterà alla determinazione di alcune sicure criticità che il Cic ritiene debbano essere debitamente governate al fine di evitare la possibilità che venga messa in crisi l’intera filiera del recupero dei rifiuti organi, che oggi garantisce la gestione di quasi 7.000.000 di tonnellate di rifiuti.
Queste le principali criticità che si presenteranno:
- La confusione che si genererà nei cittadini-consumatori artefici della raccolta differenziata, derivante dalla compresenza sul mercato di manufatti compostabili e quelli realizzati in materiali plastici convenzionali, porterà come conseguenza il rischio di un forte trascinamento di questi ultimi nella raccolta differenziata dei rifiuti organici, con un conseguente pesante decadimento della qualità della stessa. A questa difficoltà di riconoscimento sono naturalmente soggetti anche gli operatori che effettuano le raccolte e gli addetti al riciclo dei rifiuti organici.
- La presenza di “manufatti compostabili” che non siano certificati in base alla norma unificata UNI EN 13432 porterebbe ad un pericoloso decadimento della qualità delle raccolte differenziate ed un conseguente pesante aggravio dei costi dell’intera filiera del recupero del rifiuto organico che ricadrebbe inevitabilmente sulle spalle dei cittadini.
- L’aumento dei quantitativi relativi di manufatti compostabili delle più diverse fogge e dimensioni negli scarti di cucina, fino ad oggi presenti in quantitativi quasi trascurabili, avrà come inevitabile conseguenza un significativo cambiamento delle caratteristiche merceologiche e fisiche dei rifiuti organici che gli impianti devono trattare.Dovranno certamente essere messi in atto adeguamenti tecnici e procedurali per gestire al meglio questi cambiamenti; tali adeguamenti necessiteranno, oltre che di investimenti, anche di collaborazione tra tutti i rappresentanti della filiera (produttori dei manufatti, grande distribuzione, consumatori, amministratori pubblici, aziende di raccolta, impianti di riciclo).
Ecco che cosa chiede il Cic
Alla luce delle preoccupazioni sopra esposte e in previsione dell’imminente recepimento (2021) della direttiva Europea Sup (Single use plastics), il Cic chiede al governo e alle istituzioni che:
- i manufatti compostabili abbiano una immediata e facile riconoscibilità attraverso l’apposizione di uno specifico simbolo che identifichi la filiera di recupero a cui devono essere avviati, di cui potranno beneficiare nelle varie fasi del ciclo sia il cittadino, sia il raccoglitore che, in fine, il compostatore;
- si lavori sull’“ecodesign”, di cui si parla spesso, per facilitare il recupero/riciclo di un manufatto immesso al consumo. Questo potrebbe costituire un esempio di progettazione ecologica di un bene in funzione del riciclo del bene stesso quando assumerà lo status di rifiuto;
- vengano messe a disposizione le necessarie risorse per una capillare ed efficace informazione ai cittadini sulle novità provocate dalla Direttiva Europea;
- il rilascio del simbolo identificativo deve essere previsto all’interno di un percorso definito che garantisca almeno la presenza dei necessari requisiti di compatibilità con il sistema del compostaggio industriale, primo fra tutti la certificazione secondo lo standard europeo En 13432, e che garantiscano la tracciabilità;
- vengano previste adeguate risorse per effettuare gli eventuali investimenti che gli impianti di compostaggio dovranno affrontare per far fronte al cambiamento delle caratteristiche merceologiche e fisiche dei rifiuti organici prodotto dall’aumentata presenza dei nuovi manufatti compostabili.
Il Consorzio Italiano Compostatori è come sempre disponibile a dare il proprio contributo ad una discussione serena sul tema, che rimetta al centro la verità scientifica ed operativa secondo i punti elencati in precedenza e consenta uno sviluppo governato e non pervasivo dell’uso dei manufatti compostabili.
Cos’è il Cic
Il Cic (Consorzio Italiano Compostatori) è l’associazione italiana per la produzione di compost e biometano. Il Consorzio, che conta più di 130 soci, riunisce imprese pubbliche e private produttrici di fertilizzanti organici a base compost e altre organizzazioni ed imprese che, pur non essendo produttori di compost, sono comunque interessate alle attività di compostaggio e/o digestione anaerobica (produttori di macchine e attrezzature, di fertilizzanti, enti di ricerca, ecc.).
Il Cic promuove la produzione di materiali compostati, tutelando e controllando le corrette metodologie e procedure. Promuove le iniziative per la valorizzazione e la corretta destinazione dei prodotti ottenuti dal compostaggio e svolge attività di ricerca, studio e divulgazione relative a metodologie e tecniche per la produzione e utilizzazione dei prodotti compostati.