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Milano: «I bar cinesi aprono dappertutto e il cappuccino è sotto shock»

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MILANO – “I bar dei cinesi sono dappertutto / e il cappuccino è sotto choc” cantava Il Genio qualche anno fa. I versi della canzone sembrano più che mai attuali a Milano, dove bar e tabaccherie gestiti da cinesi sono in costante aumento, come attestano le statistiche camerali. Ecco come il tema viene trattato dal Corriere di Milano, in un articolo di Laura Vincenti, che vi proponiamo di seguito.

Chissà a quanti milanesi sarà capitato di scendere al bar sotto casa e trovare il signor Hu a preparare il caffè anziché il signor Colombo. Anche al bancone del bar, come sulle Pagine bianche, c’è infatti ormai aria di sorpasso.

Il fenomeno dei bar che diventano cinesi è iniziato da tempo ma continua a crescere anno dopo anno, come testimoniano anche gli ultimi dati della Camera di Commercio, secondo i quali gli esercizi con titolare orientale sono aumentati del 27 per cento dal 2011. Nel 2019, solo all’interno dei confini di Milano città, si registrano 4.891 imprese attive come bar. Di queste, se si considerano anche le ditte individuali, 562 sono cinesi — vale a dire l’11,5 per cento del totale sotto alla Madonnina, mentre nel 2011 erano 441.

Bar cinesi: dalle periferie ai locali del centro

Allargando lo scenario all’Area Metropolitana, dal 2011 i bar cinesi sono aumentati addirittura del 55 per cento, per un totale di 850 esercizi. È un’ondata che varca i confini della città per invadere le province diventando una vera tendenza regionale. Con Lodi, per esempio, che registra un più 443 per cento, passando da sette a 38 bar, e Lecco un più 500 per cento, passando da tre a 18 bar, come spiegano i report di Unioncamere.Ma restando a Milano, aldilà dei numeri, basta fare un giro per la città per notare che il fenomeno si sta diffondendo a macchia di leopardo un po’ in tutte le zone.

Un esempio per tutti: via Ripamonti

Prendiamone una a caso, come il quartiere tra corso di Porta Romana, viale Isonzo e via Ripamonti: qui all’angolo con via Giulio Romano il bar tabacchi Palladio ha appena cambiato proprietà. Lo stesso per Il Picchio, storico locale con tavola calda dall’atmosfera vintage in via Ripamonti 13. Idem per il Bar Crema, in via Crema 19 all’angolo con via Piacenza, dove insieme con il caffè adesso si può gustare anche il bubble tea.

Tutte queste tre insegne sono anche tabaccherie e il dato è significativo perché per comprare la licenza di tabacchi bisogna avere anche la cittadinanza italiana. Francesco Wu, 38 anni, nato in Cina ma residente in Italia da quando aveva otto anni, è consigliere di Confcommercio Milano per l’imprenditoria straniera e consigliere Epam, Associazione milanese pubblici esercizi: «Il vero boom dei bar cinesi c’è già stato cinque-sei anni fa — spiega —. È vero, però, che adesso ci sono più bar tabacchi aperti da giovani cinesi, le seconde generazioni che hanno la cittadinanza italiana».

Licenze «italiane» e seconde generazioni

Questo tipo di licenza ha un valore in sé perché non è liberalizzata e «perché — continua Francesco Wu — rappresenta un indotto sicuro dato dalla vendita delle sigarette oltre che da quella di caffè e panini. Insomma, è una sicurezza in più sull’investimento anche se costa molto». Spesso i bar cinesi sono a conduzione familiare, e questo rappresenta un vantaggio «perché si risparmia sul personale — spiega Wu — e poi un altro fattore competitivo è il sacrificio, perché spesso si lavora tanto e si guadagna poco rispetto alle ore di attività».

Wu ci tiene poi a smentire quelle che definisce due «leggende metropolitane», ovvero che i cinesi non paghino le tasse per cinque anni: «Non ci sono agevolazioni fiscali di questo genere — esclude — perché sarebbe ingiusto rispetto agli altri, in Italia sarebbe anticostituzionale. E non ci sono neanche sovvenzioni da parte dello Stato cinese. È vero, però, che spesso i cinesi possono godere di un prestito familiare». Comunque sia, la realtà è che «i bar cinesi sono dappertutto. E il cappuccino è sotto choc!» per citare una canzone del duo milanese Il Genio. Il brano risale al 2013 ma sembra più attuale che mai.

Laura Vincenti

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