MILANO – Caffè senza tracce, un progetto di abbiamo già parlato su queste pagine, continua nel suo percorso di ricerca e sviluppo. Sostenuto da nuovi partner e dall’obiettivo comune di trovare una soluzione a un problema sentito da tutti, consumatori compresi: il riciclo delle capsule.
La discussione su questo tema si è tenuta il 16 ottobre nella Sala Rodolfi dell’Università di Milano Bicocca. Durante un pomeriggio intensivo a confronto con i diversi esperti che in un modo o nell’altro, hanno contribuito a rendere possibile l’avanzamento del problema di un Caffè senza tracce.
Presenti all’appello il Delegato del Rettore per la sostenibilità, Matteo Colleoni, che ha coordinato gli interventi. Seguito da Luigi di Pace, della Bicocca Università del Crowdfunding. Ha poi parlato Alessandra Zerboni, dottoranda in scienze ambientali Bicocca e parte del team di Caffè senza tracce.
E poi i rappresentanti dei due partner del progetto, le aziende White Star e Parco Nord Milano. Infine, una breve parentesi scientifica fornita da Franco Miglietta, dirigente del Consiglio nazionale delle ricerche. Insieme al quadro fornito da Paride Mantecca, Direttore del centro di ricerca Polaris, che ha discusso del problema delle microplastiche ingerite dagli organismi e dall’uomo in particolare.
Caffè senza tracce: un percorso verso la sensibilità
Inserito all’interno di un discorso più ampio fatto partire dall’Università di Milano Bicocca negli scorsi sei anni. Iniziato anche dall’istituzione del Base Bicocca, organizzazione che si occupa proprio dei temi di sostenibilità. Ed è proprio all’interno di questo centro di intervento, che lavorano molti tra i partecipanti del progetto Caffè senza tracce.
Dottor Luigi di Pace, Bicocca Università del crowdfounding.
“Un progetto “senza tracce” che però lascia il segno.” Di Pace descrive così un team variegato che soprattutto ha voluto mettersi in gioco, misurandosi fuori dal laboratorio con il pubblico esterno. Bicocca Università del crowdfounding nasce per trovare canali alternativi ai fondi universitari, per permettere a progetti più piccoli di partire.
Il gruppo di Caffè senza tracce ha colto bene questa filosofia sia riuscendo a ridimensionare lo stesso progetto, sia considerando nuove forme di comunicazione. Formulata in modo da raggiungere i potenziali finanziatori, trasmettendo gli obiettivi del progetto.
Settemila euro era il budget obiettivo di Caffè senza tracce: ottenuto e superato
Caffè senza tracce è riuscito a ingaggiare in poco tempo, realtà importanti come White Star (che ha fornito le macchine per separare il caffè usato dalle capsule) e il Parco Nord.
Alessandra Zerboni, dottoranda in scienze ambientali Bicocca ha prima riassunto quali fossero alcuni obiettivi di Caffè senza tracce, nato dall’unione di Base Bicocca e del centro Polaris.
Ma soprattutto ideato a partire da una riflessione su quanto sia importante porre l’attenzione sui rifiuti generati quotidianamente. In particolare prendendo come riferimento la capsula, conosciuta e utilizzata da quasi tutti.
La domanda chiave è stata: come si può rendere meno impattante una capsula il cui utilizzo si esaurisce in pochi minuti?
Da qui i due gruppi hanno lavorato insieme sull’operazione possibile del riciclo, provando a pensare a un modello di gestione differente delle capsule esauste. Prevedendo una soluzione che permetta la separazione della parte umida del caffè da quella della capsule, composte dall’alluminio o dalla plastica bio e non bio. E poi, dall’altra, riutilizzando gli scarti come fertilizzante nel Parco Nord, per ora.
Questo meccanismo di scissione dei due elementi, doveva infine avvenire evitando il rilascio delle microparticelle dalle microplastiche nel caffè a causa delle alte temperature che raggiunge l’acqua durante la preparazione della bevanda.
Una missione che ha fatto presto a uscire dai confini accademici, trovando ben 132 sostenitori per creare un fondo di ricerca di 7.000 euro circa. Al momento, per Caffè senza tracce sono in atto degli esperimenti in laboratorio per valutare le risposte in vitro del caffè nelle capsule di diverso materiale. Ancora un lavoro che richiederà del tempo. E delle risorse.
I partner del progetto Caffè senza tracce: Parco Nord con l’agronomo Fabio Campana
Orto comune di Niguarda ha unito le forze con il progetto Caffè senza tracce. Parco Nord infatti, è stato scelto come luogo in cui dare nuova vita agli scarti del caffè separati dalle capsule. Insieme, hanno avviato un percorso virtuoso di recupero e di ottimizzazione.
Caffè senza tracce ha a disposizione per l’esattezza, l’area compost e il lombricaio: queste le due zone destinate alla miscelazione del caffè esausto per concimare l’orto.
White Star mette a punto la macchina che rende le capsule differenziabili
White Star è una società di ricerca e sviluppo fondata da Stefano Ceccarelli e da Paolo Costantini. Che si occupa in particolare modo del riciclaggio dei rifiuti domestici. Il tema che poi è il core business dell’azienda è quello della differenziazione di elementi non differenziati. Come appunto il caffè esausto nelle capsule.
Spiega lo stesso Paolo Costantini: “Ci siamo sempre chiesti come azienda di ricerca e di sviluppo, come fosse possibile differenziare un rifiuto indifferenziabile ed evitare così il danno ecologico? Tra i tanti casi abbiamo individuato proprio le capsule del caffè. Valutiamo che, soltanto in Italia se ne producano e utilizzino circa 7 miliardi all’anno. Una quantità impressionante. E non pensiamo poi a livello globale. Questi materiali sono dispersi nell’ambiente senza una soluzione logica.
Nel 2013, ben sei anni fa, abbiamo ideato un sistema
Grazie alla mente e alla creatività di Stefano Ceccarelli, che prende la parola: “Non è ancora in produzione, ma esiste un prototipo che testimonia che è possibile (per ora nominato Sc 1000). Abbiamo ottenuto una percentuale di residuo inferiore al 2%. Il che significa che il caffè è riutilizzabile come concime, nel pellet e addirittura nell’industria cosmetica.”
Ancora Stefano Ceccarelli: “L’idea di recuperare le capsule è nata nel 2008 e nel 2013 abbiamo brevettato il sistema. Ho ideato un prototipo – davanti all’uditorio c’è la seconda evoluzione – che funziona inserendo la capsula nella macchina. La quale, in un secondo, separa il caffè dall’involucro. In una vaschetta a destra il caffè e in un altro contenitore, va la capsula.”
Questo tipo di prototipo è applicabile anche a volumi ben più grandi. Parliamo di più di tremila capsule all’ora. Con un risultato finale però uguale: un caffè senza residui.
Una macchina che lavora anche con le capsule che contengono un rivestimento di carta filtro. Nel processo di scarto, questa porzione quando passa in fusione con l’alluminio viene eliminata.
Paride Mantecca Centro di Ricerca Polaris: gli effetti delle microplastiche sulla salute
Uno degli aspetti toccati da Caffè senza tracce, dato che la maggior parte delle capsule sono attualmente di plastica, di tantissimi tipi differenti di plastica, è stato il confronto con il mondo delle micro plastiche. Dal dopoguerra a oggi si fa sempre più utilizzo di plastica, non sempre però recuperata. Le conseguenze associate allo smaltimento di questi materiali può portare a tanti impatti ambientali. Attualmente si parla di micro e nano plastiche: quando entriamo nel micrometrico e nano metrico, parliamo di strutture che diventano importanti per i loro effetti sugli organismi viventi.
Oggi, nei comparti ambientali si troverà polimeri diversi dal punto di vista chimico-fisico e che interagiscono con le cellule dell’intestino. La conoscenza oggi ci dice che micro e nano plastiche sono molto presenti in tutti i comparti ambientali. Persino nel sale marino, come ha rivelato di recente ad un convegno uno scienziato della Corea del Sud. Succede anche bevendo il caffè? Oggi ancora non lo sappiamo.
Un primo passo è sicuramente investire nella ricerca, nei progetti sostenibili come Caffè senza tracce. Seguiremo le future evoluzioni di questa iniziativa che potrebbe rivoluzionare un problema davvero incombente e sentito nel settore del caffè.