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lunedì 25 Novembre 2024
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Francesca Bieker e Bianca Maria Maschio: intervista alle due Q grader più giovani

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MILANO – Un’intervista doppia a due donne che hanno già fatto la differenza nel settore del caffè, essendo entrambe le prime Q grader così giovani ad aver lavorato all’interno di un’azienda che non ha bisogno di molte presentazioni: la triestina Sandalj Trading Company. La parola quindi a Francesca Bieker e Bianca Maria Maschio, tra le 10 donne italiane che hanno ottenuto la certificazione di Q grader.

Francesca Bieker, Bianca Maria Maschio: che cos’è per voi il caffè?

Comincia proprio Francesca Bieker: “È proprio la domanda con cui spesso apro i corsi dedicati agli amanti di questo mondo! Le risposte sono sempre allo stesso tempo interessanti e vaghe: è un ricordo, è un momento privato che ci prendiamo al mattino. Ma è anche l’incontro con gli amici o la “pausa caffè”. Si tratta sempre di visioni meravigliose, che sottolineano come il caffè sia, innanzitutto, compagno di esperienze.

Tuttavia, mi colpisce come a ben vedere, in queste diverse esperienze, questa bevanda sia di fatto solo un corollario. Ecco, la mia idea di “caffè” non diverge, nei risultati, da queste risposte, ma ne ribalta la prospettiva: per me il caffè è in sé esperienza, oltre che fonte di esperienze.”

E ora il turno di scoprire il punto di vista di Bianca Maria Maschio:

“Non è facile essere sintetici su questo punto. Qualche anno fa, concentrata sull’altro emisfero, avrei riposto: è un potenziale viatico, in grado di contribuire al miglioramento della qualità della vita di milioni di famiglie nei Paesi in via di sviluppo. Spingendomi oltre, puntati i piedi a Trieste, potrei definirlo un prodotto che accomuna la vita di miliardi di consumatori nel mondo; che partecipa silenzioso ed è amabile nella nostra quotidiana follia.

Inconsapevole dà lavoro a tanti giovani volenterosi ai primi guadagni studenteschi. Adesso forse, direi che è passione. Per la complessità e la quantità di variabili in gioco e perché è un delizioso fil-rouge con Paesi e persone lontani.”

Quando è nata la vostra storia professionale in questo settore?

Per prima Francesca Bieker: “Sono cresciuta accanto al mondo del caffè. Racconto un ricordo: una mattina ho accompagnato al lavoro mio papà – avrò avuto 11 o 12 anni – e Maurizio Stocco, che lavora nel laboratorio qualità della Sandalj Trading Company, dopo avermi spiegato le differenze visive tra arabica e robusta, mi ha messo davanti a un armadio di campioni e mi ha proposto di dividere, per gioco, le due specie. Ci ho impiegato 3 giorni. Poi gli anni sono passati, le mie esperienze sono state varie e anche
lontane da quest’ambito.

Tuttavia, l’interesse per il caffè, che evidentemente aveva piantato il suo seme, ha cominciato a germogliare. Ho iniziato quindi ad approfondire la materia frequentando i corsi Sca nei vari moduli: dal caffè verde alla tostatura, passando per l’estrazione del prodotto caffè. Al 2010 risale la mia prima esperienza nell’ambito internazionale dei professionisti: ho partecipato come accompagnatrice e traduttrice alla Cup of Excellence. E da lì la mia curiosità non si è più fermata, e mi ha spinto a cercare sempre più risposte alle infinite domande che si erano accumulate.

Poi, ho avuto la fortuna di poter fare esperienza diretta in piantagione, vivendo insieme ai contadini dell’Honduras con cui ho provato a raccogliere e lavorare il caffè proprio dove tutto ha inizio… Il caffè è stato quindi innanzitutto una passione, più che un lavoro. Solo con il tempo sono arrivata a decidere di farne più che un semplice interesse.”

Bianca Maria Maschio si racconta

“Io nasco come barista dilettante. Quando studi e macini per inseguire l’emancipazione economica, il lavoro più facilmente reperibile in Italia – se sai sorridere e camminare come un bipede eretto – è quello del cameriere, lavapiatti, barista tuttofare. È lì che ti confronti con lo sfumato ricettario inventato dai consumatori semi-attenti. Ed è ancora qui che ti cimenti più o meno consapevole con quella profumata polverina scura.

Proprio allora, il Cafè San Marco presso cui lavoravo, ha mandato noi dipendenti a seguire un corso alla Sandalj per carpire i segreti del buon espresso: è stato il mio primo contatto con l’azienda. Edy Bieker e Maurizio Stocco, ci hanno aperto le porte del laboratorio e da lì è scattata la molla della curiosità. E poi gli studi sulle materie prime organiche – non più lussuose – e viatici di sviluppo sociale – oggetto della mia tesi di laurea – mi hanno spinto a trascorrere un anno in paesi d’origine, in America Latina. La prima volta, quattro anni fa, sono entrata nelle piantagioni di caffè senza sapere che il caffè fosse una pianta.

La maggior parte dei piccoli produttori di cacao peruviani sono anche cafficoltori. Quella volta, sulla collina di San Martin, ero stupita: tutti seminavano caffè in quanto più remunerativo di qualsiasi altro prodotto. Si apriva uno spiraglio. Ho iniziato a conoscere il caffè al di là della tazzina: come pianta, come moneta, cultura; come possibilità e come connettore. Infine, l’anno scorso, ho deciso di studiare presso la Fondazione Ernesto Illy, e seguire il Master in Coffee Economics and Science.

Un corso universitario intensivo al quale hanno contribuito più di 70 tra professori ed esperti in svariati ambiti della filiera e durante il quale ho conosciuto 30 compagni da 14 differenti origini.

Tutt’ora siamo in contatto, ci scambiamo opinioni, ci mandiamo foto e aiutiamo nelle ricerche. Questo è il contenuto più speciale del Master, il network di persone creatosi e le loro esperienze.

Francesca Bieker e Bianca Maria Maschio, entrambe giovanissime: com’è lavorare da donne e con meno di trent’anni in questo ambiente?

La prima a rispondere è Francesca Bieker: “In realtà, le donne nel caffè sono più numerose di quelle che sembrano. Ne conosco tantissime, presenti in tutta la filiera, dalla piantagione al bar. Sinceramente il fatto di essere donna non l’ho mai avvertita come una difficoltà, sebbene non possa dire che non ci sia chi ha ancora, diciamo, idee un po’ obsolete.

Il fatto di essere giovane, invece, credo sia una bella possibilità: in questi ultimi anni il mondo del caffè si è mosso velocemente e per me è un grande vantaggio essermi formata (e continuare a farlo) in un momento tanto fervido. Questo permette di avere una visione molto contemporanea del nostro ambito. Ovviamente la giovane età dà anche un limite, che è quello dell’esperienza.

Credo che per questo sia importante comunque ascoltare con attenzione e umiltà chi fa questo lavoro da una vita. Facendo tesoro di chi tanta esperienza se l’è già fatta.”

Risponde Bianca Maria Maschio

“Una continua stimolante sfida. In Italia, su 34 Q grader solo 10 sono donne. Eppure, si ritiene il genere femminile più sensibile ai sapori. Io non sono femminista. Riconosco che
al di là di casi specifici, uomini e donne siano geneticamente tagliati a ricoprire alcuni ruoli piuttosto che altri.

E sia ben chiaro: in senso qualitativo del lavoro, non in senso verticale di scalata sociale. Quello di cui però riconosco l’importanza è la presenza di un equilibrio: in qualsiasi ambiente di lavoro, se coesistono entrambi i generi in modo equilibrato, i risultati migliorano. Ho aspirato a lavorare alla Sandalj anche perché in mano ad una brillante giovane donna.”

Di cosa vi occupate o quale ruolo avete svolto all’interno della Sandalj?

Ancora Francesca Bieker: “Ho lavorato nel laboratorio qualità come assaggiatrice. È un lavoro bellissimo e infinitamente ampio. Credo che nella filiera del caffè vi siano poche altre possibilità di apprendere così tanto sul caffè come lavorando presso un crudista. Si ha una porta aperta sui Paesi produttori e sui prodotti che anno dopo anno cambiano, ci si confronta con le richieste del mercato della torrefazione (italiane ed estere).

Inoltre, si ha la possibilità di mettere lo zampino fin nel lavoro dei torrefattori, che
talvolta chiamano per consigli o suggerimenti. Infine, si può davvero dare sfogo alla propria curiosità e creatività, provando e realizzando qualcosa di proprio. Che si tratti di miscele o di ricette di estrazione. Se c’è un caffè curioso, dal gusto diverso, perché non estrarlo in qualche modo differente?

Ora mi occupo dell’organizzazione e della formazione per l’Accademia del Caffè, che ha lo scopo di formare i professionisti sulla materia prima. Ma soprattutto si pone come obiettivo la condivisione di ciò che ci trasmette la quotidiana esperienza nella lunga filiera del caffè, ossia instillare in chi ci sta di fronte la curiosità di non fermarsi mai a dire “ora ho capito il caffè”.

La parola a Bianca Maria Maschio

“Io e Francesca, in momenti diversi abbiamo ricoperto lo stesso ruolo in azienda come quality-control: tostatura, assaggio, valutazione delle qualità; consulenze, corsi. E il diretto contatto con il reparto commerciale. Essere giovani in questo settore è accattivante: si ha tanta energia per gestire nuove sfide, conoscere le innovazioni e sviluppare ricerche. Tuttavia, è anche preoccupante: gli effetti del cambiamento climatico sulle colture come il caffè e sulle persone direttamente coinvolte, sono tutt’ora difficili da quantificare.

Siamo la generazione che ne dovrà affrontare le conseguenze. Sarà sempre più difficile consumare ai ritmi attuali caffè di elevata qualità. Oppure, chi può dirlo, coltiveremo in Italia: Caffè alpino?”

Siete le prime due Q grader così giovani nell’azienda: come siete arrivate a questo traguardo?

Spiega Francesca Bieker: “A dire la verità, la mia partecipazione al corso per diventare Q grader è nata un po’ per caso. Naturalmente avevo ben sentito parlare di questa figura, talvolta dipinta in termini quasi mitologici, ma non avevo mai preso davvero in considerazione questo percorso. Finché un giorno, parlandone con un amico che me lo stava proponendo, è nata in me la curiosità di capire di cosa si trattasse veramente.

E, oltretutto, mi è sembrata un’ottima occasione di crescita personale: da un lato per tararmi, per capire quale fosse di fatto la mia preparazione; dall’altro perché credo che il confronto, soprattutto su assaggi, caffè e metodologie diverse sia veramente stimolante. Il tempo stringeva e la scadenza per iscriversi era 2 giorni più tardi. Mi sono lanciata. Il dubbio ovviamente c’era: ci sarei riuscita? Alla fine è andata bene.”

Mentre aggiunge Bianca Maria Maschio

“Suonerebbe troppo come una reclam dire: ci vuole passione?! Però è la verità. Ti deve piacere la tua quotidianità lavorativa. Ho avuto la fortuna di disporre di una attrezzatissima palestra per esercitarmi, ma soprattutto di poter imparare l’arte e i segreti di attenti istruttori.

Edy Bieker, tra le tante responsabilità ricopre anche il ruolo di capo della qualità nella mia azienda. Mi ha seguito dal primo giorno, tazzina dopo tazzina, partendo dal macro, e avvicinandosi, piano piano, alle sfumature e ai particolari che si possono incontrare in 25 ml di espresso. Maurizio Stocco poi, responsabile del laboratorio, con costanza e pazienza mi ha svelato le sue magie in tostatura, in estrazione e nel rapporto con tanti clienti.

Ritagliavamo del tempo dal lavoro tradizionale per poter assaggiare svariate qualità in cupping: tantissimi esercizi per affinare i sensi, ma soprattutto gestire lo stress. L’assaggio è bello quando condiviso, tanto per concludere con un altro slogan.”

Potreste spiegarci nel dettaglio, in che cosa consiste questo tipo di preparazione? Quali materie avete affrontato, quanto è durato il corso, è essenziale avere una conoscenza approfondita dell’inglese?

Comincia Francesca Bieker: “Il corso è durato 3 giorni, seguito poi da 3 giorni di esami. Nella prima parte, vengono chiarite le prove e ci si calibra sull’assaggio dei caffè. Gli esami, a parte uno scritto di cultura generale che verte su tutta la filiera del caffè, sono pratici: triangolazioni, cupping, riconoscimento di difetti sul caffè verde e sul tostato; riconoscimento di differenti tipi di acidità.

I corsi sono tenuti in inglese e l’esame scritto è in inglese, quindi è necessaria per lo meno una conoscenza di base della lingua. Ma questo non sorprende: ormai credo che, a prescindere da questo percorso, la conoscenza dell’inglese sia comunque indispensabile per lavorare in quest’ambito a un buon livello!

Questo percorso, più che fornire informazioni nuove o diverse rispetto a quelle che si possono apprendere altrove, ad esempio nei corsi della Sca, vuole fornire un linguaggio comune per poter parlare di caffè dal punto di vista dell’assaggio. Sinceramente penso non si tratti di un esame così complesso come spesso viene descritto, ma ci vuole sicuramente un buon allenamento nell’assaggiare molti caffè in velocità. Il tempo durante le prove è limitato ed è necessario rimanere concentrati per tante ore. Penso che la fatica sia la difficoltà maggiore.”

Il punto di vista di Bianca Maria Maschio

“La preparazione all’esame prevede esercizi di diversa natura nell’ambito sensoriale: in poche parole saper usare naso, palato, lingua. Per poi collegarli ai ricordi e al
cervello nel modo più opportuno. Tanto per essere più precisi, l’obiettivo del corso è quello di imparare ad usare adeguatamente un linguaggio comune per determinare una valutazione ufficiale ed univoca del prodotto. Tutti i descrittori sono in lingua inglese, così come il corso e l’unico test teorico da affrontare è proposto in inglese. Questa lingua quindi è fondamentale, dentro e fuori dal corso, se si vuole nuotare in questo mare.”

E’ una certificazione che dà una marcia in più in Italia, o è molto più apprezzata all’estero?

Continua Francesca Bieker: “All’estero questa certificazione è sicuramente più apprezzata e vi è una maggiore attenzione rispetto all’Italia. Ma va detto che da circa un anno a questa parte anche nel nostro paese se ne parla con più frequenza. Tuttavia, mi pare di percepire ancora un po’ di confusione rispetto a questa figura. E il Q grader viene talvolta ammantato da un’aura quasi magica, senza la piena comprensione di quale sia il suo ruolo e quali le sue competenze.

Ribadisco: secondo me due sono gli aspetti più interessanti di tale percorso: in primis si tratta di un ottimo modo per mettersi in gioco e capire i propri limiti nell’assaggio. In secondo luogo, si acquisisce un vocabolario comune, utile per confrontarsi con altri professionisti. Sembra una banalità ma, l’assaggio del caffè è ancora un’arte molto sconosciuta.”

Parla Bianca Maria Maschio

“Un certificato di questo tipo ha valore all’interno dell’azienda ed in relazione a fornitori e clienti. All’estero l’attenzione verso il mondo Sca è sicuramente più pressante, ma l’Italia a mio avviso, seguirà lo stesso destino. Del resto, noi italiani non siamo da sempre estimatori della qualità?”

Quindi è un passo che consigliereste come investimento da compiere per avanzare professionalmente?

Riprende Francesca Bieker: “Come già detto, c’è ancora un po’ troppa mitizzazione dietro a questo percorso, che viene percepito come un traguardo riservato per pochi. Ma a essere sincera non so ancora dire se a livello professionale il fatto di avere la certificazione Q grader mi permetterà di accedere a nuove possibilità. Per il lavoro in azienda è stato certamente importante, in quanto mi permette di rispondere a determinate esigenze del mercato, specialmente estero. Dal punto di vista personale, invece, è davvero una bella spinta e mi ha fatto capire che, tutto sommato, sono sulla giusta strada!”

La parola passa a Bianca Maria Maschio

“È la stessa domanda che ho posto ai miei conoscenti Q grader prima di iscrivermi. E la risposta è sì, che si ottenga o meno il certificato. comunque resta una settimana di
scambio di opinioni con istruttori e colleghi del settore, una settimana intensa di confronti. Sette giorni per mettersi alla prova ed in competizione. Io non potrei essere più soddisfatta, non solo perché ho potuto ripagare la fiducia in me riposta, ma anche perché ho vinto la sfida con me stessa: ho condotto per settimane una vita più disciplinata, con alcune rinunce (sigarette in primis) e sono stata ripagata.”

Francesca Bieker e Bianca Maria Maschio: sapreste definire cosa sia per voi, Q grader, un caffè di qualità?

Francesca Bieker riprende: “Per me un caffè di qualità è un caffè con una marcia in più. Privo di difetti gustativi e aromaticamente interessante, considerate le possibilità dell’origine, del territorio e della lavorazione.”

Il punto di vista di Bianca Maria Maschio

“Un caffè di qualità è un caffè privo di difetti. Che non abbia dissapori in tazza, ma bensì risulti gradevole. Deve presentare una varietà di aromi che partecipino in modo
equilibrato all’insieme olfattivo e gustativo.”

Lancereste un messaggio alle giovani come voi, che vogliano intraprendere un percorso simile al vostro?

L’entusiasmo di Francesca Bieker: “Avanti tutta! Credo che la chiave sia non porsi mai dei limiti né smettere di mettersi in gioco. E, forse, non finire mai di chiedere il motivo per cui le cose vengono fatte in un certo modo; talvolta il motivo c’è, talvolta invece ci capita davanti il tassello che ci apre nuove orizzonti del caffè.”

Il messaggio di Bianca Maria Maschio: “Viva le donne, che vogliano assaggiare vino, caffè, rum o tabacco. Che siano imprenditrici o dipendenti, stanziali in Italia o nomadi: l’importante è sapersi identificare con il proprio lavoro senza subirlo: sono fortunata! Il mio lavoro varia tutti i giorni, perché il caffè è sempre in continua evoluzione e perché sono sempre davanti a sfide diverse.”

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