MILANO – Nuovo appuntamento con la “donna del caffè” Elisa Criscione, giovane consulente per il mondo del chicco “sostenibile”, per quanto sia ampio questo termine. Dopo un po’ di anni di pellegrinaggio a stretto contatto con i Paesi in via di sviluppo, ora è di nuovo in Italia. Pronta a far progredire il settore a partire dalla sua terra natia. Chi volesse approfondire il suo lavoro, può consultare il suo sito internet: www.expressingorigin.com.
Elisa Criscione, una passione per la materia prima
“Mi sono laureata all’Università di Scienze Gastronomiche, fondata da Slow Food in provincia di Cuneo. Qui, ho nutrito la passione per il cibo, trasformandola in maniera costruttiva. Tramite questa esperienza ho avuto la possibilità di visitare i Paesi in via di sviluppo e così di conoscere direttamente i processi produttivi del cacao e del caffè, dal campo al prodotto finito.
Così, mi sono innamorata di queste realtà, sfidando il punto di vista del consumatore. Che spesso non conosce a pieno i cibi che poi vede sulla tavola, la loro storia e ciò che contengono. In seguito, dopo la laurea, ho avuto l’opportunità di lavorare in Colombia, attraverso un’organizzazione non governativa attiva in varie zone dell’America latina.
Ho lavorato in diverse comunità rurali, supportandole per un anno nel migliorare le loro condizioni lavorative. E promuovendo l’uguaglianza tra uomo e donna. Una situazione che è difficile da incrementare in queste aree.”
L’incontro di Elisa Criscione con il mondo del caffè
“E’ stato qui che ho incontrato chi mi ha iniziato a questo mondo. Ovvero i miei coinquilini – e amici – che sono esportatori di caffè colombiano. Trattano la materia prima come non molti fanno: sono stati tra i primi in Colombia a pagare in modo fisso i coltivatori un prezzo più alto per il loro caffè, essendo sicuri che riuscissero a mantenere uno stile di vita dignitoso.
Cosa che non accade spesso con le grandi aziende. Offrivano anche dei training agli stessi produttori. Questa realtà si chiama Azahar: il fondatore è un ragazzo americano che ha tentato di trasformare la sua passione nel suo lavoro. Assieme a lui, un altro ragazzo: sono loro che mi hanno fatto assaggiare dei caffè fantastici. Ma soprattutto sono riusciti a liberarmi dalla visione esclulsiva di un espresso tostato scuro all’italiana, verso degli aromi nuovi.”
Cos’è per Elisa Criscione il caffè?
“Penso che sia un qualcosa da scoprire. Pian piano, tutti i consumatori dovrebbero assaggiarlo così come ho potuto farlo io, con la stessa emozione che mi ha colpita quando ho assaggiato un caffè diverso. E’ un cibo, ma anche una vera e propria esperienza che si può fare quando lo si vive come una bevanda che va oltre la colazione. Che è il frutto di un lavoro intenso e di una forte energia messa da tante persone lungo la filiera.”
In cosa consiste esattamente il suo lavoro?
Spiega Elisa Criscione: “Dopo la Colombia ho fatto un master a Londra in politiche alimentari e poi ho lavorato per un’azienda di agritech in Ghana. Che applicava tecnologia direttamente alla filiera, per poter garantire una maggiore tracciabilità e sostenibilità. Da lì, ho capito che tutto questo poteva esser applicato anche al caffè. Quell’azienda infatti era focalizzata sul cacao, ma le somiglianze tra questi due mondi fanno sì che potesse esser valido lo stesso discorso anche al caffè.
Il contadino come tutti gli altri attori nella filiera, puó usufruire delle stesse tecnologie. Quindi ora, lavoro con importatori e aziende europei su questa via. Vorrei anche collaborare con realtà italiane, lavorando sul lato della comunicazione e sostenibilità. Per far comprendere al 100% il prodotto “caffè” ai consumatori.
Oltre al solo discorso organolettico, per spiegare cosa succede veramente a migliaia di chilometri da noi. Integrando tutto questo nelle aziende che sono più innovative. Che sono più aperte all’integrazione di tecnologie per la creazione di una filiera più organizzata. In modo che il consuamatore finale possa contare su delle informazioni
dettagliate lungo la filiera e il contadino in origine possa ottenere un prezzo equo e godere di una sicurezza economica maggiore.
Una cosa essenziale perché, il consumatore finale ha un grande potere nella filiera. Se diventa consapevole della materia prima, allora avremo la possibilità reale di far evolvere l’intero settore. Aiutando i contadini in primis, grazie a una scelta dell’utente finale più consapevole.
Allo stesso tempo le aziende avranno la possibilità di portare questo settore su un piano successivo, dove sostenibilità, tracciabilità e trasparenza saranno garanzia per tutti gli attori coinvolti.
Qui gioca un ruolo fondamentale la comunicazione. Con una cura su tutti i livelli.”
Il settore del caffè si è evoluto secondo lei?
“Penso di sì. Soprattutto verso lo specialty coffee: un po’ tutti ormai cercano di portare una trasparenza e una tracciabilità più chiara possibile. L’interesse verso la qualità del prodotto e la salvaguardia della filiera stanno crescendo. Sia attraverso le operazioni nei Paesi d’origine, che a livello di comunicazione.
Certo è che il caffè è un settore molto vasto: nel prodotto più commerciale, c’è ancora tanta strada da fare. Le grandi aziende, sebbene stiano puntando sulle nuove tecnologie, devono ancora fare un passo in più. Rendere la sosteniblità effettiva. Un lavoro complesso perché non esiste il direct trade.
Attraverso però l’applicazione di tecnologie per la tracciabilità di filiera, anche questo mercato più grande potrebbe diventare simile allo specialty coffee.”
Quindi il settore del cacao è diverso?
Spiega Elisa Criscione: “Direi che è più semplice da gestire per una serie di motivi. La filiera è più semplice, più “corta”. Nel senso che è più omogenea da Paese e Paese, rispetto invece al caffè, proprio a livello di regolamentazione governativa. E’ anche vero che il cacao è un prodotto finale che nella maggior parte dei casi, è tradotto nella forma di una barretta. Il caffè invece coinvolge anche un discorso successivo sul tipo di estrazione. C’è un passaggio in più di filiera necessario per assaggiarne la sua massima espressione. Sicuramente questa è una semplificazione, ma certe sfide e difficoltà nella filiera del caffè secondo me sono più accentuate.
Lavorare come donna nel settore del caffè, com’è in Italia e all’estero?
“Credo che le donne abbiano fatto passi da gigatnte in tutti i settori. Sicuramente, io come donna non ho avuto grandi difficoltà. Penso che la più grande forza sia esser sicure di sé. Forse come donne siamo più titubanti sulle nostre capacità. Questo è sbagliato: soprattutto noi giovani dobbiamo puntare e mostrare le nostre competenze senza paura. Tutte le donne dovrebbero tenerlo in mente.
Lavorando poi nelle comunità rurali, posso dire che in quelle società ci sia ancora molto da fare. Rispetto alla donna europea, non ci sono paragoni. Ma oggi stanno nascendo tante cooperative di caffè tutte al femminile e questo è un grande passo avanti.
Ovviamente, c’è ancora molto da fare. In certi Paesi è un punto ancora dolente. E’ positivo però che le donne tra di loro, si aiutiano molto. Dall’Europa, le donne lavorano per aiutare quelle realtà ancora svantaggiate. Il rapporto donna-donna è anche più personale. Nella comunità rurale è importante che ci sia questo scambio, così da non spaventare le persone che potrebberlo subire come un’imposizione. Il concetto di progettualità ora è cambiato, matenenendo gli equilibri locali.”
Quando il food e poi il caffè è diventata la sua vita?
“Sicuramente io sono rimasta illuminata in Colombia. Lì è stato l’inizio di tutto. Poi, ho sempre avuto un po’ una passione da consumatrice, ma il cibo che mi interessava di più a livello professionale era quello legato ai Paesi produttori in via di sviluppo. Poi ho fatto tesoro delle mie esperienze passate, con il desiderio di applicare questa tecnologia a una filiera tanto complessa come quella del caffè. Quando ho compreso le potenzialità dell’innovazione e ho pensato che potesse esser giusto portare queste soluzioni nel settore.”
Come mai in Italia ancora non sono state integrate queste tecnologie?
“La tracciabilità capillare nello specialty coffee in Italia sta muovendo ancora i primi passi. Quindi, di sicuro rispetto ai Paesi nord europei che lavorano da tempo su questo mercato, è un po’ piú indietro. In Italia, stiamo solo oggi cercando di avvicinare il consumatore verso un caffè diverso e solo poche aziende stanno puntando sulla tracciabilità e la sostenibilità.
Questo più che altro per il fatto che il consumatore italiano è molto tradizionale. Quindi comunicare lo specialty o un caffè diverso dall’espresso, è ancora un po’ difficile. Adesso sta avvenendo questo cambiamento. Anche magari con l’arrivo di Starbucks, che ha portato se non altro una visione più ampia del caffè in Italia. Tant’è vero che dopo questa novità, anche le altre realtà più piccole indipendenti, hanno avuto un po’ più spazio. Il consumatore si è un po’ più aperto. Tuttavia, l’Italia deve ancora fare qualche passo in avanti. La direzione però c’è.
In questo momento io sono qua in Italia, a Milano, e sono convinta che la strada sia quella. Sono a disposizione delle aziende che vogliano sperimentare con l’integrazione di nuove tecnologie.”
C’è stato un episodio particolare durante i suoi viaggi a contatto con realtà anche molto diverse, in cui ha pensato di non farcela?
“Penso che quando una persona sceglie un percorso professionale così alternativo, sia già pronta ad affrontare sfide così particolari. In parte poi, devo dire che ho sempre avuto la voglia sin da piccola di esplorare, cambiare posto, confrontarmi con diverse culture. Questa adrenalina ti spinge a oltrepassare anche gli ostacoli più complessi. Come dico a tutte le persone che sono stupite dalla mia esperienza: comunque ho sempre pensato che non trovandomi bene in un posto, sarei potuta tornare indietro.
Avere questa sicurezza, mi ha fatto sempre andare avanti. Anche se, devo dire la verità, non ho mai pensato di farlo davvero, peró sicuramente non posso negare che gli ostacoli siano mancati. La mia determinazione mi ha sempre premiata a livello professionale. Sono cresciuta in fretta e, in qualche modo poi, questo si percepisce come valore aggiunto come persona e come lavoratrice. Sono tornata a casa con un bagaglio ricco spirituale e non solo.”
La giornata internazionale del caffè, il primo ottobre, è dedicata alla sostenibilità
“Sono curiosa di vedere la messa in pratica in termini di sostenibilità. La cosa più importante penso sia il dialogo. Quindi penso che questa giornata internazionale debba esser dedicata alla raccolta delle opinioni, delle prospettive, di tutti gli attori della filiera. Per capire davvero che cosa significa la parola sostenibilità. Attraverso lo scambio tra le persone che se ne occupano nel settore. Credo sia importante questo primo giorno, capire che cosa intendiamo per caffè sostenibile. Cosa vuol dire? Che è uno specialty coffee? Che è tracciabile?”
Continua Elisa Criscione: “La sostenibilità in questo settore è un valore che debba comprendere tutta la filiera. Quindi a partire dalla tutela del contadino, che dovrebbe venire prima di tutto in quanto senza di loro, il caffè non esisterebbe proprio. Ma anche considerando l’ambiente: il riscaldamento globale influenzerà le colture e non possiamo più ignorare questo fenomeno.
Dobbiamo pensare a un caffè che vada oltre la certificazione, che non è più sufficiente. Dall’altro lato, bisogna anche riformulare il ruolo dei trader: la filiera del caffé è così frammentata che l’importatore e i contadini non dialogano perfettamente. Infine, passiamo al consumatore: che deve comprendere la sostenibilità del prodotto. Dopo esser stato raggiunto da un’adeguata comunicazione del caffè al di là del discorso organolettico. Per rendersi conto delle condizioni specifiche, sociali e della storia di questa bevanda. Quando tutti questi pezzi del puzzle si integreranno, alla fine avremo un caffè sostenibile. Parlo di una sostenibilità comprensiva, nata da un lavoro coordinato.”
Un’ultima considerazione per le giovani da Elisa Criscione
“Credo che le donne abbiamo ancora tante possibilità in settori così interessanti, dove ci vuole un’accuratezza e una prospettiva tutta femminile. Credo da parte mia, di esser brava a intermediare tra chi c’è all’inizio e alla fine della filiera. Ho un punto di vista che riesce a metter in contatto due attori molto lontani e diversi tra di loro. Questo ruolo, io credo faccia parte di un’empatia prettamente femminile.”