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Kumrung, la caffetteria nord coreana a Pyongyang dove il cappuccino costa 8€

La ragazza che gestisce Kumrung, la trentenne Ri Hyon A, è diventata un esempio da citare anche per i ragazzi di Choson Exchange. "Ha partecipato ai nostri corsi", racconta Chua, architetto di Singapore, una delle anime della ong che dal 2011 organizza scambi formativi tra cittadini della Corea del Nord e il resto del mondo

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MILANO – Conosciamo un luogo della Corea del nord, alternativo, quasi hipster, che rappresenta un’alternativa per i giovani di Pyongyang, nonostante i prezzi elevati, quasi proibitivi per il tenore di vita locale: stiamo parlando di Kumrung, la caffetteria nata nella capitale nord coreana diventata un simbolo anche per il regime.

La fondatrice è una giovane imprenditrice formatasi all’estero, grazie a un programma promosso da una Ong di Singapore.

Molti sperano che le startup come Kumrung possano contribuire ad aprire gradualmente, perlomeno sul fronte delle libertà economiche, il regime più isolato del mondo. Ma ecco la storia di Kumrung e della Ong Choson Exchange, ripresa da un articolo di Filippo Santelli scritto su Repubblica.

Cinquanta centesimi per un cappuccino da noi sarebbe un affare. Ma a Pyongyang valgono più o meno otto euro. “Con dei prezzi del genere temevamo che non funzionasse”, racconta Clavin Chua. “E invece sembra proprio che oggi il locale vada bene”.

Lodata anche dal regime

La caffetteria Kumrung, versione nordcoreana di Starbucks, con tanto di macchiato al caramello e arredamento stile Ikea, pare essersi conquistata una clientela fedele tra i giovani della capitale. La televisione di regime ne ha pure cantato le lodi in un lungo servizio, come si fa con le glorie nazionali.

E così la ragazza che gestisce Kumrung, la trentenne Ri Hyon A, è diventata un esempio da citare anche per i ragazzi di Choson Exchange. “Ha partecipato ai nostri corsi”, racconta Chua, architetto di Singapore, una delle anime della ong che dal 2011 organizza scambi formativi tra cittadini della Corea del Nord e il resto del mondo. Alcuni li porta all’estero, a vedere cosa c’è oltre i confini del regime più chiuso e autoreferenziale della Terra, come una specie di Erasmus. Altri li forma in loco, accompagnando professionisti e imprenditori stranieri a Pyongyang per condividere (a spese loro) esperienze e conoscenze. Ri Hyon A ha ascoltato la storia del fondatore di una catena di caffetterie, così ha deciso di aprire la sua.

Pyongyang si apre alla formazione

Gli scambi dal basso, tra le persone, sono uno dei modi per tenere aperto il dialogo con il regime nucleare. Trovato un partner locale che seleziona i partecipanti ai seminari, il governo di Pyongyang non si oppone. Sa che se vuole crescere, come Kim Jong-un promette, ha bisogno di assorbire competenze.

Tra alti e bassi i volontari di Choson Exchange, fondata dall’imprenditore tecnologico Geoffrey See, hanno coinvolto finora circa 2.500 cittadini nordcoreani: “Vogliono una vita migliore e un lavoro migliore, sono interessati e curiosi, vogliono sapere”, dice il 33enne Chua, che prima di diventare uno dei coordinatori dei programmi della Ngo è stato lui stesso un formatore, in pianificazione urbana. Anche con le sanzioni, sotto il giovane Kim la Corea del Nord sta vivendo un’espansione immobiliare e infrastrutturale: il suo primo seminario, nel 2013, Chua lo ha tenuto ai tecnici incaricati di sviluppare la località balneare di Wonsan. Un vero pallino del dittatore.

L’importante è non smettere di provare

Il messaggio, no a cattedrali nel deserto, è arrivato solo in parte, vista la colata di cemento che è stata rovesciata sulla costa, tra brutali hotel e improbabili parchi divertimenti. Chi ci andrà mai? Ma i ragazzi di Choson l’hanno messo in conto: con un Paese che per anni ha rifiutato ogni contatto esterno qualcosa può passare e qualcosa no, l’importante è non smettere di provare.

Tempo fa hanno portato tre urbanisti nordcoreani, tra i 30 e i 45 anni, in viaggio tra Hong Kong e la Cina, alla frontiera dello sviluppo metropolitano. La conversione di una vecchia fabbrica di Canton in hub per imprenditori digitali ha attirato la loro attenzione: anche la Corea del Nord, a modo suo, cerca di evolvere dall’industria pesante al terziario. Sguardi persi invece durante la visita a WeWork, uno degli uffici in condivisione più grandi al mondo.

“La società nordcoreana è gerarchica – spiega l’architetto – per loro l’idea di un ambiente orizzontale e aperto, dove lavorano insieme più aziende è spiazzante”. Quando gli è stato chiesto di progettarne uno loro, hanno disegnato una sala conferenze con a fianco un ristorante: l’idea nordcoreana di coworking è che finita una riunione ci si metta subito a tavola.

Nel Paese neppure il concetto di imprenditoria esisteva

Tutt’ora ogni azienda è statale, ma Kim Jong-un ha dato la possibilità ai cittadini di gestire una propria attività, registrandola come succursale di un colosso di Stato. Molti dei corsi di Choson sono rivolti a questi pionieri, startupper nel senso nordcoreano e non tecnologico della parola.

“Si devono inventare tutto”, racconta Chua. Le banche non esistono, i soldi vanno racimolati tra parenti e amici. La pubblicità non si può fare né sui giornali né sui cartelloni. Da qualche tempo sull’Intranet recintata dal regime è attivo un sito di “e-commerce”: non vende nulla, pagare online è impossibile, ma almeno le aziende hanno un canale per rendersi visibili. A Pyongyang una specie di mercato sta crescendo, nei dieci anni di frequentazione Chua ha visto moltiplicarsi le società di taxi, i ristoranti, i bar.

“Sembra che il potere di consumo sia aumentato”, dice. Così, mentre negli hotel di lusso Trump e Kim discutono e litigano di nucleare, tra startup e caffetterie i ragazzi di Choson portano avanti un altro dialogo: “Un lato diverso della Corea del Nord, di cui non sappiamo quasi nulla”.

Filippo Santelli

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