MILANO – La crisi che tuttora attanaglia i produttori di caffè rimane al centro dell’attenzione dei media internazionali. Se ne è occupata anche Euronews, lo storico canale televisivo europeo all news, che trasmette in 13 lingue raggiungendo oltre 150 paesi in tutto il mondo.
Un approfondimento sul sito informativo del canale muove dalla prospettiva dell’universo dei consumi europeo per spostarsi poi sul fronte dei paesi produttori.
Si parte da una constatazione: la disparità tra i prezzi del prodotto finito nei paesi importatori e i prezzi pagati all’origine ai coltivatori.
Riprendiamo di seguito i passaggi salienti di questa analisi.
Negli ultimi due anni, la produzione di caffè ha subito una crisi settoriale: i prezzi del mercato, storicamente bassi, hanno reso molto difficile la vita a molti produttori che difficilmente riescono a guadagnarsi da vivere solamente con i proventi del loro raccolto.
Il prezzo del caffè, come quello di molte altre materie prime, è moderato dalla legge della domanda e dell’offerta. Se c’è un eccesso di offerta, il prezzo del caffè scende; se è la domanda ad essere maggiore, sale.
Jose Sette, direttore esecutivo dell’Ico spiega a Euronews che è il surplus di offerta negli ultimi due anni è la ragione principale del calo dei prezzi pagati ai produttori.
Sette non punta il dito contro nessun Paese in particolare, ma indica che in diversi hanno aumentato la loro produzione nel corso del tempo. “In particolare Brasile, Vietnam, Colombia e Honduras, ma non sono gli unici”.
Quali sono gli effetti della crisi per i coltivatori di caffè?
Secondo la Fondazione Fairtrade, sono più di 125 milioni le persone in tutto il mondo che dipendono dal caffè per il proprio sostentamento: 25 milioni le piccole aziende agricole che coltivano l’80% del caffè mondiale.
Un’indagine dell’Ico sull’impatto del minor costo per il caffè per i paesi esportatori rivela che gran parte dei coltivatori si trovano ad affrontare insicurezza alimentare a causa dei minori guadagni percepiti. Un certo aumento del livello di povertà delle famiglie è stato registrato in molti paesi in cui il caffè è una delle principali attività generatrice di reddito.
L’indagine mostra che un numero crescente di produttori di caffè non sarà in grado di coprire i costi di produzione e di ricevere un reddito dignitoso dal proprio raccolto.
La crisi per i prezzi bassi del caffè sta costringendo molti coltivatori centroamericani ad abbandonare la produzione per tipologie di colture più remunerative; non solo: li spinge a migrare e chiedere asilo negli Stati Uniti, il che non fa altro che aggravare una situazione migratoria già tesa.
Prezzo di mercato vs prezzo di vendita al dettaglio
Negli ultimi anni, i consumatori europei hanno visto aumentare il costo per il pacchetto di caffè nonostante per i coltivatori non sia cambiato pressoché nulla. Come mai allora il prezzo al dettaglio per una tazzina della bevanda stimolante più famosa al mondo è molto più alto rispetto al prezzo del chicco sul mercato internazionale?
Sette spiega che il prezzo al dettaglio dipende in larga misura da:
- imposte;
- margini di profitto di catene e bar;
- margini di profitto del settore della tostatura;
- variabili di marketing.
Il costo dei chicchi di caffè influisce solo in minima parte sul prezzo totale da supermercato. Lo stesso vale per la cifra che paghiamo per una tazzina di cappuccino al bancone del bar.
“Per una caffetteria, il prezzo del caffè è solo uno dei tanti costi”, conclude Sette, “e per giunta piuttosto piccola. Bisogna considerare elementi come l’affitto, il costo del lavoro, l’assicurazione sanitaria…”
Anche per questo motivo un cappuccino a Zurigo può costare cinque volte tanto rispetto a Milano
Secondo Andrea Trevisan, ideatore di Trevo Coffee Roastery, barista e torrefattore finalista di premi europei, la situazione attuale è il risultato di un lungo periodo d’oppressione da parte dell’industria del caffè. “Il prezzo viene spartito per la maggior parte da multinazionali e altri intermediari. I piccoli produttori, pur di vendere il raccolto, devono sottostare al prezzo imposto da multinazionali del caffè, non hanno nessun potere. E, spesso con un prezzo così basso, non viene riconosciuta la qualità azzerando la motivazione allo sviluppo e delle generazioni giovani a portare avanti la fazenda di famiglia”.
La maggior parte del caffè mondiale è ancora raccolta a mano e il fenomeno dell’abbandono delle piantagioni riguarda molti Paesi, dal Centro America fino al Brasile.
Trevisan ritiene che “la colpa per il prezzo amaro della tazzina sia purtroppo nostra, dei paesi consumatori, e dell’enorme business che abbiamo creato. L’emisfero consumatore non è attento alla qualità del caffè, o meglio, non è in grado di valutarla davvero: si ritiene che l’importante è che sia scuro, amaro e con caffeina – caratteristiche opposte al vero carattere del caffè di qualità”.
“Esistono piccoli cafeteros che, silenziosamente, stanno combattendo una battaglia contro le grandi piantagioni moderne, che riversano sul mercato tonnellate di caffè orrido uccidendone il prezzo. Non solo: in Italia ci sono enti intergovernativi come l’Iao, istituto agronomico d’oltremare, e l’Iila, organizzazione internazionale italo-latina, e realtà di collaborazione tra cooperative di produttori di caffè e torrefattori che hanno, come scopo, il giusto scambio commerciale”.
La situazione migliorerà presto?
Secondo il direttore esecutivo dell’ICO, nonostante il costo del caffé sia cresciuto negli ultimi due mesi, si mantiene tuttora a livello molto basso. “Potremmo aver toccato il fondo, ma è ancora troppo presto per dirlo. Siamo ancora molto lontani dal raggiungere una cifra che i coltivatori considererebbero soddisfacente”. La stessa ICO sta cercando di negoziare con il settore privato per intavolare una trattativa che possa risolvere la questione, ma il progetto è “a lungo termine. Difficilmente le cose cambieranno a breve termine”.