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Andrej Godina spiega “come riconoscere il gusto di rancido nel caffè”

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MILANO – Andrej Godina racconta l’origine del gusto di rancido e suggerisce alcune pratiche da seguire per evitare la sua comparsa nei chicchi di caffè tostato. “Ciò che è gradito dalla gente, non è un difetto.” Ad esprimere questa considerazione è Raffaele Ferrieri, titolare del Vero Bar del Professore a Napoli, uno dei tanti locali visitati da Bernardo Iovene e Andrej Godina nella seconda inchiesta di Report dedicata alla qualità del caffè.

Eppure nel mondo dell’assaggio sensoriale esistono dei parametri oggettivi, internazionalmente accettati e condivisi come standard, che permettono di stabilire se una tazza esprime aromaticità piacevoli, oppure se contiene dei difetti.

Andrej Godina ci aiuta a capire quali sono i processi che intervengono nello sviluppo degli aromi. E quali sono i fattori che influiscono sulla qualità del risultato in tazza.

La presenza di un difetto in tazza è dovuta alla qualità del caffè o ai processi di trasformazione dei chicchi?

Il frutto della pianta viene raccolto a mano nella maggior parte dei paesi produttori, ciliegia per ciliegia. Ed è lavorato con diversi metodi per ottenere un seme con un’umidità massima del 12,5%. Pertanto i coltivatori in origine adoperano una serie di accortezze per tentare di fornire un prodotto qualitativamente elevato.

Il seme di caffè verde ottenuto dopo la lavorazione in piantagione non è particolarmente aromatico. Con questi chicchi si può preparare una bevanda calda che non darà alcuna soddisfazione dal punto di vista sensoriale.

Per fortuna ci viene incontro il processo di tostatura, che ha la capacità di modificare fisicamente e chimicamente il chicchi, regalando centinaia di nuovi composti chimici aromatici e piacevoli.

Durante questa fase, entrano in gioco la cosiddetta reazione di Maillard – una serie complessa di fenomeni che avvengono a seguito dell’interazione di zuccheri e proteine durante la cottura – e la reazione di caramellizzazione.

Grazie ai composti presenti nei chicchi verdi e al calore trasferito durante la tostatura, tali reazioni sono in grado di produrre nuovi composti che rendono il chicco piacevole all’olfatto. Questo si ottiene con un profilo di tostatura corretto e una conservazione adeguata del prodotto.

Qual è la definizione di “buon caffè”?

Un caffè di qualità è in grado di soddisfare i palati più esigenti nella misura in cui è privo di difetti ed è ricco di composti aromatici volatili piacevoli. Tra i difetti più importanti che si possono ritrovare in una tazza ci sono gli aromi di legno, paglia, terra, muschio, muffa, marcio, medicinale, gomma bruciata.

E infine rancido

A questi si possono aggiungere un gusto amaro particolarmente intenso e la sensazione tattile di secchezza o astringenza al palato.

Come possiamo descrivere il gusto di rancido?

Il dizionario della lingua italiana definisce il rancido come “una sensazione di odore o sapore aspro e sgradevole”.

Quest’ultima è determinata dalle reazioni di ossidazione dei grassi a contatto con l’ossigeno, che vengono accelerate a temperature più elevate; soprattutto a causa dell’esposizione alla luce. Gli elementi chimici necessari affinché tali reazioni si realizzino sono la presenza di grassi, animali o vegetali, e la molecola dell’ossigeno.

La definizione organolettica non è semplice. Ma può essere descritta come quell’odore che si percepisce nell’annusare una fetta di prosciutto crudo che è stata lasciata all’aria e a temperatura ambiente per un periodo lungo; finché il colore bianco del grasso diviene giallastro. Un altro tipico esempio è l’olio di oliva lasciato in una bottiglia trasparente alla luce del sole, quando il liquido vira al colore arancio.

Quindi l’ossigeno e la temperatura sono i veri responsabili del rancido. Come si sviluppa questo difetto nel caffè?

Nel caffè verde è presente una certa componente naturale di grassi e oli vegetali che non si degradano in tostatura ma, soprattutto nel caso di tostature particolarmente scure, fuoriescono sulla superficie dei chicchi rendendoli lucidi alla vista. Questi oli, a contatto con l’ossigeno e in presenza di luce, innescano immediatamente reazioni ossidative che producono abbondanti composti chimici volatili dall’odore rancido. Soprattutto se i chicchi sono conservati a temperature elevate.

La causa principale del rancido in una tazzina di caffè è l’utilizzo di tostato, in chicchi o macinato, già rancido. Per questo motivo il caffè tostato va sempre confezionato e conservato in contenitori ermetici, in atmosfera senza ossigeno e a temperature basse.

Tostatura e conservazione. Sono questi i soli responsabili?

Un’altra causa potrebbe essere l’utilizzo di un’attrezzatura sporca per preparare il caffè, su cui si sono sedimentati residui oleosi delle bevande precedenti, che si sono irranciditi. Questi residui cederanno nelle successive erogazioni aromi di rancido nelle nuove bevande. Per questo motivo è sempre buona norma pulire la moka, le macchine espresso o qualsiasi altra caffetteria con detergenti specifici. Al fine di togliere possibili residui oleosi lasciati dal caffè.

Cosa può fare ognuno di noi nella quotidianità?

Il consumatore stesso può verificare la qualità del prodotto osservando le tramogge nei bar: tracce oleose, chicchi che “sudano” e apparecchiature non pulite sono presupposti di un caffè rancido, che poi si troveranno in tazza.

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