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Come cambia la caffetteria in Italia, tra grandi marchi e torrefattori emergenti

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MILANO – Sono sempre più numerosi i big della caffetteria internazionale che sbarcano in Italia facendo leva sui vantaggi competitivi che i solo grandi numeri consentono di raggiungere. Ma su una scena sempre più competitiva, c’è spazio anche per i marchi della tradizione italiana e persino per le piccole torrefazioni, che si reinventano affrontando il mercato del caffè con approcci nuovi.

Questo il succo di un’analisi apparsa sul supplemento Food24 del Sole24Ore, a firma di Maria Teresa Manuelli, che vi proponiamo di seguito.

Caffetteria in Italia: il volto del settore che cambia

Lo scorso 16 maggio ha aperto in Stazione Centrale a Milano un altro punto della celebre catena di caffetterie Starbucks. Nulla di inaspettato, dal momento che il tempio del caffè americano con la sua carica di Frappuccino, Cold brew, White chocolate mocha ha intenzione di aprire almeno 20-25 caffetterie nel capoluogo lombardo.

Ma la catena di Seattle è solo l’ultima ad arrivare nel nostro Paese, la patria del caffè al bar. Prima sono state Mc Donald’s con l’insegna McCaffè, Areas, con le insegne Gran Caffè e Briciole, Airest Lagardère con Briccocafè e Culto, il gruppo Autogrill con ACafè, Bar Snack, Puro Gusto, e Tentazioni, Cibiamo Group con i marchi La Bottega del Caffè, Virgin Active Cafè e i format cafè di Camst e del Gruppo Cremonini.

Trend in salita per le caffetterie monomarca

Le catene di caffè nel nostro Paese sono ancora una piccola percentuale (circa il 10%), considerati i quasi 120mila esercizi censiti da Fipe nel 2018. Ma in crescita a un ritmo del 3% in media, secondo uno studio del 2018 della società di analisi e consulenza TradeLab.

«Credo che sia una normale evoluzione del mercato – afferma Mario Resca, presidente di Confimprese – perché hanno la capacità di rispondere alle richieste del cliente odierno. Le grandi catene di successo hanno infatti una filosofia di qualità senza compromessi e tutto è in funzione di quello che il cliente vuole: personale addestrato e accogliente, ambiente bello e pulito, rapporto qualità/prezzo accattivante raggiungibile solo attraverso i grandi numeri».

Il plus di Starbucks

E poco importa ai clienti se un espresso da Starbucks costa 1,80 euro, contro una media nazionale di 0,97. I suoi locali sono sempre pieni. «Del resto – prosegue Resca – offrono tutta una serie di servizi che coccolano il cliente, dal wi-fi alla capacità di lavorare sul brand, agli orari prolungati e all’offerta per ogni momento della giornata. Cosa che il singolo bar spesso non ha la forza di proporre, per tutta una serie di motivi».

Secondo Fipe 5,4 milioni di italiani e turisti fanno colazione al bar, con una spesa media di 2,40 euro. Mentre 1,3 milioni vi pranza spendendo in media 7,5 euro. I bar che in Italia offrono un servizio ‘multifuzione’ sono solo il 14% e quelli non specializzati il 24%. La maggior parte restano quelli dedicati a un solo momento della giornata: colazione e servizio mattutino (34%), pranzo (17%) o sera (16%, Fipe 2018).Ma nonostante gli attacchi, le caffetterie e bar tradizionali in Italia rimangono stabili (-0,8% sul 2017) e sembrano resistere all’assalto delle catene.

Spazio anche per le caffetterie tradizionali

«Credo che ci sia spazio per tutti – afferma Lino Stoppani, presidente Fipe-Federazione Pubblici Esercizi –. Vero è che oggi il cliente ha esigenze diverse perché diversi sono gli stili di vita. Pensiamo a come si sono evoluti i locali dalle originarie torrefazioni ai bar multifunzione di oggi, dove un locale per restare in attivo deve essere in grado di adeguare la propria offerta ai diversi momenti della giornata, dalla colazione del mattino, fino alla movida serale. Oltre ai costi di gestione che sono talmente lievitati che avere un esercizio polifunzionale diventa una necessità. Credo che comunque il piccolo esercizio, per il suo rapporto con il cliente e capillarità, resisterà e continuerà a esistere.

Non è un caso inoltre che gli stranieri imparino da noi il modello della caffetteria all’italiana. E poi la domanda di caffetterie è comunque in crescita: dall’aumento dei consumi fuoricasa, a quello di turisti che necessitano più servizi».

Tra gli integrati arriva anche Ottolina Caffè

E a proposito dell’evoluzione delle vecchie torrefazioni, TradeLab segnala la crescita del segmento degli ‘integrati’, ovvero le aziende di produzione che si sono integrate a valle. In questo gruppo si trovano i punti vendita di produttori di caffè che hanno aperto i primi flagship store e le prime catene.

Tra gli esempi troviamo illycaffè, Segafredo, Caffè Vergnano, Caffè Pascucci e Lavazza. Fresca di ingresso è Ottolina, torrefazione milanese con settanta anni di storia e finora punto di riferimento soprattutto per gli operatori professionali (da 27 anni fornisce in esclusiva per l’Italia il caffè a McDonald’s), che ha deciso di arrivare anche al grande pubblico. Grazie alle aperture di caffetterie a marchio Ottolina Caffè.

Attualmente sono due a Milano, una in Germania e cinque in Cina, grazie a un accordo con imprenditori locali che curano lo sviluppo puntando molto sul concetto di Italian Style. Prossima tappa sarà la Francia, dove Ottolina ha siglato da pochi mesi un accordo di master franchisee con la catena di ristoranti italiani Stratto.

«L’idea di aprire dei punti di somministrazione a marchio – spiega l’amministratore delegato Fabio Massimo Ottolina – è nata prima di tutto dall’esigenza di capire meglio i nostri clienti e quindi di arrivare direttamente al consumatore finale. Volevamo offrire un servizio completo, dal chicco alla tazzina.

Abbiamo anche aggiunto al caffè altri prodotti food, pasticceria e piccoli piatti. Per venire incontro alle richieste dei consumatori, grazie a partnership strategiche con nostri fornitori. Abbiamo cercato anche di fare innovazione, con il concetto dell’insalata fai-da-te: mettiamo a disposizione 24 ingredienti che combinati tra loro danno origine a più di 40mila combinazioni di salad. Sicuramente non ci fermeremo alla Francia, dal momento che abbiamo già contatti in altri Paesi».

Piccole torrefazioni crescono

La numerica dei punti vendita di questi cosiddetti ‘operatori integrati’ è ancora ridotta, ma in crescita del 10%. Infine, i piccoli operatori italiani, attivi soprattutto a livello locale. Si tratta di un segmento ancora piccolo, costituiscono il 5% dei punti vendita. Ma hanno una crescita decisamente vivace (rispetto al 2016, sono aumentati del +14%) e che ha visto negli ultimi anni affacciarsi sul mercato diverse realtà. Come Ca’puccino, Vyta, Botega Caffè Cacao, Hopera Cafè, We Love Puro, Bacio Nero, Cioccolatitaliani, oltre a una miriade di piccoli operatori che hanno deciso di costruire le loro reti.

«In molti casi – spiega Resca – sono i figli dei vecchi torrefattori o gestori di bar, giovani intraprendenti che hanno deciso di innovare la categoria o l’attività acquisita adeguando un business tradizionale alle moderne richieste. Hanno un’idea imprenditoriale degna delle grandi catene».

Maria Teresa Manuelli

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