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Solo un centesimo del prezzo della tazzina va nelle tasche del produttore

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MILANO – Gli squilibri lungo la catena produttiva del caffè emergono in modo palese nei periodi di crisi del prezzo come quello attuale, durante i quali i produttori stentano persino a coprire i costi di produzione. Le possibili conseguenze? L’abbandono del caffè a favore delle colture illegali. O l’esodo dalle aree rurali, spesso per andare a cercare fortuna nei paesi ricchi.

Prezzo della tazzina: bisogna allontanarsi dall’euro abituale

Un’analisi di Rodolfo Casadei per Tempi inquadra il problema partendo dalla sproporzione tra il prezzo ricevuto dal coltivatore di caffè e quello di una tazzina di caffè in una caffetteria londinese. Riportiamo di seguito i passaggi salienti.

A Londra un caffè all’americana macchiato costa 2,5 sterline. Di questa cifra, 25 penny (il 10 per cento) sono il profitto dell’esercizio. Mentre 38 se ne vanno in tasse, 63 negli stipendi del personale, 88 nei costi di gestione del locale, 18 in tazze, bastoncini e tovagliolini, 10 per il latte, 8 alle imprese di torrefazione, 1 penny a trasportatori ed esportatori del luogo di produzione. E 1 penny (cioè un centesimo) al contadino coltivatore.

Il prezzo della materia prima

Nel giro di un decennio il mercato mondiale del caffè ha quasi raddoppiato il suo giro di affari, portandolo a 90 miliardi di dollari. Ma il boom della produzione brasiliana ha depresso il prezzo della materia prima.

Sommando Robusta e Arabica, le due varietà commerciali, l’anno scorso il Brasile ha prodotto oltre 3 milioni e 600 mila tonnellate di caffè, che hanno conquistato il 28 per cento del mercato del consumo mondiale.

Grazie all’estensione delle sue piantagioni e alla meccanizzazione della raccolta, i brasiliani riescono a realizzare qualche profitto finché il prezzo alla borsa di New York non scende sotto i 90 centesimi di dollari alla libbra.

Non così guatemaltechi, messicani, colombiani, honduregni, i cui costi di produzione permettono un margine di reddito solo se il prezzo alla libbra oscilla fra 1,20 e 1,50 centesimi di dollaro.

Vendite allo scoperto

L’altro fattore che determina la spinta al ribasso del prezzo del chicco di caffè è la speculazione finanziaria, con un incremento record delle vendite allo scoperto negli ultimi anni, soprattutto a partire dal 2017, scommettendo su prezzi in calo. Molti hedge funds si sono arricchiti negli ultimi due anni con questo genere di operazioni.

Le conseguenze della depressione dei corsi del caffè sono state la riconversione delle piantagioni in coltivazioni di coca in Perù e Colombia (dove l’anno scorso i campi di coca hanno raggiunto l’estensione record di 200 mila ettari).

E l’emigrazione verso il Messico e gli Usa di schiere crescenti di contadini guatemaltechi e honduregni.

Rodolfo Casadei

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