MILANO – Cosa ci spinge a preferire il caffè a un’aranciata, un succo di frutta, una bibita gassata o una bevanda alcolica. De gustibus avrebbero detto gli antichi romani. Ma al di là dei gusti, delle abitudini e delle circostanze, le preferenze individuali in materia di bevande fanno riferimento a un complesso mix di fattori biologici e culturali.
E come dimostra un nuovo studio della statunitense Northwestern University, di cui riferisce Simone Valesini su Galileo, le scelte dipenderebbero più dagli effetti delle bevande, che dal loro gusto.
Quando scegliamo un caffè, ci seduce il profumo, l’aroma e la consistenza della bevanda. Ma ciò che cerchiamo realmente sono pur sempre gli effetti della caffeina.
Cosa influenza le nostre preferenze?
La ricerca, pubblicata sulle pagine di Human Molecular Genetics, nasce per indagare il rapporto tra patrimonio genetico e gusti in fatto di bevande. Motivo: si sa da tempo, ormai, che questo genere di preferenze influenzano fortemente la nostra dieta. E in molti casi rappresentano un autentico fattore di rischio. Il consumo di bevande zuccherate, per esempio, è uno dei principali indizi che aiutano a prevedere lo sviluppo di disturbi cardiovascolari, obesità, diabete e altre malattie metaboliche.
Mentre l’alcol, dal canto suo, è collegato allo sviluppo di oltre 200 patologie. E causa ogni anno circa il 6% delle morti registrate in tutto il pianeta. È per questo che comprendere cosa orienti le scelte individuali potrebbe rivelarsi importante. Perché aiuterebbe gli specialisti a sviluppare interventi mirati nel contribuire a modificare diete e comportamenti poco salutari.
La risposta nei geni
I ricercatori della Northwestern hanno deciso di affrontare la sfida con un cosiddetto studio di associazione genome-wide, un tipo di ricerca in cui si cerca di indagare tutti (o quasi) i geni presenti nel dna di un ampio gruppo di persone, per trovare il collegamento tra una qualche caratteristica fenotipica (in questo caso le preferenze in fatto di bibite) e specifiche varianti geniche.
In questo caso, la ricerca ha coinvolto oltre 370mila persone, di cui i ricercatori hanno sequenziato il genoma, e hanno poi incrociato i dati ottenuti con informazioni relative al consumo giornaliero di bevande. Divise per comodità in due gruppi: bibite amare, che comprendono caffè, alcolici, tè, e simili; e bevande dolci, intese come bibite contenenti zuccheri aggiunti, e succhi di frutta (ad esclusione di quello al pompelmo).
E i risultati – a detta dei ricercatori – sono particolarmente interessanti.
Non il gusto, ma gli effetti della bevanda
Le associazioni più forti non sono emerse per geni che svolgono un ruolo nel funzionamento dei recettori del gusto, eventualità che avrebbe permesso di spiegare le preferenze individuali sulla base di una maggiore o minore sensibilità al dolce o all’amaro. Al contrario, i risultati hanno mostrato che la scelta tra l’uno o l’altro tipo di bevande dipende piuttosto da geni collegati al consumo di caffeina e alcolici, nel caso delle bibite amare, e a varianti collegate al rischio di obesità nel caso delle bevande dolci.
Un particolare che, a detta dei ricercatori, dimostra come spesso non sia il gusto in sé a determinare le nostre preferenze, quanto piuttosto la nostra suscettibilità alle sostanze in esse contenute, come alcol e caffeina.
“Le nostre preferenze evidentemente sono collegate ai componenti psicoattivi di questi drink”, spiega Marilyn Cornelis, ricercatrice della Northwestern che ha coordinato lo studio. “La verità è che probabilmente ci piace il modo in cui il caffè o l’alcol ci fanno sentire. È per questo che li beviamo, e non per il loro sapore”.