MILANO – La storia e il mito del caffè sono al centro del nuovo romanzo di Dave Eggers intitolato, non a caso, “Il monaco di Mokha”. Come scrive Antonio Gurrado In una recensione scritta per Il Foglio, l’opera ripercorre tutte le vicissitudini storiche che hanno accompagnato la diffusione della pianta e della bevanda in tutto il mondo.
A cominciare da quando un religioso indiano (Baba Budan, ndr.) rubò delle sementi nello Yemen. E di qui le portò di nascosto in India, dove creò nel cinquecento la prima piantagione, che sorse nel Chandragiri.
La pianta fu quindi trafugata da un commerciante batavo, che nel seicento la diffuse nelle colonie olandesi; quindi sottratta ai turchi, che assediavano Vienna nel 1683, da una spia polacca travestita da musulmano; poi donata dal sindaco di Amsterdam a Luigi XIV, nel Settecento.
A patto che non si usasse l’esemplare per trapiantarlo, cosa che i francesi invece fecero. E ciò grazie al capitano Gabriel-Mathieu Francois D’ceus de Clieu, che la portò in Martinica dopo una lunga e pericolosa traversata.
La Coffea viaggio dalla Guyana al Brasile grazie allo stratagemma di un diplomatico portoghese che, nell’Ottocento, sedusse appositamente la moglie del governatore. E quando gli yemeniti osano rivendicare l’origine del caffè, gli etiopi ribattono dicendo che loro lo coltivano da molto prima, dalla notte dei tempi.
Secoli di ruberie, tradimenti, seduzioni, promesse disattese, dispute insensate. Osserva in conclusione Gurrado: “Ecco, penso con l’ultimo sorso, il vero nome della contaminazione fra ‘’culture e mondi di cui godiamo i benefici”.