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Il caffè? È una miniera di sostanze benefiche per la salute e l’organismo

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MILANO – È ormai scientificamente appurato che il caffè è una miniera di sostanze benefiche per l’organismo. Ma non tutti sono consapevoli delle modifiche subite dalle sostanze contenute nel caffè a seguito, dapprima, della torrefazione e, successivamente, dell’estrazione in bevanda attraverso i metodi più diffusi. E dei diversi benefici che esse apportano alla nostra salute.

Come sottolinea l’introduzione a una guida recentemente pubblicata sul sito dell’autorevole Nfi (Nutrition Foundation of Italy), tali benefici si avverano con consumo moderato di caffè, nell’ambito un’alimentazione sana ed equilibrata.

Come tradurre in pratica questo principio? Attraverso una corretta educazione e informazione alimentare, da unire a un briciolo di buon senso, che non guasta mai. Il tutto però evitando anche di cadere nell’eccesso opposto, quello cioè di prestare un’attenzione maniacale alla salubrità degli alimenti.

Portato al parossismo questo comportamento può assumere infatti carattere patologico. E diventare ortoressia: un disturbo alimentare vero e proprio, che richiede un approccio clinico complesso e multidisciplinare.

Le sostanze contenute nel caffè (caffeina a parte)

Nel chicco di caffè non trattato sono presenti 900 sostanze diverse, ma se ne trovano sempre di più; man mano che gli strumenti di analisi migliorano. Si tratta di proteine, lipidi, carboidrati (solubili e insolubili), minerali, vitamine, polifenoli. Il chicco di caffè viene però tostato, prima della macinatura e dell’utilizzo.

La tostatura, più o meno accentuata, è decisiva per l’aroma e comporta la perdita per denaturazione di gran parte delle proteine. Ma anche l’aumento della concentrazione di sostanze definite per brevità antiossidanti, attraverso la formazione di un fitocomplesso, in cui è prevalente l’acido clorogenico.

Passiamo alle preparazioni: tutte eliminano la quota di cere e grassi, grazie ai filtri. Fa eccezione il caffè bollito (turco o greco), in cui il rilascio di diterpeni nella bevanda influisce negativamente, nel lungo termine, sul profilo lipidemico. Il saccarosio aggiunto contribuisce, con altri composti volatili, a determinare l’aroma; nei fondi di caffè restano le cellulose.

Nella bevanda passano invece intatti i minerali (tra cui il potassio), mentre l’acido clorogenico diventa altamente biodisponibile (85%), grazie alla trasformazione in acido caffeico: si calcola che con due tazzine di caffè preparato con la moka (100 ml circa) si possono assumere fino a 250 mg di acido clorogenico.

Focus sui polifenoli

Si ipotizza che i polifenoli, presenti com’è noto non solo nel caffè, ma in un’ampia varietà di alimenti, non agiscano tanto come antiossidanti diretti quanto, piuttosto, come attivatori di meccanismi protettivi endogeni dell’organismo.

Tra le azioni attribuibili ai polifenoli del caffè va ricordato l’effetto anti-infiammatorio, ritenuto oggi essenziale per la prevenzione cardiometabolica (aterosclerosi, diabete), ma anche nei confronti di patologie degenerative di natura oncologica e neurologica (demenze).

Sembra che ai polifenoli del caffè si possa attribuire anche una riduzione della capacità digestiva dei carboidrati complessi, come gli amidi, in di- e mono-saccaridi, che ridurrebbe i picchi glicemico e insulinemico post-prandiali: l’effetto sarebbe mediato dall’inibizione dell’alfa-amilasi, enzima intestinale che digerisce gli amidi di pasta, pane e patate. I polifenoli del caffè influenzerebbero infine la composizione del microbiota intestinale, con effetti promettenti di tipo prebiotico.

Tutto quello che c’è da sapere sulla caffeina

La caffeina è presente soprattutto nella varietà Robusta. La quantità di caffeina presente in tazza dipende quindi dalla miscela scelta e, in seconda battuta, dalla preparazione. Restando alla tradizione italiana e considerando un’assunzione media, si può calcolare che una tazzina di espresso (circa 35 ml) fornisce 50 mg di caffeina, mentre una tazzina di moka (50 ml) ne fornisce circa 120 mg.

Il caffè del bar contiene meno caffeina di quello di casa

Ne deriva che: il caffè del bar contiene meno caffeina del caffè di casa, se fatto con la moka; il caffè “lungo” contiene in genere più caffeina di un caffè ristretto. La caffeina (presente anche nel tè, nel cacao e aggiunta ad alcune bibite) ha effetti noti sul sistema nervoso centrale, con aumento dello stato di allerta e riduzione della tendenza al sonno; migliora l’efficienza muscolare, induce un transitorio aumento della frequenza cardiaca e il rilassamento di bronchi e bronchioli.

La caffeina antagonizza i recettori dell’adenosina che, se attivati, sono vasodilatanti, riducono la frequenza cardiaca, inducono vasodilatazione e broncospasmo e spengono il livello di allerta del sistema nervoso centrale. Un lavoro appena pubblicato su Scientific Reports in collaborazione tra l’Istituto di Medicina Molecolare di Lisbona e l’inserm di Lille (Francia) dimostra che la caffeina antagonizza specifici recettori adenosinici, gli A2A, iperespressi in presenza di decadimento cognitivo. Questa ricerca è stata condotta su ratti, ma mette in luce per la prima volta quanto la caffeina rimetta in moto il circuito ipotalamo-ipofisario e la fluttuazione circadiana degli steroidi, fondamentali per la memoria. Sul versante dell’efficienza muscolare, la caffeina è un agonista dei recettori della rianodina, molecola che facilita la contrazione muscolare: ecco perché la caffeina ha un effetto favorevole sulle performance fisiche.

L’indagine dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare

Nel 2015, l’Efsa (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha calcolato che, in Europa, il consumo medio di caffeina è compreso tra 20 e 400 mg/die; consumi di 200 mg in una singola dose e/o di 400 mg nell’arco della giornata sono considerati sicuri per gli adulti.

L’analisi della letteratura indica che la caffeina, a dosi non superiori a quelle appena citate e approvate da Efsa come sicure, non aumenta il rischio di aritmie atriali (come la fibrillazione) o ventricolari; per quanto riguarda pressione e frequenza cardiaca, la caffeina non provoca aumenti persistenti, perché si instaurano presto fenomeni di tolleranza e adattamento.

La genetica delle tazzine

Il corredo genetico individuale influenza la risposta fisiologica al consumo di caffè e, di conseguenza, il numero di tazze o tazzine consumate ogni giorno e le modalità di consumo: c’è chi beve abitualmente caffè prima di dormire e chi invece ne risente notevolmente, in termini di tempo necessario per addormentarsi e qualità del sonno. Queste differenze sarebbero in parte mediate da varianti genetiche. Su Scientific Reports è inoltre stato recentemente pubblicato uno studio, condotto in collaborazione tra Italia e Olanda, paesi nei quali il caffè è preparato e consumato in modo molto diverso. Ebbene: nelle persone che bevevano meno caffè, in entrambi i paesi, era molto attivo un gene, il PDSS2, da cui dipenderebbe il metabolismo della caffeina. Chi la metabolizza più lentamente, quindi, avrebbe bisogno di un numero inferiore di tazzine di caffè nella giornata per stimolare attenzione e concentrazione.

L’assoluzione dell’Organizzazione mondiale della sanità: “Il caffè è una bevanda sicura”

Il 15 maggio 2016, su Lancet Oncology online  è stato pubblicato un corposo riassunto della monografia firmata dallo Iarc (International Agency of Research and Cancer).

Per quanto riguarda il caffè, lo Iarc rivede la valutazione espressa nel 1991. Dana Loomis, Deputy Chairman IARC precisa in merito: «Il salto di qualità degli studi condotti dal 1991 a oggi garantisce più certezze e dati più significativi su campioni di popolazione molto più ampi: alcune ricerche mettono in luce le qualità protettive del caffè nei confronti di organi, come fegato ed endometrio. Nel caso del fegato, le evidenze indicano che ogni tazza di caffè in più al giorno riduce del 15% circa il rischio di tumore epatico: bastano quindi le classiche tre tazzine quotidiane per ottenere una protezione superiore al 40%».

Caffè e rischio oncologico

Appena precedente il documento Iarc, è una review pubblicata, sullo European Journal of Cancer Prevention, firmata anche da Carlo La Vecchia (Università di Milano), in cui già si evidenziava addirittura il dimezzamento del rischio di carcinoma epatocellulare per livelli medi di consumo di caffè.

Una riduzione del rischio pari al 15-20% emerge anche per il cancro del colon retto, molto diffuso nella popolazione italiana maschile e femminile (nella quale è il secondo/terzo tumore, per incidenza). Il consumo di caffè si assocerebbe anche al minor rischio di tumori del cavo orale e del faringe; inoltre, nella revisione di La Vecchia si sottolinea la riduzione del rischio per il carcinoma dell’endometrio.

Si tratta di effetti positivi che accomunano il caffè con o senza caffeina, facendo ipotizzare un ruolo di primo piano per i polifenoli del caffè e per i composti complessi ad azione antiossidante generati dalla torrefazione.

Non c’è correlazione tra caffè e tumori più diffusi

Non vi è invece correlazione tra consumo di caffè e rischio dei tumori più diffusi (polmone, mammella e prostata). Alcuni studi sembrano associare il consumo di caffè a un aumento dell’incidenza di cancro della vescica, peraltro in assenza di prove di una relazione sia dose-risposta sia tra la durata dell’esposizione e il rischio: questo suggerisce invece un’associazione non causale, attribuibile ad altri fattori come il fumo di sigaretta.

Il documento Iarc associa infine un potenziale effetto cancerogeno diretto sulla mucosa (dell’esofago, ma anche del cavo orale), a tutte le bevande calde (compresi infusi, brodi, tisane), assunte a temperature superiori a 65 °C. Si tratta però di temperature ben più elevate rispetto a quelle usuali in Italia per le stesse bevande.

Le valutazioni sul rapporto tra consumo di caffè (con caffeina e decaffeinato) e salute non si limitano al solo ambito oncologico.

Eccole in dettaglio:

Caffè e malattie cardiovascolari

    • – L’effetto del caffè sul rischio cardiovascolare è ormai chiarito. I risultati degli studi più recenti, riportati in un’ampia metanalisi del 2014, hanno evidenziato un’associazione protettiva, di tipo non-lineare, tra caffè e rischio cardiovascolare. In dettaglio, i dati sul consumo di caffè di 1.283.685 soggetti mettono in luce che il rischio di patologie cardiovascolari è inferiore nei soggetti che consumano 3-5 tazze al giorno, rispetto ai non consumatori; livelli superiori di consumo (6-10 tazze) non aumentano il rischio cardiovascolare, mentre oltre le 10 tazze giornaliere il rischio cardiovascolare aumenta, ma solo rispetto a chi non ne consuma affatto.
    • Attenzione però: se si limita l’analisi ai non fumatori, la protezione cardiovascolare del consumo di caffè non sembra attenuarsi nemmeno per consumi molto elevati. In sintesi, il consumo di caffè correla generalmente con minor morbilità e mortalità cardiovascolare e i maggiori benefici sembrano essere associati all’assunzione di 3-5 tazze/ die. Tra chi fuma ed è anche fortissimo consumatore di caffè, invece, l’incidenza di patologie coronariche e cardio-metaboliche potrebbe essere più elevata.

Caffè e mortalità totale

    • I risultati di uno studio del 2014, condotto in 997.464 soggetti, stratificati per livelli di assunzione di caffè, mostrano che al consumo di 4 tazze/die corrisponde una riduzione della mortalità per tutte le cause. Questo in aggiunta alla diminuzione della mortalità cardiovascolare rilevata con 3 tazze/die. L’osservazione trova conferma nella review di Je e Giovannucci dello stesso anno. Che rilevava, nei forti consumatori di caffè, un aumento della sopravvivenza del 14% rispetto ai non consumatori. Più in dettaglio, i ricercatori hanno stimato in 4 tazze/die la quantità di caffè oltre la quale non emergono benefici significativi per la salute.

Caffè e diabete di tipo 2

Va citata la metanalisi pubblicata nel 2014. Che ha valutato la possibile associazione tra consumo di caffè e incidenza di diabete di tipo 2 in 1.096.647 soggetti. L’effetto protettivo nei confronti del rischio metabolico si è dimostrato dosedipendente, con una riduzione del rischio del 12% ogni due tazze di consumo in più. Analizzando i risultati in dettaglio, i benefici sono più evidenti nei soggetti magri (cioè con indice di massa corporea < 25), in chi non fuma e nelle donne rispetto agli uomini. Anche in questo caso non sono emerse differenze tra caffè con o senza caffeina; anche se i livelli di consumo di quest’ultimo sono molto inferiori. L’ipotesi più probabile indica quindi negli acidi clorogenici e non nella caffeina i mediatori di questa protezione.

  • Caffè e rischio di altre malattie – Esaminiamo gli studi sul rapporto tra consumo di caffè e patologie cardiovascolari, metaboliche e/o oncologiche. Emerge anche l’effetto protettivo dei consumo regolare della bevanda nei confronti delle malattie respiratorie e delle patologie cerebrovascolari.

 

Il punto su furano e acrilamide

Furano e acrilamide si formano, attraverso la reazione di Maillard, negli alimenti o nei materiali (legno, tabacco) lavorati ad alte temperature (panificazione, grigliatura, frittura, combustione). Per quanto riguarda il caffè, si può affermare che:

  • Il furano è un componente inevitabile della tostatura: se si lavorasse il chicco senza produzione di furano, le caratteristiche organolettiche del caffè andrebbero perse. Poiché il furano è altamente volatile, si stima che mescolare il caffè per 30 secondi lo riduca del 64%. E che otto ore in un thermos ne azzerino quasi la presenza (-98%). Ciò detto, le banche dati di composizione degli alimenti dichiarano che ogni tazzina di espresso contiene in media 2,6 mcg di furano.
  • Gli effetti tossici a carico del fegato indotti dal furano sono stati rilevati negli animali; a cui però erano state somministrate dosi massicce di sostanza pura, ripetute nel tempo. Ciò che non accade con l’alimentazione umana, nella quale anche il furano è presente in dosi frazionate. Dosi assunte con cibi complessi che stemperano gli effetti diretti sugli organi. Sappiamo che, in media, con l’alimentazione si assumono 30-70 mcg/die di furano. Una quantità 3.000 volte inferiore rispetto ai 210 mg/die in grado di indurre problemi epatici.
  • La torrefazione produce anche acrilamide: il contenuto medio di un caffè (valutato secondo la varietà del caffè, il grado di tostatura, metodo di preparazione e metodica analitica utilizzata) è miminimo e privo di ricadute sulla salute 7 . È comunque possibile ridurre la quantità finale di acrilamide, pretrattando i chicchi con l’enzima asparaginasi, che elimina l’asparagina, molecola da cui l’acrilamide deriva.
  • Da sapere: l’espresso preparato velocemente (come al bar) contiene meno acrilamide rispetto alle altre tipologie di caffè.

Conclusioni

  • I dati disponibili finora consentono di concludere che un regolare consumo moderato di caffè si associa a effetti favorevoli sulla salute. Nello specifico si può affermare che:
  • Un consumo fino a 4-5 tazze al giorno di caffè con caffeina è considerato sicuro per la maggior parte della popolazione.
  • La variabilità del consumo individuale di caffè è, con alta probabilità, regolata geneticamente. L’organismo detterebbe le proprie regole sulla quantità di caffeina da assumere quotidianamente e sull’orario migliore di consumo.
  • Il consumo moderato di caffè (con o senza caffeina) mostra effetti protettivi nei confronti del rischio di numerose patologie. Da quelle cardio e cerebrovascolari, alle malattie respiratorie, al diabete di tipo 2 e di alcuni tumori. Questi effetti si traducono in una riduzione del rischio di mortalità totale.
  • Alcuni effetti protettivi si evidenziano anche per il consumo di caffè senza caffeina. Questo rafforza l’ipotesi di un ruolo delle componenti minori del caffè (acido clorogenico, acido caffeico).
  • Il ruolo del fumo di sigaretta (è ben nota l’associazione tra tazzina e fumo) viene chiamato in causa per spiegare gli effetti negativi. Quelli sulla salute osservati nei consumatori di più di 5 tazze di caffè al giorno e fino a 10. Che sono assenti nel sottogruppo dei forti consumatori di caffè non fumatori.
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